I primi giorni li abbiamo trascorsi a Bombay e lì abbiamo cominciato a capire che respirare in mezzo al traffico non è propriamente una grande idea. Bombay (o Mumbai) è una città di 14 milioni di persone e, probabilmente, gli abitanti escono da casa e vanno in città tutti insieme appassionatamente. La città non è male, non mancano i negozi (Paolo ne sa qualcosa) e in sole due ore si possono percorrere anche dieci km (!). I contrasti non mancano: lo skyline con i grattacieli e le baracche, gli storpi che chiedono l’elemosina e i business man che sfrecciano sull’ultimo modello di Mercedes. E poi, tanto per sentirsi a casa, pubblicità e telefonini dappertutto: anche laggiù, la comunicazione mobile è diventata un must. A Bombay, a proposito di tendenze, abbiamo visto la tinta più diffusa dell’India: riferiremo a Jean Louis David. Da Bombay a Pune ci sono solo poco più di 100 km, e in “sole” quattro ore, con un’auto e relativo autista, ci si arriva. L’impatto con il traffico e il modo di guidare degli indiani è inizialmente difficile da metabolizzare: suonano in continuazione, approfittano di ogni piccolo spazio disponibile e difficilmente ti lasciano entrare in una coda. Eppure, li vedi , li osservi e sono impassibili: mostrano una serenità profonda e un apparente distacco dalle piccole questioni legate alla circolazione. Io comunque, più volte, ho pensato di morire…ma sono qui a raccontarla quindi, diciamo che quelle cento e più macchine, quei camion scassati e bus scassati, quei bufali che portano carretti e gente in bicicletta, e quattro passeggeri sulla moto e gente che attraversa la strada e dromedari e elefanti e gente in contromano in autostrada, non hanno fatto più di tanti danni…almeno a noi.
Pune, per un sannyasin è come il vaticano per un cattolico, o almeno dovrebbe esserlo. Per me, invece è stata tutta un’altra impressione. Osho è letteralmente scomparso da quell’ashram nato sul suo lavoro e sulla sua visione (in questo senso è successo anche al festival italiano di Varazze). Delle sue provocazioni, del suo riflettere e parlare dell’uomo e delle sue contraddizioni, del suo esplodere in mezzo alla società è rimasto ben poco: oggi, il tutto sembra solo e soltanto un supermarket di lusso per occidentali annoiati o alla ricerca di nuove vibrazioni esistenziali. Tutto è molto caro e l’India, tenuta rigorosamente fuori, sembra adeguarsi ma non capire. Qualcuno mi ha spiegato che Osho è scomparso dal SUO ashram perché i sannyasin non devono creare una nuova inutile religione, eppure il discorso non convince: via le sue foto dappertutto (a parte in libreria dove se vuoi le puoi comprare) ma per entrare bisogna fare l’aids test (!) regola che Osho giustamente impose alla fine degli anni ’80, visto l’arrivo di una nuova malattia. Oggi, con tutto quello che conosciamo dalla ricerca scientifica, è una regola assurda e anacronistica, comprensibile solo perché rappresenta un’entrata economica (il test lo paghi). Vai a fare la meditazione? Ok, ma attento a non tossire se no, ti cacciano fuori. Osho, secondo me si sta facendo grasse risate, mentre gli raccontano quello che combinano a Pune…
La terza e ultima parte del viaggio in India verrà pubblicata la prossima settimana. A presto.