I grandi ospiti del NebbiaGialla: Paola Barbato



Paola Barbato
I grandi ospiti del NebbiaGialla: Paola Barbato
Piemme
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Paola Barbato  sarà uno dei grandi ospiti del NeggiaGialla Suzzara Noir Festival 2020. 
L’appuntamento è a Suzzara (Mn)  dal 31 gennaio al 2 febbraio 2020. Paola Barbato   vi aspetta sabato 1 febbraio alle ore 16
Qui tutte le info sul NebbiaGialla 2020
Nell’attesa, vi riproponiamo la nostra recensione a Zoo, Piemme. 

Anna si risveglia in preda ai postumi di un’anestesia. E’ chiusa dentro una gabbia su ruote. Un carrozzone di quelli con cui un tempo i circhi trasportavano gli animali. Quando, nella semioscurità, si rende conto di non essere in preda a un incubo e che le sbarre sono reali, ha un violento attacco di panico. Comincia a urlare chiedendo se ci sia qualcuno in quel posto oltre a lei.
Le sue grida svegliano un essere che le appare mostruoso. Un uomo imponente con barba e capelli rossastri che le risponde urlando a sua volta. E’ chiuso nella gabbia accanto.
Tutt’intorno, altre gabbie, contraddistinte da scritte in cirillico. Sono molto simili fra loro, tranne una, lunga e bassa, con la scritta “coccodrillo”.
Comincia così Zoo, thriller dai contorni horror che letteralmente risucchia i lettori trasportandoli di peso nella gabbia insieme ad Anna, facendo loro vivere gli stessi terrori, la stessa condizione bestiale fatta di suoni, luce, buio, stati di incoscienza alternati alla lucidità, disgusto per il cibo immangiabile, e la puzza terribile di tutto quello che può produrre il corpo umano ridotto allo stato animalesco.
I carrozzoni si trovano all’interno di un enorme capannone industriale con alte finestre che di giorno lo inondano di luce. Sono tanti, tutti abitati, tranne uno che è vuoto. A poco a poco le persone rinchiuse, completamente nude, si rivelano ad Anna con molta reticenza, facendole capire che non ci sono speranze di fuggire da quel posto. Che l’unico prigioniero che ci abbia davvero provato è morto. Che l’unica via di fuga è riservata alla mente che dopo un po’ impazzisce. Che una volta arrivati lì, la cosa giusta da fare è rassegnarsi e godere di quello che si ha: solo acqua in un contenitore di silicone e cibo. Cibo che per Anna è composto dagli avanzi di una mensa buttati alla rinfusa dentro un sacchetto, che devono essere razionati con molta attenzione perché vengono forniti solo una volta alla settimana.
In quel posto vigono regole ferree, ma non sono mai state comunicate. Ciascuno le deve apprendere a furia di punizioni. La prima e più importante è rassegnarsi mostrandosi sorridenti e non lamentarsi mai di nulla, non reagire a nulla. Perché il sequestratore-aguzzino non ammette sgarri e punisce senza pietà colpendo nel buio con una lancia appuntita.
Ma Anna non si rassegna e ingaggia una lotta suicida contro il suo aguzzino, benché i suoi compagni di sventura le abbiano fatto capire che l’unico sequestrato che si fosse ribellato è morto. Ovviamente la lotta per la libertà è impari perché Anna, nuda come tutti gli altri, combatte con gli unici strumenti che ha: la sua intelligenza e la sua feroce determinazione.
Non si può rivelare di Zoo, un thriller che è un vero incubo capace di inchiodare il lettore fino all’ultima pagina e oltre, perché prelude un sequel. Un incubo ben scritto, con uno stile visuale che fa di ogni dettaglio il frame di un film e per questo, tanto più orrorifico. Un incubo che non è così lontano dalla realtà perché chi scrive, occupandosi nel passato di sequestri, ha visto ostaggi tenuti per mesi e mesi dentro gabbie in condizioni anche peggiori.
Gestita con grande padronanza della trama e del linguaggio, questa storia corale e claustrofobica, che presta molta attenzione alla psicologia dei prigionieri e alle dinamiche che si instaurano fra di loro e col padrone-sequestratore che nessuno vede mai, può essere interpretata in chiave politica come una grande, complessa metafora della libertà vista per quello che è, cioè non un bene assoluto e universale bensì il frutto di conquiste soggettive a misura di ciascuno.
Gran bel romanzo anche se lascia il lettore in preda per giorni a una specie di inquietudine che è difficile dissipare. Perché tutto ciò che è narrato, per quanto possa apparire duro da accettare, è reale e può capitare a chiunque in qualsiasi momento dal momento che l’aspetto più spaventoso è proprio l’assenza di motivazioni del sequestratore il quale non cattura le vittime a caso, ma seguendo un disegno preciso, eppure senza l’ombra di una ragione comprensibile: non per vendetta personale, non per denaro, non per quella particolare ferocia che muove i predatori di ogni tipo, soprattutto quelli sessuali, non per soddisfare la pulsione irrefrenabile e momentanea dei serial killer … E allora, perché?
Già, perché? Domanda che ne include un’altra: perché non io?

Adele Marini

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