Intervista a Mirko Zilahy – La forma del buio

Ho avuto il piacere di incontrare Mirko Zilahy a Milano in occasione di Tempo di Libri. Quella che doveva essere un’intervista si è trasformata in una piacevole chiacchierata a tutto campo. Un’ottima opportunità per conoscere non solo l’autore e i suoi romanzi, “È così che si uccide” e “La forma del buio”, ma anche per parlare di libri, scrittura e letteratura.

51NovEE-2+LLeggendo, già dopo poche pagine, ho trovato una parola che torna spesso: metamorfosi. L’hai seminata come le briciole di Pollicino,come una traccia da seguire?

Sì è un fil rouge.
Questo libro è nato con una stella cometa e la stella cometa è il rapporto con la realtà di cui siamo tutti tanto sicuri. In realtà, scusa il gioco di parole, questo è un elemento talmente cangiante che una mente come quella di Jung ha formulato centinaia di pagine sul fatto che non esista, se non dal punto di vista dell’impatto fisico, sostenendo che un’oggettività non ci sia e che quindi la psiche in qualche modo rielabori, anzi rilegga proprio e trasformi tutto quello che succede fuori per filtrarlo e renderlo un pochino più vivibile, più simile a noi.
E’ quasi il filtro di un linguaggio diverso e quindi, in questa traduzione, la psiche cerca di trovare le parole giuste per farci vivere il rapporto col fuori. Questo è un pensiero che mi interessa molto.
Il primo libro era sulla giustizia e questo è sulla realtà. Sono due capisaldi importanti di tutto il pensiero occidentale, di filosofi ma anche della nostra vita quotidiana. Mi sono messo in testa che il serial killer, lo scultore, dovesse avere a che fare con questo argomento, e quindi che ci fosse qualcosa in lui di anomalo, di disturbante a proposito dell’argomento realtà.

Tutti i personaggi hanno qualche “disturbo”, tutti hanno qualcosa da combattere.
Esatto, tutti sono in trasformazione.

In questo libro però hai messo molti più indizi rispetto al primo, per esempio tutti i brani di introduzione: Ovidio e le Metamorfosi e anche Ulisse. Intendi anche il viaggio come trasformazione?
Ci sarebbe da parlare parecchio…
Io sono uno scrittore di thriller perché sono convinto che tutta la letteratura, da Pinocchio fino ai thriller, abbia al centro una grande figura retorica, quella che dà senso a tutto il resto e che è quella della morte.
Partendo dalla mia esperienza di morte, ho negli anni elaborato quel lutto e l’ho trasformato in un’altra cosa. Ne La forma del buio mi sono reso conto che anche il mio personaggio principale, Enrico Mancini, aveva bisogno di questa trasformazione, ma volevo che la trasformazione, come nella statua di Apollo e Dafne che racconto nel libro, fosse colta in divenire, e quindi non fosse uno step dopo l’altro, ma che ci fosse una sensazione di rincorrere se stessi, che è una cosa che ci lascia un po’ senza fiato, confusi.  Infatti, il commissario Mancini ha un momento in cui tenta di capire qual è il suo rapporto con il fantasma della moglie.

Mancini, nei due libri, nella sua trasformazione incontra la sua ombra, incontra la sua parte “malata”.
Sì.Lui dice a un certo punto: “devo guardarmi allo specchio” e cosa fa? Va a trovare  la sua ombra, la sua parte oscura, quello che sarebbe potuto essere lui se le cose fossero andate diversamente…

O se i filtri non avessero funzionato a dovere..
Esatto: lui se ne rende conto a un certo punto, già nel primo libro, nel confronto con l’omicida.
E la scena che descrivo è una cosa che è successa a me, come dico alla fine del primo libro, e io ho scritto ”  È così’ che si uccide” per arrivare a quella scena , alla costruzione di quegli ultimi due capitoli, perché avevo bisogno di guardarli. di vederli scritti, insomma.
In questo secondo libro tutti i personaggi sono in trasformazione, il serial killer ha questo rapporto distorto e visionario con la realtà, c’è l’infanzia che torna perché è dall’infanzia che vengono le prospettive e gli sguardi che abbiamo sulle persone e sul mondo…

