Intervista a Enrico Pandiani ospite a Paura sotto la pelle 2

Abbiamo fatto le stesse domande a alcuni degli ospiti che interverranno a Paura sotto la pelle 2.
Domande ” da paura” ovviamente…
Divertitevi leggendo le risposte che hanno dato.

Ecco le riposte di Enrico Pandiani  attualmente nelle librerie con Polvere . 

download (2)La più antica e potente emozione umana è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell’ignoto. (Howard Phillips Lovecraft). Sei d’accordo?
In parte sì, nel senso che l’ignoto non sempre provoca un sentimento di paura. Quello che secondo me spaventa davvero è ciò che non possiamo controllare o che comunque tende a sfuggire al nostro controllo. La paura, in ogni caso, è un sentimento senza il quale il coraggio, un sentimento forse ancora più potente, non potrebbe esistere. La paura può perdere un individuo, ma lo può anche salvare.

La paura è una componente fondamentale della natura umana, è con noi dalla nascita. Cosa ti fa paura? Come la esorcizzi?
Credo che l’essere umano conosca la paura nel momento stesso in cui si rende conto di esistere. Le cose e gli atteggiamenti che non comprendo sono quelli che mi fanno più paura. Il comportamento sempre più violento delle persone, figurato e non, che vedo crescere attorno a me, per esempio, mi fa molta paura. Questo perché io detesto la violenza e non credo di avere le armi per rispondere. Mi fa meno paura dovermi confrontare con persone diverse da me e che non conosco, perché penso che la mia curiosità possa essere anche la loro. È questo il solo strumento che ho per esorcizzare la paura, mostrarmi nelle mie convinzioni e nella mia vulnerabilità.

Da bambino qual era la tua favola preferita? Amavi quelle paurose?
Non ho letto molte favole, da bambino, ma avevo un libro straordinario che si chiamava Pierino Porcospino. Raccontava vicende paradossali di bambini indisciplinati che venivano puniti in maniera crudele e definitiva. Per esempio, nella stanza di un bambino che, nonostante la riprovazione dei genitori, continua a succhiarsi i pollici, entra un sarto mostruoso che glieli taglia con una forbice enorme. Mi divertiva molto, ma, sotto sotto, mi faceva molta paura. Eppure, nonostante si fosse nel 1845, alla fine del libro due mocciosi che sbeffeggiano un nero vengono intinti per punizione nell’inchiostro dal loro professore.

Quale percorso ti ha portato a scrivere storie che hanno a che fare con la paura, con i timori e con le ansie?
Non saprei. Ma una cosa è certa, se vuoi raccontare la sociètà in cui vivi, paura, violenza e incomprensione fanno parte del pacchetto. Io sono molto attratto dalla città, non soltanto quella in cui vivo, dalla città come concetto. Mi interessano le dinamiche che la muovono e mi piace cercare di raccontarle. È nelle metropoli che la gente ha paura e spesso questa paura è indotta, quindi poco giustificata. E oggi cosa spaventa è la sensazione di non poter controllare il futuro, di dover vivere a contatto con persone di cui ignoriamo tutto. E una dinamica vecchia come il mondo, lo straniero e il diverso fanno paura.

20180510_153410Come si riescono a trasmettere queste sensazioni con le parole?
Io credo che il compito di uno scrittore non sia quello di dare delle risposte, ma piuttosto di provocare degli interrogativi. Nel momento in cui riesce a mettere in crisi le convinzioni dei lettori, questo tentativo arriva a compimento. La stessa cosa succede anche a me leggendo altri scrittori. Il fatto che venga messa in discussione la verità che pensavi di possedere fino a quel momento può provocare tensione e paura, perché ti trovi a dover rimettere in discussione ogni cosa. Trasformare certezze in incertezze fa traballare tutto, toglie sicurezza e costringe a ripensare. E questo fa sempre paura.

Per far paura sono più efficaci scene truci e truculente o la normalità che si trasforma improvvisamente in incubo?
Io non amo la violenza fine a se stessa. Non amo le storie di serial killers e non mi piacciono i romanzi troppo pulp. Penso che sia molto più interessante indagare i motivi che scatenano la violenza. Perché spesso sono futili e quindi ancora più spaventosi. Non amo neppure il compiacimento, sentimento dal quale mi sono con il tempo allontanato. È più gratificante, per me, ricostruire le azioni e i pensieri che portano all’esplosione di un fatto violento, piuttosto che raccontare ciò che rimane dopo sul terreno. Del resto sono convinto che le scene truculente descritte in un romanzo spingano il lettore verso la morbosità, più che verso la paura.

