Faccia a faccia con Gianluca Ferraris – Piombo su Milano

unnamedAvevo avuto il piacere di intervistare Gianluca Ferraris poco più di un anno fa, dopo l’uscita del suo libro A Milano nessuno è innocente.
Torno a parlare nuovamente con lo scrittore e giornalista, in occasione dell’arrivo in libreria, sempre per Novecento Editore, di Piombo su Milano, ultima (in ordine di tempo) tesissima e avvincente avventura del suo cronista di nera Gabriele Sarfatti, alle prese questa volta con la morte misteriosa, a opera di un letale cecchino, di piccoli criminali, più o meno emarginati, gravitanti attorno ai campi rom della degradata periferia meneghina.

Gianluca, ancora una (attesa) indagine dello “strafatto Sarfatti”, come l’ho definito, con involontario gioco di parole, nella mia recensione. Si tratta di una tua precisa scelta letteraria od oramai Gabriele Sarfatti è talmente una figura “viva” e amata dai lettori che si anima motu proprio e si impadronisce di prepotenza delle tue pagine bianche senza che tu possa opporti?
Guarda, non ho mai creduto a questo cliché dei personaggi che a un certo punto iniziano a vivere di vita propria, quasi impossessandosi della trama. Ma ovviamente sono felice di aver costruito un personaggio così realistico, capace di leggere Milano e le sue storie con un occhio particolare nel quale si sono riconosciuti molti lettori della mia e della sua generazione: anche la scelta di renderlo seriale è presente dall’inizio, un po’ per gli stessi motivi.

Dicevamo del protagonista, Gabriele Sarfatti, tenace, coraggioso e spesso sfigato cronista di nera che per amor di cronaca (e di scoop) si lancia spesso in avventure temerarie, sempre in compagnia delle sue fedeli Luckyblu ma soprattutto ricorrendo, con inquietante ripetitività, all’aiuto di sostanze più o meno legali, più o meno pericolose, dallo Xanax all’erba alla bamba, passando per tutte le sfumature intermedie. Hai volutamente esagerato questa sua “passione” per rendere il personaggio più caratterizzato, o effettivamente l’uso e l’abuso di sotanze sta diventando sempre più diffuso, attraversando un po’ tutti gli strati sociali? Pare quasi che a Milano “nevichi” tutto l’anno come a Cortina d’inverno. E a cosa è dovuto, secondo te, questo fenomeno?
L’enfatizzazione fa parte della costruzione di un personaggio come Sarfatti, e contribuisce credo a renderlo più simpatico e umano anche quando fa o dice cose terribili. Provare a riderci sopra, a trasformarlo in un elemento insieme solenne e semicomico, come le rose di Nero Wolfe e gli oppiacei di Sherlock, mi aiuta a esorcizzare l’abuso di stupefacenti, alcol e farmaci. Che purtroppo è una realtà sempre più diffusa, almeno da quel che mi capita di osservare. Non sono un sociologo, non so quale sia la ragione: forse un tempo non c’era quest’impressione di vuoto assoluto, di competizione continua, di baratro imminente. C’era la sensazione che le cose potessero andare meglio anche senza aiutini.

In Piombo su Milano conosciamo ancora un’altra città, più livida e triste, anche se pur sempre affascinante. Anche l’ambientazione della storia è diversa (le periferie, i grandi viali fuori dal centro, i campi rom). Le caratteristiche noir e criminali, le ambientazioni desolate, la “paura” che si percepisce dalle tue pagine nella gente “normale” (ammesso che tale termine abbia ancora un senso), sono però sempre le stesse… Dove sta andando Milano, dal tuo osservatorio privilegiato?
Io amo Milano e la mia percezione, se vogliamo dire così, è più benevola rispetto a quella del protagonista. Ma allo stesso tempo devo riconoscere che questa città non riesce ancora a fare i conti col suo passato e fatica a disegnare per sé un futuro, nonostante grattacieli e rassegne. Anche le persone mi sembrano più indurite. Ripeto: non voglio generalizzare. Ma c’è tutto un mondo di valori, ambizioni e gesti solidali che mi pare in caduta libera. E naturalmente la coesione sociale ne risente.

In Piombo su Milano ci parli, oltre che del degrado sociale della metropoli, e delle infiltrazioni della malavita straniera, di un aspetto molto particolare, vale a dire del business legato all’accoglienza degli stranieri e degli avidissimi appetiti che esso suscita. Un’altra fonte di reddito per spregiudicati imprenditori e assessori di dubbia moralità? E quanto c’entra la malavita organizzata in tutto ciò?
Ogni volta che in Italia si incrociano gestione emergenziale e fondi pubblici la situazione rischia di degenerare: lo straordinario che diventa ordinario; l’emergenza che diventa strutturale e la continua deroga alle normative, che finisce per penalizzare il migrante e trasformarlo in soggetto passivo di decisioni che non riesce a capire. Sulle strutture che ospitano i richiedenti asilo le inchieste che denunciano infiltrazioni criminali sono decine in tutta Italia, e anche se la presunta “emergenza zingari” non è più prioritaria per giornali e la politica, le dinamiche sono le stesse. Raccontando il business che ruota intorno ai campi rom ho finito per fotgrafare anche la realtà attuale. Ambientando la storia a Milano ho dovuto lavorare maggiormente con la fiction, tuttavia, perché per fortuna qui il cuore delle persone e l’organizzazione ci hanno consentito, almeno finora, di tenere botta.

Possiamo dire che il finale del tuo libro è un pochino… spiazzante. Senza far capire nulla della trama per non togliere al lettore il piacere della sorpresa, ci puoi spiegare il perchè di questa tua scelta?
Semplicemente mi sembrava una via percorribile per il finale. Spiazzante, appunto, come dovrebbe essere la scoperta del colpevole in un giallo, ma plausibile.

I tuoi libri attingono molto dalla cronaca nera “reale”, rimaneggiando e “mixerando” i fatti in un modo che io trovo davvero originale e avvincente. Ma si può dire che oramai la cronaca, a volte, va, in negativo, anche oltre la “finzione” letteraria?
Il noir è diventato in questi anni uno degli strumenti principali di denuncia di determinate realtà: ormai non bisogna più inventarsi nulla, perchè è la cronaca a offrirci quotidianamente storie gialle e noir dai dettagli così violenti che superano di slancio la fiction. Altre volte, come provo a fare anche io, i due ambiti finiscono per contaminarsi, anticiparsi e “raccontarsi” a vicenda. Non so quanto questo transfer si verifichi poi per scelta consapevole di chi scrive: ma in fondo lo scrittore è sempre stato un osservatore e una sorta di “filtro” fra la contemporaneità e la pagina, no?

Per finire, Gianluca, quando pensi che Gabriele Sarfatti tornerà a occuparsi di te e di qualche altra pericolosissima indagine?
Molto presto, forse già prima della fine del 2017. L’idea è quella di chiudere una sorta di trilogia su Sarfatti e la sua città di adozione, iniziata nel 2015 con A Milano nessuno è innocente e proseguita con questo secondo capitolo.

Gian Luca Antonio Lamborizio

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