downloadE quindi Niko? Il ragazzino che appare in entrambi i libri e che si trova a confrontarsi con il bene e il male in un’età così delicata? E’ la figura più in divenire di tutte, quella che nel prossimo libro può aprirti più prospettive di sviluppo?
Sì, le altre sono già più o meno definite, per lui nel terzo ho già in mente cosa fare. Ha l’età giusta, viene da una situazione liminare: è partito da un lutto, ha abbandonato il campo rom,e nel libro lo dice chiaramente : “io sono una rana sono a metà tra dove stavo prima, l’acqua, e la terra“.
Ma tutti sono in trasformazione, anche Walter che è il più semplice, il personaggio un po’ più divertente, caricaturale se vuoi, sta attraversando questa fase in cui si è messo con la fotografa che a sua volta sta vivendo questo nuovo sentimento verso Niko e lo cerca. Ma come lo cerca? Come una mamma? Come una sorella maggiore o come un’assistente sociale..?
Questo è anche il libro della mia trasformazione, fondamentalmente. Perché scrivendolo ero in una situazione che cambiava, che mi cambiava.. Sai scrivere il secondo libro è una grande sfida.
Tornando poi ai temi del viaggio che hai citato prima con Ulisse, non so se hai notato ma ” È  così che si uccide” si apre con la parola “sopra” ” sopra l’alto reticolo d’acciacio” che è il Gazometro e si chiude con la parola “sotto”.
Il primo libro ha un moto discendente, piove anche sempre. Il secondo inizia con “ al centro del cancello arrugginito” e
chiude con ” il cuore delle tenebre“. Centro – centro. Un movimento orizzontale che è la trasformazione. Nel terzo ci sarà un movimento ascendente, dal basso verso l’alto.
Nel secondo c’è la trasformazione ma c’è anche la polvere, il pulviscolo, la sospensione, che sottintende ” cosa stiamo diventando?”
E entrambi gli incipit sono endecasillabi. Ma non perché faccio il figo , ma perché sopra l’alto reticolo d’acciaio e al centro  del cancello arrugginito sono l’ abracadabra che serve a dire al lettore italiano: guarda che stai entrando in un posto diverso. Poi nel libro ci sono altre regole e c’è un’altra musicalità. Io tento di scrivere in modo che sia allitterante, ritmico.

Infatti la tua scrittura riesce a essere semplice senza essere banale, la tue scelte lessicali sono accurate. Per esempio, invece di un “dolorante” usi “dolente”, che è molto di più, non usi un ” fredda”, ma un ” ghiaccia”. Questo ti viene anche dal tuo essere traduttore? Dal tuo continuo lavoro di ricerca sulle parole?
Questo deriva, secondo me, dagli anni di studio e di insegnamento all’università, dove i linguaggi letterari sono ovviamente molto più tecnici.Io ho studiato Manganelli, ho preso un dottorato, anni di studi di classici ti rimangono nell’orecchio e io sono convintissimo che si debba usare l’orecchio per arrivare al lettore, non l’occhio, che sanno usare tutti quanti. Usando gli endecasillabi, per esempio, tocchi una corda che è quella della poesia, della musica, che tutti gli italiani hanno dentro e questo linguaggio arriva anche in modo subliminale al lettore. Ed è un modo per accordarsi con il lettore in maniera non frontale.

17966159_1482359841794394_6903600134817354179_oRispetto ad altri, mi sembra che la tua scrittura sia molto più ricca di colori e odori. Gli odori rimangono anche al buio, portano ricordi del tempo passato, come la madeleine di Proust…
L’infanzia è chiaramente il cuore del libro. Gli odori sono importantissimi. Se ci pensi, dei cinque sensi la vista è quello a cui ci affidiamo di più, ma è anche il più fallace. L’odorato e l’udito sono i più istintuali e io passo attraverso questi canali, E usare gli aggettivi desueti, come dicevi tu prima, significa innanzitutto forse perdere anche qualche lettore,ma soprattutto significa utilizzare l’orecchio. Perché, se in un punto mi serve una sillaba in meno, io uso “ghiaccia” e non ghiacciata.Io uso sempre il doppio aggettivo, con il sostantivo al centro e i termini devono rintoccare fra loro e quindi sto attento alle sillabe, al ritmo , alla musicalità.
Se io su un pianoforte schiaccio un ” mi” tocco una corda diversa da quella di un “do” e la scrittura segue le stesse regole.
Guarda i corsivi del libro: sono molto dolorosi, violenti, simbolici, sono lirici. La sirena per esempio: c’è questa parte con la Callas in sottofondo  e lui che va e che sale, e mentre sale sente gli odori del mare, il rumore delle onde, la battigia, i divani diventano scogli.. sale, la trova.. Ecco questo è un esempio di quello che mi piace, cioè rappresentare la violenza simbolica del male utilizzando una scrittura che è fuori registro rispetto al thriller, cioè alta. Ed è anche un modo per allontanare un po’ la violenza. E’ come dire ” sì, sto raccontando una cosa tremenda, efferata, però uso una lingua lirica”. In fondo, quando vai a vedere un’ opera lirica è questo che succede: ci sono queste voci stupende, altissime e perfette che raccontano delle storie tragicissime.

