Hai vinto per la prima volta l’Azzeccagarbugli nel 2006 con Milano solo andata.
L’hai vinto di nuovo nel 2014, otto anni dopo, con A Milano si muore così, un libro denuncia della spaventosa infiltrazione della ’ndragheta calabrese a Milano che attingeva a piene mani nella cronaca nera e ti è valso il Premio MEI dell’Antimafia e a ottobre sei uscita con Io non ci sto targato Feltrinelli/Frilli.
Quali sono invece gli orizzonti di questa tua ultima fatica letteraria?
Semplicemente vorrei regalare ai lettori un libro che si legge come un thriller ma affonda le radici nel nostro passato recente. Un passato oscuro, pieno di episodi mai chiariti, che non ci siamo affatto lasciati alle spalle sia perché le sentenze in molti casi non hanno fatto giustizia, sia perché gli effetti dei crimini commessi due decenni fa sono rimasti impuniti. Ma non voglio allargare troppo il discorso, che porterebbe lontano. Il genere letterario in cui mi sono per così dire “specializzata” , che sta in bilico fra fantasia e realtà, oggi è sempre più praticato. Nella mia intenzione dovrebbe regalare le emozioni che ci si aspetta da un noir e indurre chi legge a fare qualche riflessione. Se poi fosse lo spunto per ricordare e approfondire alcuni episodi, per me sarebbe perfetto.
Stavolta ci riporti a fatti di cronaca che in un certo senso hanno segnato la storia italiana. La frase “Io non ci sto” che dà il titolo al tuo ultimo romanzo fu lanciata nel 1993 dal presidente Scalfaro durante una trasmissione televisiva a reti unificate, a fronte del “gioco al massacro” dello scandalo dei fondi Sisde. Sarà così anche per il tuo prossimo libro? Insomma puoi anticiparci di cosa tratterà il prossimo libro di Adele Marini?
Con il prossimo libro intendo approfondire il ruolo dei servizi segreti nel nostro paese e i loro contatti con potenze straniere. Non posso dire molto di più. Solo che sarà un “romanzo non romanzo” ancora più vicino ai fatti dei precedenti. E non sarà tutto opera mia. Avrò per coautore un vero 007. Un uomo più d’azione che di intelligence, presente in molti punti roventi del pianeta e ancora in servizio anche se come “consulente esterno”.
Il protagonista di “Io non ci sto” è ancora Vincenzo Marino, dopo tanti anni un po’ stufo di Milano, ancora nostalgicamente legato alla sua Napoli, con i ricordi che lo riportano implacabilmente al passato, ma sempre al pezzo. Tornerà anche nei tuoi prossimi libri?
Sicuramente tornerà nel prossimo, sempre con la collega Sandra Leoni, strappata via quasi a forza dal suo comodo ufficio all’UACV, il servizio di polizia scientifica della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato. Questa volta però il loro ruolo non sarà del tutto istituzionale. Marino verrà infatti coinvolto suo malgrado in un’indagine per così dire “non autorizzata” da alcun magistrato, che lo porterà a contatto con l’altra faccia della nostra storia: una guerra sporca alle porte di casa nostra.
Quanto tempo e quante ricerche servono per costruire una tua trama e quali sono le tue fonti, se lo puoi rivelare?
Le ricerche sono la parte più faticosa del mio lavoro. A volte sogno di scrivere storie che siano interamente frutto della mia fantasia. Ma non ci riesco. Un po’ per deformazione professionale dato che io ha lavorato per molti anni in cronaca occupandomi sempre di fatti reali, ma soprattutto perché è impossibile inventare qualcosa che non abbia nulla da spartire con gli accadimenti del presente o del passato. Se ci provassi finirei comunque, dopo poche pagine, per ritrovarmi sepolta sotto carte e documenti perché magari un mio protagonista ha a che fare con la droga, o con gli appalti, o con la corruzione. E allora tanto vale pensare in grande. Partire già con l’idea di scrivere qualcosa che serva quantomeno a tenere viva la memoria del passato in questo paese che tende sempre più a vivere nell’immediato presente.
Per documentarmi cerco, per quanto mi è possibile, di andare alle fonti: gli atti giudiziari, i documenti ufficiali. Ma il punto di partenza è sempre una ricerca sui quotidiani che mi fornisca gli elementi da approfondire: nomi, date, luoghi eccetera. Ebbene sì, sono una pantegana d’archivio.
I tuoi libri, soprattutto gli ultimi due, non sono certo gialli classici, e invece sicuramente gialli d’inchiesta. Però tu, che li hai scritti, come preferisci che vengano definiti?
La definizione esatta è “nonfiction novel” romanzo non di pura fantasia. Un genere che ha fatto scuola negli Stati Uniti. Cito, a questo proposito, autori come Grisham che con i suoi legal thriller ci ha mostrato come funziona la giustizia dalle sue parti e cosa succede a chi finisce impigliato nelle sue maglie, a torto o a ragione. E soprattutto James Ellroy che con la sua Underworld USA trilogy ha magistralmente ricostruito gli intrighi e i crimini che hanno costellato la storia americana generando avvenimenti nefasti come l’omicidio di JFK. Ecco, questa trilogia, composta da American Tabloid, The Cold Six Thousand , (Sei pezzi da mille) e Blood’s a Rover (Il sangue è randagio) è l’esempio perfetto di come la verità, vestita ma non troppo di fantasia, si faccia romanzo avvincente.
In Italia il genere ha come capostipite nientemeno che “il Sommo” Dante Alighieri che con la “Commedia” si è divertito parecchio a miscelare fonti storiche e fantasia. Per stare più vicini al nostro tempo, cito Giancarlo De Cataldo: col suo Romanzo criminale dedicato alla Banda della Magliana mi ha dato un grosso input. E poi Roberto Saviano che con Gomorra ha offerto una visione molto realistica e documentata di come si viva e si muoia sul “pianeta camorra”.
Come loro che sono maestri, infilo i fatti dentro abiti tessuti di immaginazione, ma rispettandoli nella sostanza. Poiché si tratta sempre di episodi criminosi sottoposti a indagini, spesso finite in interminabili labirinti processuali mai approdati alla verità, capita che mi diverta a sviluppare ipotesi possibili, che però non finiscono in conclusioni arbitrarie. Perché la realtà, nella sua sostanza, non si può tradire. Per questo, alla fine, metto sul tavolo tutte le carte senza però chiudere definitivamente nessuna partita che non sia il frutto della mia immaginazione.