Nell’attesa del suo incontro online di lunedì 30 novembre alle ore 18.00 con Sebastiano Triulzi per parlare di La salita dei saponari, finalista al Premio Scerbanenco, riproponiamo le nostre due interviste a Cristina Cassar Scalia.
Sei per la seconda volta tra i finalisti di un prestigioso premio, te lo saresti mai aspettato?
Assolutamente no!
Un successo nel genere crea timori per le aspettative che fa nascere o è solo gioia?
Direi un po’ e un po’. Da un lato aumenta il senso di responsabilità nei confronti di un pubblico di lettori che diventa più ampio, e di conseguenza cresce il timore di poterlo deludere. Dall’altro, però, c’è la grande felicità di sapere che i propri personaggi hanno colpito il cuore e l’immaginazione di tante persone. Questa, secondo me, è la vera linfa vitale per uno scrittore.
Partiamo dal principio, dalla frase in esergo: perché proprio quella frase de Il fu Mattia Pascal?
L’idea mi è venuta a libro concluso. Ho intravisto qualcosa di Pirandelliano nella storia di Esteban Torres, e ho deciso di citare quella frase.
Il primo personaggio che incontriamo, una delle due persone che rinvengono il cadavere, è un buffo concentrato di pregiudizi sul meridione. Tu avei qualche pregiudizio sul nord che poi hai confermato o confutato?
Assolutamente no! Mai avuto pregiudizi nei confronti di nessuno. E non ho mai nemmeno notatopreconcetti di alcun genere da parte dei miei molti amici settentrionali nei confronti del meridione. Ho inventato quel personaggio come una macchietta, e come tale doveva avere tratti esagerati e ridicoli. Una caricatura, insomma. Uno stereotipo ambulante. Però sulla questione del clima mi sono divertita un po’. Spesso chi viene dal nord Italia è convinto che in Sicilia si stia in maniche di camicia tutto l’anno, il
che non è vero.
In un paio di punti parli della Brianza, cos’hai contro di noi? Scherzo, ovviamente, però essendo io brianzola...
Sono stata una sola volta in Brianza, l’anno scorso, e mi è piaciuta. L’ho nominata come esempio di provincia lombarda, visto che i due soggetti in questione provenivano proprio da lì. E l’altronpersonaggio, l’uomo, da bravo meridionale c’era andato bardato come per un’escursione al polo nord. (Come vedi non è solo la settentrionale che ho descritto come una macchietta!)
La stanza dei cimeli dei latitanti catturati esiste veramente?
Sì esiste. Alla sezione Catturandi della Mobile di Palermo. Mi aveva colpito molto, quando c’ero entrata, così ho deciso di inserirla nel libro.
C’è mai stato qualche libro che ti ha turbato talmente tanto che, come Vanina, l’hai eliminato fisicamente dalla libreria?
No. Non ho mai eliminato nessun libro. In realtà il libro che aveva turbato Vanina, aveva turbato parecchio anche me. Però non dirò il titolo!
Leggendo ho proprio avuto l’impressione che tu fossi più “sciolta”, più a tuo agio: come se la macchina fosse stata ampiamente rodata e adesso ti potessi permettere una guida più sicura e veloce. Mi sbaglio?
Forse è così. Convivo con Vanina, e con tutti i personaggi intorno a lei, ormai da anni. Ho acquisito una certa confidenza e spesso li lascio andare per la loro strada limitandomi a inseguirli. Finiscono sempre col portarmi nella direzione giusta.
Devo ammettere di non avere controllato, ma mi sembra che tu abbia usato un po’ di più le parole in dialetto
Dipende dai dialoghi. Ci sono dei personaggi che realisticamente parlano in siciliano più di altri, se questi personaggi hanno più spazio ovviamente i termini dialettali usati diventano di più.
I personaggi di Patanè e Bettina, i due più anziani, sono un concentrato di amore e tenerezza. Ti sei ispirata a qualcuno che conosci e ami per delinearli?
Sono la sintesi di tante persone che hanno fatto parte della mia vita, molte delle quali ormai non ci sono più. Con in più qualcosa di cinematografico.
Da cosa parti per la creazione di un personaggio? Aspetto caratteriale, fisico, o altro?
Dalla sua funzione nella storia.
Vanina mangia senza pensare alle linea, e questo ci piace tanto, non disdegna un bicchiere, ma soprattutto fuma le Gauloises, roba fortina, da vero noir. Una donna che se ne frega degli schemi, direi…
Riguardo al cibo è semplice: Vanina mangia tutto quello che vorrei mangiare io! Il resto invece fa parte del suo personaggio, che è senza dubbio fuori dagli schemi.
Sei una che programma rigidamente la sua scrittura? Usi scalette?
Sono disordinatissima. Creo sempre una scaletta, che poi disattendo puntualmente.
Sei un medico, quindi immagino che non sia difficile per te parlare con anatomopatologi o altre specializzazioni per avere le informazioni necessarie per le tue trame, ma per la polizia, come funziona?
