Gridare

Dieci racconti per raccontare tanti mondi, i tanti volti dell’amore. Amori accettati, versatili, scolpiti, urlati, visivi, quotidiani, universali.

E l’universalità li accomuna in questa giostra illuminata dalla luce del passato che spiazza il presente, come se la memoria, che si accende e si spegne, possa essere una necessità ma anche una ferita, un tempo in sospeso.

Con astuzia Ricardo Menendez Salmon immerge il lettore in un mondo che è “dentro ad altri mondi”, in una realtà promiscua, trasfigurazione di sé stessa, inventata ex novo da colui che può disporre dell’arte, in quanto artista.

Il “grido”, così ancestrale che infiamma “di vergogna”, diviene liberazione dei sensi, diviene incontro ed espressione di un amore puro, non contaminato da corpi e da parole.

Il “naufrago” insegue un tempo che fu e apre una porta che lo conduce ad un’isola di “sette lettere” da cui è impossibile fare ritorno. Il palazzo “in fiamme” appare in tutta la “sua bellezza ingiuriosa” e racchiude il destino di una vita. Il dolore, insito e nascosto in ogni vita, implora di essere ascoltato, di essere letto. L’amicizia enigmatica nata da “il piacere degli sconosciuti”, mostra come un libro e una pergamena di pelle possano manifestare la vita con tale chiarezza da risultare oscura. Il quadro, come un mondo, cela un vissuto diabolico di colore blu, uno spettro dai capelli rossi del sedicesimo secolo. La contessa ama la futura gloria della letteratura nordamericana per una sola notte, come se quel tempo racchiudesse tutte le età e le metamorfosi della donna. Il doppio personaggio si addentra nel suo passato e, inseguito da quattro cavalli blu, decide di non chiamare il maestro del macabro pallottoliere.

Ogni attore, che recita sul set di questi racconti “senza uscita”, mostra come guardare oltre l’apparenza del mondo, perché nulla di ciò che è esiste solo in sé, ma tutto sta “nel saper guardare, nell’educare l’attenzione”.

Claudia Caramaschi

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