Contest Morozzi: trova la soluzione e vinci

psd_contest_morozziSolo per 5 lettori di Milanonera da oggi  la possibilità di aggiudicarsi una copia del libro  ” Lo specchio nero ” di Gianluca Morozzi, in  una speciale edizione fuori commercio e autografata
Come?
Risolvendo un enigma che Gianluca Morozzi ha ideato solo per noi entro  le ore 23 del giorno 21/09 e  inviando  una mail alla casella di posta social@guanda.it con oggetto contest – morozzi.
I 5 vincitori saranno annunciati  martedì 22 entro le ore 18 sul sito di Milanonera.

Leggi, trova la soluzione e vinci!!!

 

                                            Il gatto, il cantante e il plettro portafortuna

                                            (Un giallo della camera chiusa di Gianluca Morozzi)

«Insomma, la cosa che proprio non capivo, che non riuscivo a spiegarmi, era quel povero gatto a mezz’aria nel camerino sopra al cadavere.»
«Aspetta: è una storia in cui alla fine muore un gatto? Perché se muore un gatto non la voglio sentire!»
«Vedi cadaveri tutti i giorni e ti sconvolge un gatto?»
«I cadaveri li vedo per mestiere. Mi ci sono abituato. Ai gatti morti non voglio abituarmi mai e poi mai.»
«Io ho sempre preferito i cani… comunque no, non ti preoccupare, il gatto è vivo e vegeto. Ha solo passato un brutto quarto d’ora.»
«Allora posso ascoltarti. Prendiamo un liquorino?»
«Certo che prendiamo un liquorino. Franco ne ha una riserva speciale che tiene nella sua cantina privata, solo per i clienti affezionati come noi. Glielo ordino, appena la smette di broccolare quelle due turiste al bancone.»
«Franco interpreta il suo ruolo di oste in maniera, come dire… sociale.»
«Allora, la vuoi sentire la storia del gatto, del cantante e del plettro portafortuna?»
«Purché il gatto non abbia sofferto, la voglio sentire.»
«Si è spaventato e di certo non si è divertito, ma non ha sofferto.»
«Allora inizia pure a raccontare.»
*

