Fiordo profondo – Ruth Lillegraven



Ruth Lillegraven
Fiordo profondo
Carbonio
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Sulla raffinata qualità del catalogo dell’editore Carbonio mi sono soffermata già in precedenti occasioni. Oggi quindi, per Fiordo profondo di Ruth Lillegraven (Carbonio, Collana Cielo stellato, pagg.352, novembre 2020), mi limito a dire che ne rappresenta l’ennesima conferma.
L’autrice – poetessa, drammaturga, scrittrice pluripremiata – si cimenta per la prima volta nel thriller, superando la prova a pieni voti visto che il romanzo ha riscosso un immediato successo internazionale, sancito anche dalla vendita dei diritti cinematografici. 
In un periodo in cui gli scaffali delle librerie e gli schermi televisivi sono sempre più affollati di opere ascrivibili al cosiddetto “giallo nordico”, il romanzo della Lillegraven ben figura anche tra i suoi più conosciuti colleghi. Pur inserendosi nell’accorata schiera di quanti denunciano le falle del welfare state scandinavo, che semina insospettabili sacche di ingiustizia sociale e finisce per generare forti squilibri interni, la Lillegraven lo fa con voce fresca e sincera, che ben armonizza un intento di pubblica denuncia a favore dei minori maltrattati, la categoria più indifesa di una società che non li sa proteggere e spesso anzi li ignora, con un sottile scandaglio psicologico individuale. 
Non a caso la coppia protagonista di Fiordo profondo, Clara Lofthus e Haarvad Fougner, – funzionario di Stato lei, pediatra lui – pur da prospettive diverse converge verso un obiettivo comune, la denuncia dei maltrattamenti sui bambini. Clara, avvocato in forze presso il Dipartimento di giustizia, ha appena ultimato la bozza di una proposta di legge che dovrebbe obbligare gli enti pubblici – ospedali, servizi sociali, servizi per la sanità, scuole – a denunciare casi sospetti di violenza appunto sui minori. Dal canto suo Haarvad, come medico, da qualche tempo si è reso conto che con sempre maggior frequenza arrivano nel suo reparto bambini feriti o addirittura ridotti in fin di vita dagli stessi genitori che li accompagnano. 
È appunto il caso di un piccolo pakistano giunto in pronto soccorso mentre è di guardia Haarvad, con un danno cerebrale irreversibile e segni evidenti di ripetute percosse. Appare presto evidente che responsabile debba esserne il padre, un tipo tracotante e violento, che a sorpresa, di lì a poco, viene trovato cadavere proprio in ospedale, nella stanza riservata alla preghiera dei musulmani, ucciso da un colpo di arma da fuoco. L’arma in questione, una Glock 17, fino a qualche tempo prima era chiusa a chiave nel cassetto della scrivania di Sabiya Rana, collega e amante di Haarvad, una pakistana con trascorsi pochi edificanti nelle gang criminali giovanili. Mentre i sospetti di quell’omicidio si addensano sui due, altre vittime cadono sotto i colpi della Glock, tutti genitori di bambini maltrattati curati nel reparto di Haarvad e compresi in un elenco che il medico ha stilato con casi simili a quello del piccolo pakistano.
La carriera di Clara intanto decolla, portandola a ricoprire il ruolo di segretaria di stato, un incarico prestigioso che oltretutto le consente di continuare a battersi per la sua proposta di legge in favore dei minori maltrattati, nonostante la sempre più evidente ostilità dello stesso ministro di giustizia. Il suo privato però incomincia a rivelare falle sempre più profonde: il matrimonio con Haarvad sembra arenato tra silenzi e incomprensioni, l’amatissimo padre Lief viene colpito da un ictus e Agnes, la madre anaffettiva e distratta rinchiusa da anni in un istituto psichiatrico, dà segni di totale ripresa e chiede con insistenza di incontrarla. E, per sovraprezzo, un trauma che Clara ha subito in passato non sembra voler più restare nascosto nelle pieghe della memoria. 
Fiordo profondo è un romanzo ben costruito e di forte impatto emotivo, in cui l’alternarsi nel racconto da parte dei principali protagonisti si traduce in uno scandaglio psicologico profondo e convincente. Tutti colpevoli in vario grado – di indifferenza, incuria, aggressività, violenza, rancore mai sopito -, tutti vittime di famiglie disfunzionali. Ruth Lillegraven non giudica, si limita a registrare con sguardo non privo di empatia il fatale concatenarsi degli eventi, fino a uno scioglimento finale, feroce e ineluttabile. 
La sostanziale solitudine in cui si muovono i personaggi, autentica cifra emotiva che permea l’intero romanzo, è diretta conseguenza di colpe e segreti, ma anche di traumi subiti e di responsabilità assunte al posto di altri. Un male di vivere, il loro, che da individuale si fa collettivo per l’incapacità di condividerlo con i famigliari stessi, per l’impossibilità di perdonarsi e perdonare.
In una insolita Norvegia estiva di “giornate brillanti, luminose, con il cielo azzurrissimo”, tra i quartieri della ricca borghesia di Oslo e lo spettacolare Vestlandet dei fiordi, l’animo dei protagonisti si affaccia sull’abisso. Ed è in quel fiordo, il più scosceso e profondo, “di un verde così brillante che ogni volta fa salire il cuore in gola”, “immobile e splendente come l’oro caldo” ma dal cuore di ghiaccio, che il loro animo si perde per sempre.  Perché, come dice Nietzsche, “Chi combatte contro i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda”. 
Una storia tragica e catturante, narrata con voce consapevole ma mai enfatica, in un linguaggio preciso ma privo di inutili preziosismi: un lessico quasi “in sottrazione” che carica l’effetto drammatico anziché sminuirlo. Come del resto l’ambientazione in pieno sole che provoca brividi più di qualunque oscurità invernale.

R

Giusy Giulianini

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