I racconti del workshop NebbiaGialla – Andrea Bisighin

Continuiamo a pubblicare i racconti realizzati durante il workshop di Adele Marini alla quinta edizione del festival NebbiaGialla.
I racconti scritti partendo dai due incipit: La fuga e Giochi pericolosi, creati appositamente per il workshop che si è tenuto presso la biblioteca civica di Suzzara nell’ambito del 5° NebbiaGialla Noir Festival. I partecipanti li hanno elaborati in soli 45 minuti di tempo e l’ordine di pubblicazione dipende esclusivamente dalla data di arrivo dei testi alla nostra redazione e non da un giudizio di merito, essendo stati giudicati tuttii di ottimo livello.

Giochi pericolosi di Andrea Bisighin

Erano tutti lì, in fila come birilli. Dodici uomini e undici donne. Sempre gli stessi. Tute mimetiche e anfibi ai piedi. Eccitati, vigili, pronti a scattare. Al via sarebbero partiti come schegge e si sarebbero dispersi fra gli alberi. Era una guerra senza prigionieri quella in cui stavano per impegnarsi allo spasimo. A vincerla non sarebbe stato il più forte, ma il più cattivo, il più astuto, il più spietato. La posta era alta e nessuno si sarebbe tirato indietro. Nessuno avrebbe provato pietà per nessuno.

Era così intensa la concentrazione su chi stava per dare il segnale di partenza, che nessuno notò l’ombra che si allungava sul prato. C’era qualcuno dietro la quercia che segnava l’inizio del sentiero. Qualcuno che, immobile, scrutava le loro mosse sorridendo ad un pensiero segreto: “Coraggio, belli. Fatemi vedere quanti di voi saranno ancora vivi al tramonto.”

Il tracciante profilò in aria la sua scia obliqua, rossa e sulfurea e i simil-soldati formato week end si mossero secondo schemi consolidati, degni dei coach dei club calcistici più blasonati: non c’era il 4-4-2 con il mediano di spinta, c’era da portare a casa la pelle o, comunque, da venderla cara, all’ultimo istante.

Anche Poker era della partita ed arrancava sul crinale di tramontana che saliva sulla collina: se avesse vinto avrebbe estinto i suoi schizofrenici debiti di gioco, se fosse caduto, sarebbe stato, comunque, un successo, barando, all’ultimo giro con il suo aguzzino che, con una mano gli aveva elargito 100 mila euro e, con l’altra, ne pretendeva 300 mila.

Poker si era defilato e, mentre i suoi compagni di sventura si dirigevano nelle più disparate direzioni quasi senza volerlo, era scivolato dentro ad una vecchia trincea di quel Carso friabile ed austero.

Il cielo sembrava voler schiantarsi al suolo, gremito di nembi neri, carichi di pioggia. Veleno e rabbia che soffiavano da poco più in là, dal Kosovo, oltre confine.

Le gocce iniziarono ad infrangersi pesanti al suolo, come una sassaiola e, di lì a poco, la pietra porosa si fece scivolosa come di lisciva sporca e consunta; la terra, un tempo riarsa, divenne un pantano grave.

Poker aveva individuato le tracce di qualcuno meno scafato di lui che avanzava, pesante, sotto quello scroscio di biglie liquide. Poco avanti una sagoma goffa imbracciava maldestra un AR70-90.

Il giocatore scivolava leggero, abituato a ben altro, quando era giunto ad una decina di passi, aveva individuato un ramo solitario, con il piede l’aveva spezzato, sincronizzando il lancio del pugnale alla rotazione del busto dell’avversario improvvisato; sotto il mephisto, Poker ghignava: aveva allungato la punta dell’indice sulla giugulare recisa, constatando che il primo boccone era stato indolore.

Lo spezzarsi del ramo aveva attirato altri predatori in caccia ed il boia diveniva immediatamente facile preda: Poker era sparito, come una serpe, nei cunicoli delle trincee della grande guerra, complice il sibilare di un vento freddo e fradicio.

A tardo pomeriggio, con i suoi trucchetti da baro navigato, Poker era riuscito ad assicurarsi 5 scalpi che, sistematicamente, stivava nella sua borsa a tracolla: il sapore pieno e denso del sangue lo eccitava, più di due strisce di coca.

La pioggia aveva trasformato tutto in una poltiglia appiccicosa che odorava di vero, di vita e di morte: Alle sette Poker si toccava, nervosamente compiaciuto di essere ancora tutto intero, in possesso del suo coltello a lama opaca che recideva cuoi capelluti con la stessa precisione chirurgica del barbiere della piazza del vecchio paese che sbarbava il nonno in mattine assolate di un’infanzia che sembrava non gli fosse mai appartenuta.

Altri 15 minuti ed il punto delta si avvicinava sul gprs da polso, giunto con ridotto anticipo a destinazione per allestire l’agognato gran finale. Dopo aver teso l’orecchio a fiutare i rumori circostanti, si era arrampicato sull’albero e si era appollaiato all’interno di una cavità del tronco armando la cerbottana con i suoi micidiali spilli. Uno alla volta i superstiti si erano avvicendati nella radura sotto quella coltre liquida. Lui aveva atteso che ne rimanesse solo uno in piedi, aveva inspirato profondamente imprimendo in quell’esalazione il suo afflato di morte: l’uomo era caduto pesantemente al suolo in una pozza di fango, confondendosi con il terreno.

Poker era già intento nella discesa del tronco, pregustando già la soddisfazione del bacio della vittoria, di un intenso verde dollaro, quando udì nitido il click del cane dell’arma semiautomatica impugnata dall’uomo a terra che lo incorniciava con il puntino rosso del visore notturno…

Rimase lì, come uno scoperto a scoreggiare a mezz’aria, in attesa della sua esecuzione quando la saetta si abbatté sulla pianta che rovinò a terra, sorda e pesante: Poker spirò abbracciato a quella madre legnosa che cosparse resina sul suo capo e il Grande Fratello che, per tutto quel tempo aveva spiato, godendo, quel gioco al massacro, finì con un grosso ramo conficcato nell’orbita di destra.

La guerra, nella tragicità della storia e nell’assurdità della finzione, non ammette vincitori: brinda solitaria, bevendo a piene mani dal tetro calice della morte, assaporando, da secoli, il retrogusto dolce amaro del sangue.

L’autore
Andrea Bisighin, di Villafranca (Verona), laureato in Scienze Politiche a Padova è un grande appassionato di bicicletta e di scrittura creativa, due grandi amori che riesce a conciliare collabora con la rivista “Ruota libera” e scrivendo poesie sul tema, raccolte, nel 2010, nell’antologia Pedali diVersi.

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