Di niente e di nessuno



Dario Levantino
Di niente e di nessuno
Fazi
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Di niente e di nessuno: un t’a scantari di nenti e di nuddu. Se nasci a Brancaccio, famigerato quartiere popolare nella periferia meridionale di Palermo, la regola principale è questa: non devi avere paura di niente e di nessuno.
Ci prova, Rosario Altieri, che avrebbe dovuto chiamarsi Jonathan, ma porta il nome del nonno portiere e vincitore di una coppa di bronzo in un torneo provinciale. Ci prova, il quindicenne Rosario, a non scantarsi per le cose che vede sotto i palazzoni del suo quartiere: i combattimenti di cani che si concludono con il lancio dei resti dello sconfitto lungo Largo Buozzi, la via piena di buchi dove, tra immondizia e carcasse di motorini, i moribondi vengono finiti a sassate dai picciutteddi; i pugni armati di chiavi tra le nocche, sferrati sugli occhi per costringere Rosario a cedere il posto da titolare nella Virtus Brancaccio; le minacce e le imboscate per punire l’anomalia di un carattere diverso in un luogo in cui omologazione fa rima con violenza. Ci prova Rosario Altieri a non scantarsi mai, di niente e di nessuno, come i personaggi della mitologia greca che ama studiare. Ci prova, il talentuoso portiere, quando tiene testa a Totò e Gaetano, due mafiosetti che gravitano intorno alla squadra di calcio amatoriale per la quale milita.
Le minacce più grandi non vengono però dalle strade del celebre rione. Come spesso accade si nascondono tra le mura amiche. Dentro il sudicio casermone di edilizia popolare che ospita l’appartamento di famiglia, il padre di Rosario, un uomo cinico e sprezzante, non punciuto ma mascariato, tiranneggia la moglie. Roberto e Maria, i nomi dei due personaggi, sono il buio e la luce nella vita dell’adolescente. Lui nel negozio di integratori dove vende sostanze dopanti, lei nella remissiva abnegazione verso le cose di casa; lui con i contatti nel sottobosco corrotto della piccola amministrazione pubblica, lei con il sogno, infranto dalla volontà predatoria del consorte, di aprire un atelier di cucito; lei nell’amore cieco verso l’uomo che ha sposato, lui nel tradimento subdolo e continuato.
La dedizione assoluta verso la madre e l’odio nei confronti del padre, costituiscono l’elemento costante del naufragare omerico di Rosario tra le strade di Brancaccio, così come della sua reazione alla discrasia familiare. Una ribellione feroce appena mitigata dalla comparsa di Anna, giovane sedicenne forte e disadattata quanto lui. La poesia con cui Levantino racconta il rapporto tra i due ragazzi distingue alcune delle pagine più belle e meritevoli del romanzo. Una scrittura altrettanto lirica, cruda e viscerale allo stesso tempo, riemerge nella descrizione del grigiore di Brancaccio, una sorta di non luogo alla deriva, dove il male è quotidianità e la lotta per l’elevazione può essere mortale. La conclusione di questo grande lavoro d’esordio colpisce duro, con una dose massiccia di quell’ironia malvagia che solo la vita reale sa riservare senza pietà alcuna. Da sempre, fin dai tempi degli eroi della mitologia tanto cari a Rosario.

 

Thomas Melis

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