«Allora: io lo so che tu ascolti solo progressive anni Settanta e al massimo jazz, ma te lo ricorderai quel pezzo famoso di Marcus Novaresi, no?»
«Avrei dovuto staccarmi le orecchie o passare metà degli anni Novanta inchiodato alle cuffie del walkman per non sentire quella canzone orribile. Jenny sa, giusto?»
«Giusto. Il motivo per cui tante bambine nate alle fine dello scorso millennio si chiamano Jenny, peraltro. Il primo e il più grande successo di Marcus Novaresi, contenuto in uno sdolcinato e mieloso disco fintorock. Vendutissimo, naturalmente.»
«Sì, be’, guarda, l’abominevole gusto musicale dell’italiano medio non mi suona proprio come una novità…»
«Insomma, dopo quell’esordio col botto, Marcus Novaresi fa un tour trionfale, seguito da un manipolo di agguerritissimi fan. Uno in particolare, fondatore di un fan club, sempre in prima fila a ogni concerto, da Trieste a Siracusa. Un ragazzo di nome Aurelio Doni.»
«Uno che segue il tour di Marcus Novaresi da Trieste a Siracusa andrebbe privato del diritto di voto, secondo me. Ma continua pure.»
«Va bene. Ma oltre a Jenny sa, ti ricordi altre canzoni di successo di Marcus Novaresi?»
«Uhm… Occhi di brace, forse.»
«No, quello era un altro, credo. Ma ti rispondo io: non ti ricordi altri successi perché non ha avuto altri successi. La carriera di Marcus Novaresi è defunta quando ancora i suoi dischi si compravano con le lire.»
«Mai triste sorte fu più meritata.»
«Per cui, dopo il grande tour negli stadi e l’abbastanza grande tour nei palazzetti dello sport, siamo passati al medio tour nei club. E poi alle sagre di paese, praticamente. Ma, mentre il numero dei fan calava in maniera esponenziale, Aurelio Doni resisteva. Sempre in prima fila anche alla Festa della Patata di Busacchio sull’Adige, così come era stato in prima fila sotto l’immenso palco di San Siro.»
«Un uomo così andrebbe premiato. Oppure internato.»
«Be’, indovina? È stato premiato. Marcus Novaresi ha licenziato il suo manager dopo l’ennesimo, tragico concerto, e ha deciso di affidarsi a qualcuno che fosse sinceramente affezionato alla sua musica. E quindi, Aurelio Doni è stato promosso a nuovo manager.»
«Buono questo liquore.»
«Te l’ho detto che Franco è una garanzia. Comunque: Aurelio Doni accetta con entusiasmo il nuovo ruolo, e fa di tutto per rilanciare la carriera del suo idolo. Solo che il suo idolo sforna dischi sempre più brutti, sempre più tristi, sempre più inutili. E si porta addosso l’immagine indelebile dell’artista che ha avuto una sola hiy, la meteora degli anni Novanta, quello che viene invitato ai programmi nostalgici per far vedere che è ancora vivo. E così, nonostante tutti gli sforzi di Aurelio Doni, la carriera di Marcus Novaresi non migliora.»
«E cosa succede?»
«Succede che Marcus Novaresi perde la testa. Si convince che il suo bassista storico sta complottando col batterista per boicottarlo, suonando male apposta. E li licenzia entrambi… una scusa per non dover pagare troppi membri della band, si suppone. Poi va in tour con delle orribili ritmiche elettroniche. E bassista e batterista gli giurano eterna e mortale vendetta.»
«Tutte queste cose tu le conosci perché hai seguito passo a passo la carriera di Marcus Novaresi, immagino.»
«Deficiente, le ho scoperte l’altro giorno indagando sul caso. Allora, nella band di Marcus Novaresi restano solo i due fratelli Prendiparte, chitarra e tastiera. Che in pratica non parlano neppure più con il loro cantante: l’intermediario è Aurelio Doni, l’unico che riesce a mantenere rapporti umani con Marcus Novaresi.»
«Che sgradevole situazione.»
«Allora, mentre ordiniamo un altro bicchierino a Franco, ti racconto la storia dei due portafortuna.»

*

«Quand’era ancora un giovane cantante desideroso di sfondare, Marcus Novaresi aveva comprato, o si era fatto costruire, non lo so, un ciondolo particolare: un plettro di ferro, dalla forma piuttosto aggressiva. Un triangolo appuntito, in pratica, che portava appeso al collo mentre registrava Jenny sa. Per cui ha deciso che quel ciondolo era il suo portafortuna, e non se ne separava mai.»
«E l’altro portafortuna?»
«Un vecchio stereo. Uno di quei modelli anni Novanta, quei grossi cubi neri con tanto di alloggiamento per le cassette sopra lo sportellino del cd. Quello stereo viaggiava sempre con lui durante i tour, ed era protagonista di uno strano rituale…»
«Non vedo l’ora di scoprirlo.»
«Prima devo illustrarti le richieste di Marcus Novaresi agli organizzatori dei suoi concerti.»
«Cose stravaganti? Droghe, ragazze avvenenti, cinquemila rose…»
«No, almeno in quello era morigerato. Lui chiedeva solo di avere un divano in camerino e di potersi portare dietro il gatto.»
«Il gatto aveva un nome?»
«A quanto ne so, si chiamava Gatto.»
«Grande. Un artista davvero fantasioso.»
«Dunque, prima dei concerti la cosa funzionava così: me lo hanno detto e ripetuto i fratelli Prendiparte. Quando loro o Aurelio Doni provavano a entrare nel camerino per fare delle normali richieste a Marcus Novaresi, tipo, quali canzoni vuoi cantare questa sera?, lui faceva segno di aspettare. E metteva in scena un bizzarro teatrino.»
«Sono tutto orecchi.»
«Sdraiato sul suo divano, con lo stereo dalla parte opposta del camerino, Marcus Novaresi ascoltava i propri brani cambiando traccia di continuo. Brano numero uno, brano numero due, brano numero tre… se gli sembrava che il gatto reagisse bene alla canzone, la inseriva nella scaletta della serata. Altrimenti, la scartava. Che poi il gatto reagisse bene o male, questo lo capiva solo lui.»
«Oh, santo cielo!»
«Va bene. Allora, capita che in questo demenziale giro di concerti, Aurelio Doni organizzi una tappa qui a Bologna. E l’unico posto che accetta di far esibire quel relitto umano di Marcus Novaresi è, rullo di tamburi, l’Orchidea Selvaggia. La conosci, tu, l’Orchidea Selvaggia?»
«Dovrei?»
«No che non dovresti. Pare che sia un localaccio di ultimissima categoria, un incrocio tra un vecchio night club, un dancing per disperati e una sala concerti per poveri dimenticati come Marcus Novaresi. Sarebbe stata l’ennesima esibizione triste di un cantante finito da almeno quindici anni.»
«Perché dici sarebbe stata
«Perché Marcus Novaresi non ha fatto in tempo a salire su quel palchettino cadente. È morto.»

