Il canto del nemico – Tony Hillerman



Tony Hillerman
Il canto del nemico
HarperCollins Italia
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Lo si legge pensando a realtà lontane, nello spazio e ancor più nel tempo. Per scoprire poi che molto dell’universo ritratto da Tony Hillerman ne “Il Canto del Nemico” può dire qualcosa ancora oggi. Era il 1970 quando “The Blessing Way”, titolo originale, arrivò per la prima volta nelle librerie italiane: negli anni in cui il selvaggio west popolava l’immaginifico cinematografico, televisivo e letterario molto più di adesso, Hillerman diede vita al tenente della Navajo Tribal Police Joe Leaphorn e al giovane sergente Jim Chee, consacrandosi maestro di un genere, il poliziesco “etnico”, a cui diversi autori continuano ad attingere tuttora.  

“Il Canto del Nemico”, riproposto in questi giorni da HarperCollins, ne costituisce il biglietto da visita. Primo episodio della serie dedicata a Joe Leaphorn, segue le indagini sull’omicidio di un giovane ricercato, il cui corpo giace in un luogo isolato della riserva navajo. Nessun indizio utile, né tracce sulla scena del crimine ma il fatto che la vittima abbia la bocca piena di sabbia induce a pensare che dietro la sua morte possa celarsi qualche creatura soprannaturale: non è un caso che in parecchi in quei giorni abbiano visto un inquietante stregone-lupo aggirarsi per la riserva. Piste che Leaphorn batte con il solo scopo di arrivare a una verità ragionata, immune dai misticismi religiosi propri delle usanze tribali a cui il tenente guarda non senza scetticismo.  

La cultura navajo, hopi e zuni permea una narrazione intrisa di forti suggestioni spirituali senza intaccarne lo spessore. Definirle “pagine” quelle de “Il Canto del Nemico” sarebbe però riduttivo: meglio parlare di “fotografie” per gli sconfinati paesaggi resi abilmente da Hillerman. Le sconfinate lande desertiche tra New Mexico, Utah e Arizona, immagini di canyon desolati, di vento, arenarie e arido terriccio. Molto più di una cornice, la natura selvaggia finisce per essere un personaggio a sé stante: le condizioni climatiche e i repentini cambiamenti stagionali riflettono le inquietudini di Leaphorn e degli altri protagonisti. I fantasmi, le ombre. Problemi di coscienza e contrasti interiori. 

È complessa e sfaccettata la realtà dei nativi nelle riserve americane di fine Novecento ma, a distanza di tanti anni, può ancora dire qualcosa. Può spingerci a riflettere sul senso di comunità oggi: sul rischio di una pericolosa disgregazione a cui la pandemia potrebbe aver impresso una preoccupante accelerata. Può parlarci di insofferenza e disagio: di giovani che faticano a riconoscersi nella loro “comunità” d’origine, nell’accettarne le regole. Può raccontare di angosce esistenziali personali. Dei drammi comunitari in cui si identificano.  

Ma soprattutto può ancora insegnare qualcosa sul valore della spiritualità, destinato a perdersi sempre più nel tempo. E sul rispetto. Per la natura, da preservare nella sua inestimabile bellezza. E per l’altro. Il rispetto del diverso, dell’estraneo, del nemico che, a ben guardare, così diverso da noi, così estraneo, così nemico non è. Da imparare qui c’è ancora tanto: per il resto l’importante è mantenersi comunque “in armonia e non resistere alla corrente” perché “tutto quanto avviene ha uno scopo”. Saggezza navajo.  

Giulio Oliani

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