Il caso del croato ucciso



luciano marrocu
Il caso del croato ucciso
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Luciano Serra è un poliziotto della Divisione degli Affari Generali e Riservati e lavora con un collega, Eupremio Carruezzo, che lo incanta, con i suoi ricordi della cronaca di Roma e le sue idee sul senso della vita. L’anno è il 1934, l’Europa già in fermento. Sono incaricati di risolvere il caso dell’assassinio di un ustascia, ritrovato morto nel letto della sua casa romana. L’affare si fa corposo perché il morto è collegato a un gruppo di croati che, in nome dell’indipendenza del proprio paese, sta organizzando niente meno che un attentato alla vita del re Alessandro di Jugoslavia. Il rapporto viene da un esponente di punta dell’antifascismo a Parigi, teatro previsto del regicidio. La cosa si fa più torbida. E Serra e Carruezzo partono per la Ville Lumière. E anche se nella città della perdizione piatti e bicchieri si riempiono di ogni bene, svolazzano sottane e si alzano femminili gambe nude, i due devono stare molto attenti: Benito Mussolini li attenderà al loro ritorno dalla missione.

Classe 1948, Luciano Marrocu, docente universitario di Storia Contemporanea a Cagliari, saggista e giallista, firma Il caso del croato ucciso. Un noir? Certo. Ma non solo. Cosa? Un veloce romanzo storico. Etnofilosofico. Perché le 170 pagine della storia sono anche uno spaccato su cosa siamo noi italiani: tranquille anime di casa più che avventurieri su strade sconosciute; affidabili ma fino a un certo punto; culi sulla sedia e gambe sotto la tavola più che cuori di leone col coltello tra i denti; esperti al massimo di rivolte, non di rivoluzioni.

Nelle gesta dei due protagonisti (ormai compagni tradizionali delle storie di Marrocu) c’è la consapevolezza che se come noi non c’è nessuno al mondo ad affabulare con storie e storiacce, la Storia se la trovano invece a scrivere sempre gli altri. Né Stanlio e Ollio né breve postuma epopea cervantina. Piuttosto, un gustoso affresco sul genus italicus. Che mica deve essere per forza declinato in specie italiota. Ma che invece ci fornisce uno specchio del tempo. Il quale (nonostante omicidi, spari, spie, arresti e compagnia cantante) continua a far bella mostra sulle nostre pareti. Delizioso. Con un post epilogo (quando entra in scena il Duce) magistrale. Che di per sé raccoglie umori, suoni e colori di un Ventennio più incline alla maschera di Ettore Petrolini che allo studio di Renzo De Felice.

corrado ori tanzi

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