*

«Dunque. Siamo nel tardo pomeriggio, mancano due ore al concerto. L’Orchidea Selvaggia è ancora chiusa. I fratelli Prendiparte stanno montando i loro strumenti. Aurelio Doni è al piano di sopra, a finire di discutere di cose pratiche con il gestore del locale, un certo Denis Marra. Marcus Novaresi è nel suo camerino con il gatto, a inscenare il suo solito rituale. Le canzoni dallo stereo si sentono appena, al di là della porta del camerino, ma di colpo un frastuono infernale riempie l’aria: Marcus Novaresi deve aver girato la manopola del volume al massimo, e le note di Jenny sa e di quegli altri brani di cui neppure conosco il titolo stanno assordando i fratelli Prendiparte, che sono a pochi metri, Aurelio Doni, che è appena uscito dall’ufficio di Denis Marra, e lo stesso Marra. Tutti e quattro convergono verso il camerino, infastiditi da quell’assurdo bombardamento di decibel.»
Jenny sa è orribile anche a volume normale, chissà così…»
«Vabbè, a parte le considerazioni artistiche: Aurelio Doni bussa per chiedere a Marcus di abbassare, ma quello non risponde. Allora prova ad aprire: la porta è chiusa dall’interno. A quel punto, preoccupati, decidono di entrare di forza.»
«Come nei migliori film.»
«Denis Marra protesta, urla che non gli possono danneggiare il locale e che dovranno pagare i danni, ma i tre si mettono insieme e riescono a buttarla giù, quella porta.»
«E dentro….»
«Dentro è buio, ma la luce che proviene dal corridoio disegna i contorni di un corpo steso sul pavimento. Oddio, Marcus!, esclama Aurelio Doni, mentre Pasquale Prendiparte, pur assordato dalla musica altissima, sente un miagolio disperato nell’oscurità. Accende la luce, e vede il gatto appeso a mezz’aria.»
«Ecco. Adesso soffro.»
«Marcus Novaresi lo portava spesso in giro con un guinzaglietto… ecco: il guinzaglietto era legato stretto intorno alla pancia del gatto, fissato al soffitto, e la povera bestia agitava le sue zampette nel vuoto senza trovare un appiglio.»
«Basta, dai…sto male al solo pensiero.»
«Insomma, immagina la scena: i fratelli Prendiparte che cercavano di slegare il gatto senza farsi graffiare, la musica altissima, Aurelio Doni curvo sul corpo coperto di sangue di Marcus Novaresi che strillava Chiamate un medico, chiamate un medico, Denis Marra che si metteva le mani nei capelli per il danno al camerino e per la cattiva pubblicità al suo locale… be’, te la faccio breve. Il gatto viene liberato, Aurelio Doni va finalmente verso lo stereo per spegnere la musica e poi si attacca al cellulare per cercare un medico, perché Marcus respira ancora, debolmente…»
«Dimmi solo che il gatto stava bene.»
«Santo cielo, sì, te l’ho detto all’inizio! Il gatto se l’è cavata con un gran spavento, ma a Marcus Novaresi non è andata così bene. Quando il medico è arrivato, l’indimenticabile autore di Jenny sa era già morto.»
«E a quel punto hanno chiamato te.»
«A quel punto, hanno chiamato me.»

