FEFF. Incontro con Sabrina Baracetti

Udine – Quest’anno, finalmente, mi sono presa una settimana di ferie per godermi il Far East Festival: ci ho proprio visto giusto. Per nove giorni ho potuto gustarmi, dal mattino a notte fonda, un sacco di film bellissimi, con retrospettive preziose.
L’atmosfera è calda, informale, per nulla accademica o, peggio, intellettualoide. E’ pieno di persone di ogni tipo e provenienza, che hanno in comune l’amore per il cinema asiatico, persone con cui ti fermi a parlare dopo la proiezione, scambiandoti idee e condividendo emozioni.
Non ho visto salire in cattedra nessuno, nemmeno i consulenti che hanno presentato opere e artisti, e che ben avrebbero avuto titolo, forse, per non mischiarsi tra il pubblico come invece hanno fatto. Persino i registi e gli attori ospiti giravano tranquillamente negli spazi comuni e in sala, scambiando parole con chi lo chiedeva, fra un autografo e un flash.
Udine è una città decisamente accogliente, molto aperta e per tutte le tasche.
L’organizzazione del festival è stata strepitosa, impeccabile: oltre che su grandi teste (questo è più che evidente, sono rimasta davvero impressionata dall’altissima qualità della selezione presentata), il suo successo si fonda su tanti giovani, gentili e disponibili volontari.
Per non dire di un Comune intelligente e di sponsor illuminati.
Per una settimana abbondante ho avuto il lusso di non pensare ad altro e di nutrirmi di bellissime immagini, storie, emozioni, incontri.
Sono molto grata per l’esistenza di un posto, di un evento come il FEFF.
Volevo assolutamente conoscere chi c’è dietro a tutto questo.
Così è nata l’intervista a Sabrina Baracetti, presidente del FEFF, che subito e con grande disponibilità, ha risposto alle mie domande.

Come nasce il FEFF?
E’ nato un po’ per caso, anche se, al contempo, frutto di un lavoro molto motivato che si stava facendo già da diverso tempo. L’associazione “Centro Espressioni Cinematografiche” (“CEC”) nasce nel 1973 da un gruppo di persone appassionate di cinema, focalizzatesi sull’esercizio cinematografico attraverso la gestione di una sala d’essai, che presto è divenuta quella più importante della città. Il CEC si è così da subito misurato – continuando a farlo nel tempo – con ciò che concerne (i) l’esercizio cinematografico, (ii) la distribuzione in Italia, (iii) la presenza sul territorio.
A tutt’oggi il CEC gestisce ad Udine le sale “Visionario” e “Sala Centrale”, dove si svolgono tutto l’anno rassegne e retrospettive d’essai.
Per quanto riguarda i contenuti, per molti anni, prima di fare il FEFF, il CEC si è occupato di cinema italiano e di genere, con un approccio, quindi, molto simile a quello di oggi. E’ stata fatta in passato, per esempio, la rassegna “EuroWestern”, con la quale si sono proiettati non solo western italiani, ma anche finlandesi, spagnoli e tedeschi.
L’edizione “numero zero” del festival ha avuto luogo nel 1998 ed è stata interamente dedicata alla cinematografia di Hong Kong. Allora la produzione cantonese era molto fiorente. I nostri consulenti erano Derek Alley, giornalista di Variety (uno dei massimi esperti del cinema asiatico) e Lorenzo Codelli, che collabora anche con “Positif”. Abbiamo cominciato con una sala che poteva contenere soltanto 250 persone, ma da subito ospitammo nomi importanti, del calibro di Johnny To.
L’anno dopo c’è stato il salto: il Sindaco ci ha accordato la sua fiducia ed al CEC è stato possibile utilizzare il Teatro Nuovo “Giovanni da Udine”. Così, intraprendendo un’impresa tecnica che al tempo stesso era una scommessa (quella di trasformare un teatro in un cinema), il FEFF ha preso ad espandersi, aprendosi anche ad altri Paesi: Giappone, Corea (il cui cinema stava cominciando ad emergere proprio allora), Filippine, Thailandia, Indonesia e Cina continentale.

