Intervista a Carlo Lucarelli: il Peccato mortale del mio commissario De Luca

Durante il Noir in Festival la redazione di Milano Nera ha avuto l’occasione di intervistare Carlo Lucarelli. Oltre a parlare del nuovo romanzo Peccato Mortale, abbiamo avuto l’occasione di sfiorare altri temi molto interessanti.

download (2)Passati scomodi. Sia l’Italia che De Luca ne hanno uno, ma se la Patria sembra conviverci bene, lo stesso non si può dire del commissario. Chi sbaglia a rapportarsi con la propria storia?
Da un certo punto di vista tutti e due sbagliano. De Luca ha sbagliato a rapportarsi con la storia e ho scritto un po’ di romanzi per far sì che se ne rendesse conto, poi mi sono chiesto: “ma quali errori hai commesso?”
Devo dire che l’Italia stessa si è sempre comportata in un modo particolare con il passato. Noi invece abbiamo avuto un rapporto per cui non lo conosciamo più di tanto, ce ne dimentichiamo in fretta e, se ci sono dei problemi, se ne stanno nascosti finché non torneranno la volta successiva.
È lo stesso atteggiamento che ha il mio commissario e mi sembra uno dei tanti italiani fra cui potrei includermi anch’io.

De Luca non molla la presa e fa il possibile per fare la scelta giusta, ma è davvero un Peccato mortale?
Questa è l’ambiguità. Avrei potuto collocare il commissario in un periodo storico piuttosto che in un altro, magari impegnato a compiere delle scelte sbagliate per motivi criticabili. Se De Luca si fosse voltato dall’altra parte e non si fosse accorto di quello che stava accadendo perché distratto a fare soldi, noi avremmo potuto criticarlo; “Ecco vedi, per fare un po’ di soldi hai commesso un errore”.
I miei non sono solo romanzi storici ma sono anche romanzi gialli e il detective è un personaggio importante, positivo a prescindere. Ho scelto di collocare De Luca in un determinato momento storico, mentre sta indagando per scoprire l’identità del colpevole e fare giustizia, anzi,per trovare verità e giustizia. Ecco, De Luca è distratto dal fare verità e giustizia.
La domanda è sempre la stessa: “è sufficiente questo impegno e questa dedizione per commettere degli errori storici e politici?” Questo è l’argomento del mio libro.

Immagina la scena: De Luca e tu al tavolo di un bar. Innanzitutto quando vorresti incontrarlo, cioè in che anno e di cosa parlereste?
Interessante. De Luca è nato nel 1916, quand’è che avrei potuto conoscerlo? Se l’avessi conosciuto negli anni ’80, più che domande storiche o politiche di cui De Luca non si rende più di tanto conto (lui è uno che si dimentica di mettersi la cimice durante il fascismo o se la mette che il fascismo è caduto), gli chiederei: “ma cosa ci facevi in quella Polizia?”
Perché non lo sa neanche lui e gli farei delle domande poliziesche, perché in effetti è un tecnico dell’investigazione e, fatte le dovute differenze, sarebbe come intervistare Sherlock Holmes. Gli chiederei anche: come funziona il tuo cervello? Cosa hai capito? Da dove nasce la tua attrazione per la soluzione del caso?”
Giustizia e la verità, sono concetti e realtà un po’ troppo grandi,  ecco, vorrei approfondire la sua passione nel “chiudere il quadrato”.
Continuerei anche chiedendogli: “e per questa passione, cosa sei disposto a sacrificare? Da bambino eri già così?”
Penso che De Luca sin da piccolo abbia avuto questa propensione e, per certi versi, è anche lui un uomo che cerca come lo fu il capitano De Grazia [ufficiale della Marina Militare, vittima di un reale fatto di cronaca nera trattato dall’autore in Navi a perdere].

