Io so chi sei – Intervista a Paola Barbato

41xRLjnImRL._SX324_BO1,204,203,200_MilanoNera ha avuto il piacere di porre qualche domanda a Paola Barbato, attualmente in libreria con Io so chi sei ed. Piemme
Il suo sembra un libro su cosa possa condurci a fare la disperazione o forse un amore malsano?
Sì, io per prima ho provato cosa significasse essere pronta a tutto pur di compiacere un amore narcisista. E’ il momento in cui cominciamo a raccontarci una bella fiaba e cerchiamo di convincerci che sia vera. E anche quando l’amore passa la fiaba resta, e con il tempo diventa più e più contorta e deforme.

La sua Lena è due persone: la disperata innamorata disposta a tutto e l’indifesa da proteggere.
Perché ha scelto di raccontare un personaggio del genere?
Perché Lena è un’inetta, o meglio un’ignava, incapace di prendere decisioni e di agire. La stragrande maggioranza delle persone non hanno alcun istinto eroico, conosco un’infinità di grigi che vivono all’ombra delle scelte altrui, e mi sono resa conto che quella specifica sfumatura di grigio non viene mai raccontata o viene relegata a ruolo marginali. Credo invece che anche la voce degli ignavi vada raccontata.

“Per Caparzo lei era in grado di essere salvata e basta. perché era una donna”. Per Lei Lena è una donna che può solo essere salvata?
Per me no, Lena si rifugia nell’attesa di un deus ex machina che la salvi, rifiuta di cogliere opportunità che Sono evidentemente davanti a lei. Nell’ottica di un personaggio primordiale come Francesco Caparzo, invece, sì. Lui è del tutto privo di sfumature e in una donna non vede altro che debolezza proprio perché tale. La sua visione limitata incontra il bisogno di Lena di essere vista esattamente così, lei vuole essere la donzella che deve essere salvata. E si dice sempre: attenta a quel che desideri.

Il rapporto donna uomo descritto nel libro non è mai equilibrato, sia quello tra coppie amanti/innamorati, sia quello padri/figli…
E’ un disequilibrio amarissimo che vedo sempre più spesso: padri-padroni, mogli asservite, ma anche donne che rivendicano esclusività in quanto madri, in una perenne gara a dividersi un territorio che non si sa bene quale sia. E’ difficile per me spiegare alle mie tre bambine che non esistono cose da uomo e cose da donna, tolte la gravidanza e la possibilità di fare pipì contro un muro. La società racconta loro una storia diversa…

Come in altri suoi testi, ad esempio Il filo rosso, indaga il tema della perdita. Cosa la affascina?
Chi resta. Il lutto è una faccenda esclusiva dei vivi, e non esiste una formula efficace per affrontarlo. Ci sono molteplici modo di reagire e non sempre sono prevedibili. Credo che molto di una persona venga svelato da come reagisce al lutto.

C’è un personaggio che ha qualcosa di lei? O che è ispirato a qualcuno di reale?
Betta, senza dubbio. Betta l’interventista, che agisce e che vive l’amica come una parassita a cui resta affezionata. E’ un personaggio in cui mi riconosci, ho portato sulle spalle diverse persone per molti anni senza riuscire a dire di no. Il destino di Betta è in qualche modo catartico.

Affrontare un testo di più di 500 pagine non deve essere stato semplice. Com’è nata e come si è sviluppata questa storia?
La storia è nata come costola di un romanzo che sto pubblicando su Wattpad, il romanzo che sarà poi il secondo di questa trilogia che amo chiamare “poli-bilogia”. Mi sono chiesta se esistesse, al di fuori dell’universo chiuso di quella storia, un controcanto. Ovvero cosa ne fosse stato degli affetti abbandonati dei miei personaggi. Da lì è nata una storia che mai avrei creduto superasse le 500 pagine, eppure le ha richieste, nonostante in fase di editing ne abbia tagliate parecchie.

35493918_10214886065932867_9002010693729255424_nCom’è essere una scrittrice che opera in due mondi spesso maschili, da un lato il thriller e dall’altro il fumetto?
È un problema che non mi pongo, me lo fanno notare spesso, ma non ho mai patito la presenza soprattutto maschile in questi ambienti. Io volevo lavorare e l’ho fatto, prescindendo da chi vedesse per prima cosa il mio genere, era un problema suo, non mio. Sono, professionalmente parlando, una persona che scrive, non una donna che scrive, e voglio essere valutata come tale. Quindi ho tirato dritta e credo questo atteggiamento sia servito a scavalcare eventuali pregiudizi sessisti. Spiace comunque vedere donne che titubano o non si propongono perché temono di essere discriminate. Questo timore stesso è la prima base per la discriminazione.

