Il buon inverno



Joāo Tordo
Il buon inverno
cavallo di ferro
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Un giovane scrittore portoghese è invitato a Budapest per un meeting letterario dove incontra Vincenzo Gentile, collega italiano, la di lui fidanzata Olivia e Nina, agente letterario nonché compagna di uno scrittore inglese. Per quanto lontano da ogni vita mondana, nonché infastidito da una zoppìa che lo costringe all’uso del bastone, il nostro si fa trascinare dalla compagnia lisergica fino a Sabaudia, dove Don Metzger, produttore hollywoodiano, abita una villa denominata “Il Buon Inverno”. Non ci mette molto a capire la varia e disgustosa umanità che si aggira per quelle stanze, ma quel che è peggio è che il cadavere del padrone di casa viene trovato in un lago adiacente. Si tratta di un omicidio. Niente di meno che l’epifania di un vorticoso succedersi di fatti che avrà come denominatore unico la cattività dell’intero gruppo nella prigione naturale formata dal bosco che protegge la villa.
Lisbonese di 36 anni, Joāo Tordo cuce con Il buon inverno un romanzo nerissimo, intrigante discesa verso le parti più basse dell’esistenza umana incapace di fermarsi neanche davanti alla propria paura. La storia, nella sua prima parte, respira aria moraviana (Gli indifferenti) e porta con sé echi da Il talento di Mr Ripley della maestra Patricia Highsmith (con la terra romana a far da collante comune alle tre opere). Poi, una volta accaduto l’irreparabile, prende la via che solo l’autore ha deciso. Un progressivo tutti contro tutti dentro cui non si rivela soltanto il moltiplicarsi di un fatto di sangue dietro l’altro e il nome del colpevole, ma che espone alla visione di ciascuno ciò che in superficie ogni ospite riesce a portare meglio di ogni altra cosa quando l’incubo sembra chiudere ora dopo ora ogni via di uscita: grettezza, arrivismo, autismo.
Un romanzo che parla più linguaggi. Scrittura brillante e guida matura.

Corrado Ori Tanzi

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