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La letteratura è solo intrattenimento o c’è qualcosa di più?
No, c’è qualcosa di più. Quello che cerchiamo di fare, anche senza volerlo, è  mettere in scena i meccanismi del mondo e, quindi, di cercare di capirlo. E lo facciamo soprattutto dal punto di vista di quello che non funziona e questo in parte significa voler cambiare la realtà.
La letteratura non serve a insegnarti come commettere dei crimini. Normalmente serve a comprendere come questi torti avvengono e come possiamo agire affinché non avvengano più. Per cui non può mai essere solo intrattenimento.
Non deve essere diversa, non deve essere propaganda. Ci sono i romanzi a tesi, romanzi ideologici e va bene così, hanno un loro senso, ma per come lo vedo io, il qualcosa di più nella letteratura dovrebbe essere un elemento di cui neanche lo scrittore è del tutto cosciente. Io non ho scritto un romanzo del commissario De Luca per esprimere concetti specifici, l’ho messo lì e poi ho detto: “camminiamo insieme dentro a questa storia e vediamo dove possono essere i problemi”.

Avendo narrato il peccato mortale di De Luca, credi di aver saldato un conto in sospeso. Ma sappiamo che ci sono altre domande a cui vorresti ti desse una risposta. Nel presente, oggi, servirebbe un De Luca oppure è un uomo del passato e quindi è superato?
No, un uomo del passato no. Purtroppo – poi non è che sia così negativo De Luca – dei meccanismi come il suo “faccio il poliziotto, faccio il mio mestiere e quindi è sufficiente” ne abbiamo ancora tanti sia nelle piccole che nelle grandi questioni. Dalle mie parti si è radicata la ‘ndrangheta, non passando attraverso un controllo del territorio ma attraverso la finanza; se interrogate su questa infiltrazione alcune persone avrebbero risposto: “io? Io sono un bancario. Sono un banchiere, faccio soldi, questo è il mio mestiere” oppure “Io? Sono un imprenditore quindi faccio soldi”. Però non basta e non giustifica fare soldi.
Chiaro, si tratta di un esempio ma ce ne sono moltissimi altri e, anche adesso politicamente, può essere che faccia delle scelte, magari distratto da altro, senza pensare alle conseguenze.
Quindi non è un’ombra del passato. Per me scrivere di De Luca è scrivere di certi italiani e mi ci metto anch’io.
Certi italiani sono ancora quelli, da allora fino ad adesso.

Ti occupi di crimini, sia di quelli della cronaca nera che quelli connessi nella storia dell’arte. C’è un caso, una storia o un personaggio che non hai ancora raccontato ma che vorresti approfondire e per quale motivo?
Allora, ora non mi viene in mente niente. Perché sto raccontando un sacco di casi però, quello che mi manca, è non avere uno spazio per potere aggiornare quello che ho già trattato e che adesso ha avuto nuovi sviluppi. Ustica per esempio. Ho fatto una puntata di un’ora in un periodo in cui non dovevo dire alcune informazioni perché non erano ancora acclarate, scoperte. Adesso farei un programma completamente diverso, lasciando perdere le voci sbagliate, ormai dimostrate false, ma di cui ho dovuto tenere conto altrimenti mi avrebbero querelato. Adesso potrei fare diversamente. Mi piacerebbe non raccontare nuovi casi, ma approfondire e aggiornare quelli del passato.

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La tua carriera è equamente divisa tra televisione e letteratura e scrivi per i due mezzi con linguaggi differenti. De Luca ha avuto dei passaggi televisivi, ma è rimasto principalmente un personaggio letteraio. Coliandro invece  ormai è troppo televisivo per tornare a essere un personaggio letterario?
Sì, perché in questo momento Coliandro, nella mia immaginazione, ha il volto di Morelli, il taglio della narrazione dei Manetti Bros e c’è anche Giampiero Rigosi con cui scrivo le sceneggiature. Se un giorno non faremo più Coliandro, mi verrà voglia di scrivere altri romanzi. De Luca l’ho preservato apposta. Quando hanno fatto i quattro film – io ho solo supervisionato il progetto – la produttrice mi ha riportato l’interesse della Rai, proponendomi di fare altri quattro soggetti, ma ho detto di no perché non volevo per De Luca lo stesso destino di Coliandro.

La redazione di Milano Nera ringrazia Carlo Lucarelli  e l’organizzazione del Noir In Festival per la disponibilità.
Ricordiamo che Carlo Lucarelli sarà ospite del NebbiaGialla Noir Festival di Suzzara (mn) – 1/3 febbraio 2019.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mirko Giacchetti

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