Nei ringraziamenti citi tutte le persone che ti hanno aiutato. Ora ei una scrittrice nota, ma quando ancora
non lo eri, sei stata “presa sul serio” fin dalla primissima richiesta’?
Sempre. Ho avuto la fortuna di trovare sin dall’inizio, nella polizia, persone disponibilissime con cui ho instaurato rapporti di amicizia. Così anche nella polizia scientifica. Sono stata accolta con grande disponibilità sia alla mobile di Catania, che a quella di Palermo. Per questo libro ho disturbato perfino il questore di Palermo.
Come hai vissuto il periodo del lockdown? Sei riuscita a leggere e scrivere? E come ti sembrano le presentazioni on line? Ti manca il contatto col pubblico?
Il periodo del lockdown è stato strano. Leggere e scrivere sembrava quasi faticoso, nonostante la quantità di tempo a disposizione e l’inattività forzata. Forse perché l’ho vissuto anche da medico. Le presentazioni online sono un buon compromesso, ma il contatto col pubblico dei lettori mi manca parecchio.
Mi dici la cosa più buffa o strana che ti è stata chiesta durante una presentazione?
Una volta mi chiesero se nella mia vita avevo mai pensato di fare il poliziotto. Mi sembrò una domanda incredibile. Il poliziotto io?
Hai scritto in passato libri storici, come è avvenuto il passaggio al noir? Pensi che potresti scrivere un noir storico?Il passaggio al noir è avvenuto per caso, in realtà. Da lettrice di gialli avevo sempre pensato che scriverne uno fosse un esercizio al di sopra delle mie capacità. Poi, proprio mentre ero alla ricerca di una nuova storia da raccontare, mi sono imbattuta in un’antica villa alle pendici dell’Etna, e dentro c’era un montacarichi … Non so come, non so perché, ci ho immaginato dentro un cadavere mummificato. Da più di 50 anni. E’ nata lì l’idea di Sabbia nera e del vicequestore Giovanna Guarrasi detta Vanina.
Vanina è nata già come personaggio seriale?
Non subito. Quando ho iniziato a scrivere di lei non sapevo nemmeno se le sue gesta sarebbero mai finite in libreria. Mentre aspettavo di scoprirlo, però, annotavo tutte le idee che mi venivano per altri casi in cui coinvolgerla. E’ stato appena dopo aver saputo che Einaudi Stile Libero l’avrebbe pubblicato che ho realizzato la possibilità di sviluppare altre storie.
Quale è stata la prima caratteristica di Vanina che ti è venuta in mente?
Le Gauloises! …Scherzo, ovviamente. Nella prima immagine che ho visualizzato, lei era circondata da locandine di vecchi film. L’ho costruita come una donna professionalmente realizzata, ma piena di contraddizioni e di ombre nel privato. E l’ho immaginata da subito come figlia di un poliziotto vittima di mafia.
Ci sono argomenti che pensi non tratterai mai in un tuo libro?
Io non riesco a scrivere storie che non mi piacerebbe leggere, di conseguenza credo che non scriverei mai un fantasy né un romanzo distopico.
Immagina di essere a cena con Vanina, di cosa parlereste? Pensi avrebbe qualcosa di cui lamentarsi con te?
Be’, è facile: parleremmo di vecchi film! Potrebbe lamentarsi di attentare alla sua salute facendola fumare come una ciminiera e mangiare dolci a quattro palmenti.
Essere una scrittrice di successo comporta anche sacrifici,viaggi, presentazioni, festival ed eventi. Come vivi tutto questo? Come riesci a conciliare la tua vita privata e professionale con gli impegni di scrittrice?
Sicuramente la mia vita ha subito un’accelerazione. Viaggiavo già abbastanza da prima, appresso alla moltitudine di congressi di oftalmologia cui partecipo anche per seguire mio marito che spesso è relatore. Ora viaggiamo per due diversi motivi, ma cerchiamo ugualmente di partecipare il più possibile l’uno alle trasferte dell’altro. Quando posso, cerco di far coincidere le presentazioni con i congressi, sia come data che come sede.
Ricordi il primo libro che hai letto?
Se escludiamo le fiabe di Collodi, il primo vero romanzo che ho letto è stato Piccole Donne.
In che oggetto ti riconosci?
Una macchina da scrivere.
Hai la possibilità di attribuirti la paternità di un libro non tuo, quale scegli e perché.
Ma no! Non lo farei mai!
Perché e per chi scrivi?
Scrivo perché ho sempre amato farlo, e perché infilarmi nelle storie e nei personaggi che invento mi emoziona, oltre a divertirmi da morire. Un tempo scrivevo per me stessa, al massimo per i pochissimi cui facevo leggere i miei racconti. Adesso scrivo anche per tutti i lettori che si sono affezionati alle mie storie, con la speranza di non deluderli mai.
Tutti gli incontri con i finalisti saranno visibili sui canali social del Festival e anche sulla pagina facebook di MilanoNera.
L’appuntamento con Cristina Cassar Scalia è per lunedì 30 novembre alle ore 18.30