La paura tra parole e immagini. Difficoltà e tecniche per instillare il timore nel lettore
Chi scrive non può utilizzare immagini, ma può farle percepire. Può instillare nel lettore la paura attraverso il crescendo della tensione, nascondendo la verità, facendo sì che chi legge si immedesimi con la vittima e, di conseguenza, debba temere per la propria incolumità o per la propria vita. Perché questo avvenga è necessaria una certa abilità nel gestire la narrazione. Elmore Leonard era un maestro in questa materia. Più volte mi sono trovato a chiudere un suo romanzo perché la tensione era intollerabile, per poi riaprirlo poco alla volta come se fosse stata una porta sull’oscurità. È questo il sentimento più simile alla paura che abbia provato leggendo un libro.

Sono cambiate le nostre paure? E il modo di descriverle? – Il maestro assoluto della paura di oggi, il Re, dice che la sua ispirazione è sempre, da sempre, il babau, ‘uomo nero. Quante declinazioni può avere oggi l’uomo nero? Escludendo ovviamente la deriva razzista
Non mi piace l’horror e ammetto di aver letto soltanto un romanzo minore di Stephen King e di non amare l’atmosfera sciamanica che lo circonda. È probabile che stia sbagliando, ma anche nella lettura si devono fare delle scelte. Io non ho mai creduto nel babau e l’unico uomo nero che mi interessa è quello sull’etichetta del porto Sandeman. Sono convinto che oggi le nostre paure provengano piuttosto dalla malattia, dalla mancanza di lavoro e di soldi, dall’incertezza di una società ingiusta e spietata. L’idea di ritrovarsi da un giorno all’altro senza più nulla, quello sì che fa paura, ed è ciò che oggi io sto provando a raccontare con i miei libri.

Sono sempre di più gli autori che mescolano al noir l’ironia e la risata, un modo per esorcizzare la paura o un modo per sottolinearla e renderla ancora più efficace?
Possedere ironia, umorismo e spesso anche sarcasmo è la sola maniera che abbiamo di sopravvivere. Sono armi indispensabili in un mondo meschino, dove ignoranza e mancanza di spirito la fanno da padroni. Trovo indispensabile la capacità di vedere ogni cosa attraverso le lenti sfumate di queste tre qualità, perché è modo migliore di resistere al grigiore che avanza. In letteratura, se li possiedi, Ironia, umorismo e sarcasmo non possono che venir fuori. In questo modo si riesce spesso a esorcizzare la parte negativa di una storia, ma anche a rendere ancora più paurosa e grottesca la possibilità che a un certo punto le cose possano finire male.

I tuoi riferimenti letterari o cinematografici di genere sono….
Sono tantissimi, libri che ho amato e il cinema che mi ha formato negli anni giovanili. Sono stato lettore e cinefilo patologico. Eppure il cinema che piace a me si ferma agli anni ’80. Non amo i film d’azione contemporanei, non mi dicono niente. Preferivo quelli degli anni ’60, come Bullit o Get Carter, dove la storia era preponderante rispetto all’azione. Così come non amo la letteratura di genere scandinava e in linea di massima tutta quella che supera o trascende la linea, per me importantissima, del verosimile. È ovvio che il protagonista deve sopravvivere a qualsiasi situazione, ma c’è modo e modo. A volte leggo soluzioni narrative che mi fanno cascare le braccia. A questo proposito, di recente, un romanzo che mi è piaciuto molto è stato Sombre sentier, di Dominique Manotti. Benché sia un romanzo del 1995, l’ho trovato lucido e moderno. E così straordinariamente vero.

L’appuntamento con Enrico Pandiani e gli altri ospiti di La paura sotto la sotto la pelle 2, brividi nelle parole e nelle immagini.
Giovedì 29 e venerdì 30 novembre 2018, ore 10.00 e 14.30,
Aula magna Giovanni Pascoli e aula Forti -Via Zamboni 32-BO
Tutte le informazioni  qui

Qui la nostra recensione a Polvere
Qui un’altra intervista a Enrico Pandiani

Cristina Aicardi

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