Crede esista un gap tra scrittori e scrittrici in Italia?
Sì, c’è. Basti la scritta “letteratura femminile” sugli scaffali delle librerie, a testimoniare che non solo si distingue tra scrittori uomini e donne ma anche tra lettori uomini e donne. È un gap che ancora viene alimentato da tantissimi fattori, soprattutto dall’idea che esista una scrittura femminile e maschile. Caldeggio la nascita di una collana di scrittori anonimi e asessuati, con nomi d’arte composti da un oggetto e un colore (che so, “Ripostiglio Amaranto”) che dimostri che il sesso dell’autore non traspare dalle parole. Ma c’è moltissimo da lavorare.

Crede che la distinzione di genere o le barricate femministe anche nel linguaggio abbiano senso?
Mi secca vedere che vengano applicate a cose poco funzionali, quasi estetiche, e non su perni sociali più concreti (giusto il j’accuse di Michela Murgia sull’assenza di editorialiste). Serve, tantissimo, ma il femminismo deve essere spiegato meglio alle nuove generazioni perché non sia recepito sempre come qualcosa CONTRO l’uomo, da cui levate di scudi da ambo le parti. La parità è l’obiettivo, e la parità si conquista INSIEME agli uomini. Anche nei cortei. Partendo dalle scuole, d’accordo, ma non possiamo aspettare sempre la prossima generazione.

Nel suo ultimo romanzo le figure femminili che propone sembrano opposte ma in realtà sono tutte fragili. è così che vede le donne di oggi?
C’è un inspiegabile ritorno agli anni ‘50, una perenne richiesta di essere salvate. Fuori dalle grandi città vedo frotte di ragazzine che cercano disperatamente di essere tutte uguali, conformi alla regola, subordinate all’idea di dover soprattutto piacere. Lungi da me parlar bene dei famigerati anni ‘80, dove l’imposizione del dress code era tutto, ma la figura di riferimento di allora era Madonna, si sceglieva la sfrontatezza e l’aggressività, credendo che chiunque potesse raggiungere il proprio obiettivo. Oggi si gioca sul sicuro, si parte rassegnati, ci si accontenta delle piccole trasgressioni. Sono troppo poche le ragazze che corrono rischi, si plaude a una che ha aperto un’attività in proprio come se fosse una mosca bianca o un’eroina, invece che un esempio da imitare. Sì, conosco più donne deboli che donne forti, ne scrivo perché vorrei che si riconoscessero. E non si piacessero.

Lena in fondo è un’insospettabile che fa cose orribili. Il male al femminile è meno accettato agli occhi dei suoi lettori?
Un male banale sì, certo, c’è questa convinzione che una donna per diventare criminale abbia sempre alle spalle qualche motivazione forte o nobile. Invece il male nasce da piccole cose, per esempio dal commento sguaiato su una donna di brutto aspetto. E’ vero che le donne agiscono meno, in proporzione, rispetto all’uomo, se si tratta di atti violenti, ma se si tratta di pensieri e parole non è meno feroce.

Anche l’eroismo?
Sì, anche questo discorso è simile. L’eroismo femminile è visto ancora come quello della madre che accudisce il figlio malato, edificante ed esclusivamente morale. Oppure come scimmiottamento dell’eroismo maschile. Basti pensare a come sia stata insultata Samantha Cristoforetti per essersi permessa di essere un’astronauta (e non farlo in lingerie). Io racconto di donne miserabili anche per questo, per scalzare gli stereotipi che ci raccontano male e troppo poco.

C’è una nuova ondata di donne protagoniste di storie noir e thriller, mentre in passato sono state relegate ai margini. Crede sia un adeguarsi ai tempi da parte del genere?
Il genere, ogni genere, deve essere in movimento, mai fossilizzarsi, e guardare alla realtà. Bossetti è stato inchiodato da un PM donna che ha portato avanti l’intera indagine. Il delitto di Sarah Scazzi è una folie à deux femminile. La realtà ci parla e va ascoltata.

Lei ha un’antieroina preferita? perché?
No, nessuna in particolare. Ma amo Annie Wilkes di “Misery”, di Stephen King. Perché è vivida, credibile, vera, possibile. Non so se vale.

Un’anticipazione sui temi della trilogia si può avere?
Forse il tema portante di tutti e tre i romanzi è il concetto di giustizia e la sua interpretazione. Ogni personaggio agisce sulla base di ciò che crede giusto o si ribella a ciò che ritiene ingiusto. Ma la giustizia, se imposta, diviene in automatico ingiustizia.

MilanoNera ringrazia Paola Barbato per la disponibilità.
Qui la nostra recensione a Io so chi sei

Eleonora Aragona

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