Come avviene la selezione dei film in concorso?
Si tratta di un processo alquanto complesso. Ci avvaliamo di diversi consulenti, che vivono sparsi per il mondo ed hanno il polso di come realmente sia il mercato nel singolo Paese di riferimento: Hong Kong, Shanghai, Tokyo, Pechino, Bangkok, Filippine. Questi consulenti svolgono, per tutto l’anno, un intenso lavoro di monitoraggio e ci suggeriscono una serie di film da visionare. Dopodiché, a Udine, il nostro team provvede a guardare tutti i film segnalati dai nostri consulenti e seleziona le opere da portare in concorso. Una volta fatta la scelta, secondo un procedimento ormai collaudato, provvediamo, insieme ai consulenti, a redigere il catalogo con le schede dei film, le interviste agli autori, e i paragrafi dedicati al bilancio, per quella produzione e al mercato di ogni Paese presente.

Qui a Udine si respira un’aria molto informale, poco accademica: è qualcosa di voluto?
Certamente sì, è fortemente voluto. Ad Udine noi portiamo prodotti commerciali e popolari, quelli che la gente comune, in Oriente, va a vedere nelle sale. Vogliamo parlare di prodotti popolari per sottolinearne la vitalità [non a caso il premio è assegnato dal pubblico, è un “Audience award”, e non da critici o da accademici, n.d.r.].
D’altra parte, va detto che diversi libri prodotti dal CEC in materia di cinematografia sono assolutamente rispettati e stimati, anzi, vengono adottati dalle università, così come molti studenti si rivolgono a noi per svolgere le loro tesi di laurea, addirittura, sul nostro lavoro, sul festival, sugli autori che presentiamo.

Parliamo della distribuzione in Italia…
Questo è un tema che mi sta a cuore. Noi del CEC, insieme a “Cinemazero” (che organizza il festival del cinema muto di Pordenone) abbiamo fondato la società Tucker Film (il nome è chiaramente ripreso dal film di Francis Ford Coppola, ci piaceva l’idea della realizzazione del sogno…) proprio con lo scopo di occuparci direttamente di distribuzione.
L’anno scorso la Tucker ha acquistato i diritti di “Departures” che, oltre ad avere vinto il FEFF Audience Award del 2009, è stato anche premiato con un Oscar per il miglior film straniero. Abbiamo prima studiato l’operazione anche con un accurato studio di marketing. Eppure, nonostante i premi e la fiducia nell’opera, abbiamo rischiato tantissimo. In questo campo ci si può fare davvero molto male. Abbiamo scelto di andare avanti perché, in ogni caso, ci sembrava assurdo che un film che aveva ottenuto tanto riconoscimento di critica e di pubblico, potesse rimanere ignorato. Abbiamo provveduto al doppiaggio e stampato 40 copie della pellicola, che è uscita in Italia lo scorso 9 aprile e per ora sta andando bene sia come critica che al botteghino.
Per il futuro la Tucker ha senz’altro il progetto di continuare a distribuire film asiatici in Italia.

Nel corso del FEFF 12 abbiamo parlato molto del destino del cinema di Hong Kong e dei suoi rapporti con il quello in mandarino della Cina popolare: tu che ne pensi?
Indubbiamente la cinematografia hongkonghese sta passando anni difficili. Gli spettatori che si recano in sala diminuiscono, i ragazzi giovani vanno al cinema molto meno di un tempo e si registra una disaffezione del pubblico dal prodotto locale. Tuttavia quest’anno abbiamo assistito ad una sorta di rinascita del cinema di Hong Kong, dell’orgoglio cantonese: va letto come segnale positivo il fatto che per la prima volta dopo tre anni, in questa edizione del festival abbiamo presentato ben dieci film di Hong Kong [alcuni di essi sono co-produzioni tra HK e Cina popolare e distribuiti in mandarino, n.d.r.]

Grazie Sabrina, al prossimo anno.

blue ginestra

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