Gli amici del delitto perfetto



Trapiello
Gli amici del delitto perfetto
neri pozza
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Cosa si può dire di un giallo in cui il delitto arriva a pagina 198, cioè a due terzi del romanzo?
Mentre lo leggevo, mi ripetevo che non poteva trattarsi di un vero poliziesco eppure, fin dalle prime pagine, mi ero sentito precipitato in un clima torbido, passionale e di disincantata ironia degno del miglior Hammet.
Non è un caso, del resto, che il protagonista si chiami Sam Spade, al secolo Paco Cortés, un giallista madrileno piantato in asso dalla moglie e che sbarca il lunario scrivendo, per la casa editrice ‘Dulcinea’, ruvidi noir di sapore rigorosamente cheyneiano… Sì, me ne rendo conto, sono alla seconda citazione in poche righe, ma non si può evitare perché questo è un poliziesco sulla passione per il genere poliziesco.

“Gli amici del delitto perfetto” è, infatti, una congrega di folli che hanno in comune l’ossessione per il crimine nella sua estrinsecazione letteraria. Ciascuno di loro si fa chiamare col nome di alcuni dei più celebri protagonisti del mistery di tutti i tempi. E così facciamo conoscenza, oltre che con Sam Spade, con Perry Mason, Maigret, Marlowe, Sherlock Holmes, Nero Wolfe, Padre Brown, E.A. Poe… Alcuni hanno qualcosa in comune con i personaggi di cui assumono il nome (Mason è un avvocato, Maigret è un poliziotto, Nero è un gourmet, Padre Brown è un religioso), mentre altri nulla o quasi. Aspirano ad una rigorosa determinazione dei canoni giallistici e, all’inizio del libro, nel loro ritrovo del caffè Commercial, Paco-Spade detta un apprezzabile elencazione di regole imprescindibili ispirate all’opera del grande Van Dine. Si confrontano continuamente sui loro scrittori preferiti collocandoli in un pantheon dove si distinguono i ‘grandi’ dai ‘classici’. Ma soprattutto lavorano indefessamente all’ideazione – teorica – del delitto perfetto.

Va da sé che il destino riserva loro una sorpresa: incontreranno il delitto perfetto, ma non sulle pagine dei grossi mastri in cui Nero Wolfe maniacalmente verbalizza tutto quanto viene sviscerato durante le loro riunioni, bensì nella vita reale.

E questa svolta viene preparata e realizzata attraverso un progressivo, geniale cambiamento di registro della narrazione: nelle prime pagine fatichiamo a capire se ci troviamo nella Chicago notturna del romanzo che Paco Cortés sta ultimando o piuttosto nella cupa notte madrileña in cui prende il via l’azione; in seguito, mentre si definisce con sempre più realistica crudezza lo sfondo del romanzo, Paco e gli altri fanno delle scelte che allontanano sempre di più loro e noi dalla finzione letteraria, finché sarà la vita a rimettersi in marcia “con la sua allegra e traballante musica da giostra”.

La contingenza storica in cui realtà e finzione si contaminano generando la trama, è il grottesco tentativo di colpo di stato perpetrato contro la giovane democrazia spagnola nel tardo pomeriggio del 23 febbraio 1983: mentre gli amici del delitto perfetto sono riuniti al caffè Commercial, il colonnello della Guardia Civil Antonio Tejero, con la pistola in pugno, sta tenendo sotto sequestro i parlamentari spagnoli nell’aula del parlamento. Il blitz si sgonfierà in poche ore lasciando un ambiguo retrogusto di tragicomico sgomento e, scolpito nella memoria, l’anacronistico faccione baffuto del capo della sommossa, ma, intanto, la vicenda narrata nel romanzo ha preso una china inarrestabile al termine della quale c’è un morto, l’ultima vittima della guerra civile spagnola, punito con la pena capitale in nome di una “giustizia poetica” più resistente del tempo e dei compromessi cui tende a cedere la memoria collettiva.

Trapiello che, con questo romanzo ha vinto il premio Nadal nel 2003, oltre che uno scrittore, è uno studioso e un appassionato estimatore di Miguel Cervantes e questo spiega l’affetto e l’ironia con cui narra le vicende tribolate e dolorose del suo protagonista nella Madrid del dopo Franco. Del resto è lo stesso autore a dichiarare in una intervista “…il cavaliere del Cervantes è il detective, un uomo solo, qualcuno che insegue la giustizia assoluta, ferito sentimentalmente, non apprezzato…”.

paolo donati

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