I ragazzi dello zoo di Milano



Riccardo Besola, Francesco Gallone, Andrea Ferrari
I ragazzi dello zoo di Milano
Fratelli Frilli Editori
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I ragazzi dello zoo di Milano. Operazione Bombay
Giovedì 16 marzo 1978, ore 8,45: una data destinata a essere scritta nella nostra storia con il sangue. Quel mattino, infatti, a Roma era scattata la trappola che aveva permesso all’ala militare delle Br di rapire Aldo Moro dopo aver assassinato i cinque uomini della scorta. Un massacro del quale però, a metà mattinata, il commissario Benito Malaspina della Mobile di Milano, “Mala” per i suoi, era ancora all’oscuro.
Era stato incaricato di indagare su un banalissimo omicidio allo zoo di Porta Venezia. Anzi, due omicidi più un sequestro, se si contavano il macaco trovato stecchito accanto al cadavere di un guardiano e il furto dell’elefante. Il commissario, da poco diventato padre di un bebè che dormiva tutto il giorno e passava le nottate a strillare, arrivato sulla scena del crimine insieme al maresciallo Valenti più o meno all’alba aveva più di un motivo per essere irritato. Anzitutto la levataccia, poi il fatto di essere stato assegnato a un caso che qualunque pivello, avrebbe potuto risolvere da solo. Ma il morto c’era stato e bisognava indagare, tanto più che la star dello zoo, la tenera Bombay, l’elefantessa che si esibiva tutti i giorni davanti ai bambini con i suoi immensi occhiali, era scomparsa.
Chi poteva avere avuto interesse ad ammazzare un ometto inoffensivo, armato solo di fucile spara anestetico? E il macaco? Ovvio che il movente doveva essere per forza il furto dell’elefantessa. Ma come avevano fatto a portarsela via? E dove potevano averla nascosta?
Mente le ipotesi sui crimini e la loro dinamica si andavano facendo via via più surreali, era arrivata la notizia dei fatti di Roma e il commissario aveva capito di non poter appioppare a nessuno quell’indagine per la quale si sentiva sminuito. Ormai nelle strade era tutto un incrociarsi di sirene. Non restava che affidarsi a chiunque potesse dargli una mano, magari con una soffiata raccolta nel giro della malavita frequentato assiduamente dal cronista di nera Dino Lazzati, noto come “Fernet” per la predilezione per l’amaro che trangugiava a ogni ora del giorno, ma soprattutto per aver eletto a proprio ufficio un bar di periferia dalle frequentazioni equivoche, cosa che gli dava una visuale a trecentosessanta gradi sul mondo violento della criminalità.
L’atmosfera di questo romanzo, breve ma delizioso, è quella tesa e malinconica della Milano di periferia che parla ancora in dialetto, a cui si contrappone la violenza degli scontri nelle strade. E la data dell’azione non è stata scelta a caso.
Lacrimogeni e sirene in centro, bocciofile e cascine ai margini e, qua e là, i deliri ondivaghi degli “Indiani metropolitani”, i giovani raccolti nel movimento del quale forse si è parlato troppo poco, ma che ha avuto una propria importanza nell’essere “un mix fra la rivolta esistenziale e rivolta politica”, come l’ha definito lapidariamente Primo Moroni, uno che di ribellioni giovanili se ne intendeva.
Già, gli Indiani. A rapire Bombay potrebbero essere stati proprio loro, tanto più che la proboscide dell’elefantessa era stata vista fra i fumi del’alcol da tale Pierino. Spuntava da una delle cascine occupate in fondo a via Ripamonti, ma è ovvio che quando lo dice nessuno gli crede.
Si snoda così, fra cantonate e riflessioni alcoliche, questa nuova indagine meneghina scritta dal trio Besola Ferrari & Gallone. Un romanzo “della memoria” in cui, ironia e malinconia pervadono tutto, anche i colpi di scena, anche l‘ansia per la sorte di Bombay, mentre sullo sfondo violento della città che pare in preda alla follia, aleggia, rassicurante, il profumo del Minestron cunt el lard cucinato dalla Luisa dell’Osteria di Osvaldo.

 

Adele Marini

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