Protagonista di questa storia è il commissario Dondina, soprannome affibbiato a colui che fu il capo della mobile di Milano a partire dal 1875. Il vero nome era Carlo Mazza e si conquistò il soprannome grazie a un’andatura dondolante accentuata, a quanto pare, da un robusto consumo di alcolici. Analfabeta, violento e con una forza eccezionale, un po’ carogna, conosceva a fondo la vita malavitosa della città di cui in fondo non disdegnava i metodi spicci. Le sue indagini hanno il fascino ingenuo del naif, ma sono lontane anni luce da quelle odierne, dove sembra non si possa incastrare nessuno senza la prova del DNA, ma altrettanto distanti da quelle di Sherlock Holmes fatte di geniale arguzia deduttiva. Qui la gente confessa a suon di botte (leggendario era il pugno del Dondina), anche se non manca, la ricerca della prova. A questo fa da sfondo una Milano di cui non è rimasto praticamente nulla. Una Milano che la penna della Fancetti tratteggia, con grande abilità , povera e disperata e tutt’altro priva di malfattori, prostitute, rischi e loschi traffici.
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