Patrick Fogli, bolognese, è scrittore e ingegnere elettronico. Ha scritto per Piemme il thriller Lentamente prima di morire (2006) e, per la stessa casa editrice, L’ultima estate di innocenza (2008) e Il tempo infranto (2009). Con la collana BabeleSuite di Perdisa ha pubblicato il romanzo breve Fragile (2007) e con Verdenero di Edizioni Ambiente Vite spericolate (2009).
Incuriosisce molto il fatto che un ingegnere informatico sia appassionato di scrittura. Fa parte di quei luoghi comuni che tendono a settorizzare le attività. Cos’hai da dichiarare a tuo discapito?!?
Che per pagare i conti bisogna anche avere un lavoro normale, per esempio… Scherzi a parte, non riesco a sentirmi diviso in due. La scrittura e la mia società fanno tutte e due parte di quello che sono. E probabilmente contribuiscono a scrivere le storie che scrivo.
Partiamo dal tuo ultimo lavoro, Vite spericolate (Verdenero). Il pericolo incombe su di noi, anche quando ne siamo ignari. Mi sembra che il tema dell’inconsapevolezza sia una costante, nei tuoi libri…
Succede quasi sempre, sì. La reazione di un personaggio a un pericolo, a un dolore, a un imprevisto che finisce per cambiargli la vita o che lo mette di fronte a scelte difficili sono situazioni che mi piace raccontare. Nel caso di Vite spericolate il pericolo è ancora più nascosto e, purtroppo, si manifesta sempre quando è troppo tardi per affrontarlo.
Un’altra costante è un po’ la “conseguenza reattiva” di questa inconsapevolezza: l’anelito alla verità. C’è un filo che lega il tentativo di oscurare la verità con quello che prescrive la morale comune? La gente deve ricevere dall’alto un quadro della realtà armonioso? Altrimenti?Altrimenti pensa. La gente non deve pensare. Mi sembra questa la dominante del mondo in cui viviamo. E per non far pensare la gente esistono solo due modi. Distorcere i fatti o non raccontarli. Spesso non c’è nemmeno una morale, solo il tentativo a volte anche maldestro di rassicurare. O, all’opposto, di creare terrore o cavalcare la paura.
Quali emozioni hai provato, durante la stesura di Vite spericolate?
Sarebbe facile dire “rabbia”. E in realtà sì, mi sono arrabbiato. Lavorando con la cronaca o con la storia si finisce spesso per arrabbiarsi, però. L’indignazione a volte è perfino controproducente se porta soltanto a mostrare lo schifo a tirarlo a galla. Una volta finita, resta poco. Dolore, quindi, oltre che rabbia. Il dolore che ho cercato di mettere in una delle voci narranti. Il dolore che viene dal sentirsi totalmente impotenti, completamente in preda di quello che succede e contro il quale non si può fare nulla. Il dolore che scatta quando non hai altra scelta che sperare in qualcosa che non contiene più nessuna speranza.
Altra costante dei tuoi libri (mi riferisco anche, ad esempio, a Fragile, Perdisapop, 2007) è l’amore. L’amore pulito, senza tattiche o sotterfugi. É un contraltare allo sporco delle vicende narrate, una tua esigenza di purezza?
È un modo per alleggerire il contesto, a volte. Scrivo di argomenti pesanti da digerire e ci vuole. E un modo per parlare anche di vita, oltre che di morte. Di sentimenti e non solo di orrore. Di vita e non solo di morte.
Ancora il tema dell’inconsapevolezza. Per Piemme è uscito quest’anno Il tempo infranto. Immagino che tu sia consapevole che alcune persone, leggendolo, si son trovate, per la prima volta, di fronte a vicende ignorate. La letteratura può costituire un piccolo tassello nella formazione della memoria collettiva?
Può essere uno stimolo a informarsi. Un modo per cercare di tenere viva la memoria e la curiosità. Ho scritto un romanzo e può tranquillamente essere letto come una storia di fantasia, da parte di chi non conosce i fatti a cui faccio riferimento. Poi, mi auguro, dovrebbe scattare il desiderio di scoprire quanto di quello che ho scritto è vero e quanto mi sono inventato. Dalle mail che ricevo, fortunatamente, è successo in molti casi.
Il tempo infranto è un romanzo storico. Cosa pensi dell’uomo nella storia? L’uomo impara dalla storia?
In questo periodo mi chiedo se l’uomo impari, indipendentemente dalla storia. E la risposta che mi viene è che impara il sistema per ripresentare continuamente la stessa storia senza che chi la vive possa rendersene conto. Almeno non in tempo utile.
Nel prossimo romanzo tratterai ancora di terrorismo. Ci anticipi qualcosa?
Solo che si tratta di una parte di storia d’Italia, anche questa volta. E che il periodo è precedente a quello raccontato nel tempo infranto. Per il resto dovrai aspettare il 2011, credo.