*
«Allora, la prima cosa strana che vedo è questa: accanto al corpo c’è un flacone di sonniferi aperto e mezzo vuoto.»
«Frena: non hai detto che Marcus Novaresi era coperto di sangue?»
«Sì. Infatti la causa della morte è un oggetto appuntito che ha trafitto la carotide, come un piccolo pugnale… devo riassumerti tutto quello che ti ho raccontato fin qui, o intuisci da solo la natura di quel piccolo pugnale?»
«Il plettro di ferro?»
«Esatto. Quello che Marcus Novaresi portava come un ciondolo.»
«Quella che è stata sfondata era l’unica porta del camerino?»
«L’unica porta, chiusa dall’interno. Non c’erano finestre, né altri passaggi verso l’esterno. Un classico, buon vecchio giallo della camera chiusa.»
«Segni di lotta?»
«Nessuno. Solo dei graffi sulle braccia di Marcus Novaresi, del tutto compatibili con i segni procurati dagli artigli di un gatto.»
«Tracce di sangue in giro?»
«Una sola, sullo stereo, ma di natura evidente: Aurelio Doni ha toccato il corpo insanguinato di Marcus, e poi è andato a spegnere la musica. La mano è sua, il sangue di Marcus. Facilmente spiegabile.»
«La quantità di sonnifero ingerita da Novaresi era fatale?»
«No. Elevata, sì, ma non fatale.»
«Quindi abbiamo quattro persone sulla scena del delitto. Qualcuno poteva avercela con la vittima?»
«I fratelli Prendiparte erano molto preoccupati per il loro futuro: il tour stava andando malissimo e, a quanto si sussurra, Marcus Novaresi avrebbe presto licenziato anche loro per continuare cantando sulle basi.»
«Che barbarie. Il manager?»
«Il manager era la persona più innamorata in assoluto della musica di Marcus Novaresi, come quando era solo il suo fan numero uno. Questo lo dicono e lo giurano tutte le persone che ho interrogato.»
«Il gestore del locale?»
«Personaggio piuttosto sordido. Lui e Aurelio Doni avevano appena litigato perché erano stati venduti pochissimi biglietti, e Denis Marra voleva dimezzare il compenso pattuito.»
«Il batterista e il bassista licenziati?»
«Avrebbero avuto dei buoni motivi di rivalsa, ma nessuno li ha visti all’Orchidea Selvaggia. E comunque…»
«…comunque, il camerino era chiuso dall’interno. Chiunque sia stato, ha attraversato magicamente le pareti.»
«Mi hai tolto le parole di bocca.»
«Uhm. Non mi spiego in alcun modo il ruolo del gatto, ma per il resto parrebbe un suicidio.»
«Vediamo qual è la tua ricostruzione dei fatti.»
«Ecco… vista l’assoluta impossibilità di entrare e uscire per un eventuale assassino, la dinamica dell’evento appare chiara. In una crisi di nervi autodistruttiva, dapprima Marcus Novaresi ha usato crudeltà sul povero gatto, che lo ha giustamente graffiato. Dopodiché ha pensato di uccidersi con le pillole… ma prima di cadere addormentato ha cambiato idea, e si è trafitto con il plettro di ferro.»
«Filerebbe tutto, in effetti. Ma…»
«Ma non è andata davvero così.»
«No. Non è andata davvero così.»

 

 

 

 

 

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