E verrà un altro inverno – Massimo Carlotto



Massimo Carlotto
E verrà un altro inverno
Rizzoli
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È un mondo piccolo quello descritto da Carlotto in E verrà un altro inverno. Un microcosmo fatto di piccoli sogni, piccole menti semplici e piccoli ragionamenti.  Chiuso sul fondo di una valle, dove la modernità pare avere portato solo la crisi economica.
Un luogo dove i criminali, anche loro piccoli, non hanno armi, ma affittano la pistole dall’unico pregiudicato del luogo, che alla fine dei conti è una mezza tacca pure lui. Un territorio barricato nelle sue di tradizioni, che vive di pettegolezzi, di malignità e misere vendette. Una società dove più di tutto contano il nome e la reputazione, l’apparenza e l’appartenenza e poi l’onore sbandierato, ma non sempre meritato. Dove il senso di colpa dura un attimo e nessuno pare disposto a pagare le conseguenze delle proprie scelte.
Un piccolo mondo antico che guarda lo straniero con sospetto perché con tutti i suoi soldi, non può anche essere esempio di rettitudine e onestà. Perché uno straniero ha sempre qualcosa da nascondere, un passato ingombrante, e non può essere lui a mostrare il fallimento e la miseria morale al paesello.  E quindi Bruno Manera, il foresto che viene dalla città, che si è pure sposato la figlia di una delle famiglie più importanti della valle, diventa non solo la vittima sacrificale, il bersaglio verso cui dirigere pregiudizi, frustrazioni e rivalse, ma anche il mezzo per rivendicare il proprio ruolo e la giusta considerazione nelle gerarchie della valle. Quasi un passaggio di casta, una rinascita con il riconoscimento del proprio valore. Capita allora che, quelle piccole menti, vengano tratte in inganno e cadano nella tela del ragno (non per nulla la frase in esergo è tratta da Tela di ragno di Gian Maria Testa). Che non è solo il piano architettato da uno dei personaggi, ma anche la metafora di quanto sia facile fare prendere le decisioni sbagliati. Commettere l’errore che ti cambia la vita, in peggio. Dopotutto, non servono grandi moventi per cadere nella tela del ragno, sono sufficienti ottusità, immobilismo, passività. Facendo leva sui valori tanto sbandierati dalla comunità, qualcuno manovra i personaggi come pedine, fino a quando qualcosa va storto. Perché c’è sempre qualcuno che ha un movente più grande, qualcuno con una tenacia superiore unita a una coscienza addomesticata. All’interno del romanzo, fra i tanti personaggi, sono due quelli che spiccano in potenza e capacità evocativa. Uno è forte del proprio nome, del proprio passato, della tradizione e delle conoscenze maturate in una vita di scambi. L’altro ha la ferocia e la determinazione di chi ha un sogno da perseguire nella speranza di un futuro diverso. Due personaggi che più di altri sembrano capaci di muoversi all’interno di dinamiche che superano i confini del loro territorio d’azione. Perché Il disegno, l’inganno e il fine ultimo, in fondo, sono sempre gli stessi, sia nei piccoli centri che nelle grandi città. Sia che si tratti di piccoli criminali o di grandi organizzazioni. Così come universali sono le molle scatenanti e i meccanismi su cui fare leva. Il risultato, tuttavia, non è per nulla scontato. Perché può anche capitare che tutto cambi per non cambiare mai e perché, alla fine, verrà un altro inverno e sarà uguale a quello precedente. 

Cristina Aicardi

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