Questo tipo di scrittura credo prenda molto più tempo e immagino tu legga e rilegga ad alta voce.
Sì, sempre. Io impiego mesi a editarmi.Mi metto lì e riascolto tutto. Se tra un paragrafo e l’altro ci sono le stesse parole che ritornano, io divento pazzo. Potrei tranquillamente definirmi un malato.

Ed è per questo che mi aveva colpito così tanto il continuo tornare della parola metamorfosi, in tutti i suoi sinonimi.
Bravissima, esatto, è l’unica parola che torna sempre.
Nel libro poi c’è tutto quello che ci disturba: ci sono i mostri, gli ibridi,I mostri cosa sono? il mostrum è lo straordinario, il fuori dal normale.

003baad5E’ tutto quello che mina la normalità..
La normalità è una convenzione, e ognuno ha la sua, così come ogni situazione ha la sua normalità e il suo “mostro”.
Il killer, che è un visionario, che ha allucinazioni, uccide fuori da sé quello che è dentro di lui.
E’ un libro un po’ complesso, ci sono molti livelli di lettura e molti rimandi al centro, tra trasformazioni di personaggi che si incrociano.

Ritieni che la chiesa abbia qualche colpa nella creazione e forse anche nella conservazione di mostri?
Religio significa superstizione in latino. Io non ho grossa simpatia per la religione come industria, per il ” fan club”
Poi di base, chi indossa una divisa non mi piace, che sia un farmacista, che appartenga alle forze dell’ordine o sia un prete. Non amo chi si nasconde dietro a una divisa.
E poi senza i mostri non ci sono gli eroi.
E quindi la Chiesa ha fatto questo, con la contrapposizione tra bene e male.  Dante non ha messo Bonifacio VIII nell’inferno per nulla…
Poi ovviamente ognuno vive la cosa a modo suo.

Le candele hanno qualche significato?
Fanno parte delle cose che mi infastidiscono e che ritornano in certe immagini importanti della mia infanzia, come gli incensi che, se ci hai fatto caso, che sono l’odore della morte per me.
Come la campanella che torna nel primo libro
L’incenso è l’odore della morte e la candela la sua luce.

Roma è sia sfondo che protagonista in entrambi i libri. Ma la descrizione della tua città mi sembra quella di un innamorato deluso. Ho ragione?
Guarda ” innamorato deluso” è perfetto, mi sa che me la rivendo!
Sono stato portato via da Roma a 10 anni, ho sofferto la lontananza dalla città in cui ero nato,cresciuto, andando in una provincia che non mi piaceva. Poi sono ritornato per l’università, sono tornato dopo l’Irlanda, ma sono tornato con occhi diversi, con lo sguardo di chi è stato fuori e ha visto le cose dall’esterno. Questo amore enorme che ho per la mia città fa il paio con lo sguardo reale che ho su di essa , per questo motivo decido di non raccontare i monumenti. Se lo faccio,come nel primo libro, lo faccio parlando del Colosseo come di una bocca che mastica. Scelgo di parlare di altre cose perché sono al centro della città, nel cuore di Roma e perché sono la faccia dolorosa di quello che succede, del brutto. Roma è la città delle rovine, che significa la città della memoria e tutti gli scrittori che sono andati a vivere a Roma, nel tempo, si sono lamentati di questa palude definitiva che è questa città, costruita sulla memoria di un passato fastoso, imperiale e basta. Costruita sugli echi delle cose, non sulle cose. Le rovine di Roma non gettano ombra. Non hanno una luce dietro. Io queste cose le sento e ho deciso di raccontare un colosseo di metallo che è il Gazometro,di raccontare l’ombra, la paura e il mistero che sta nei parchi che dovrebbero rappresentare il divertimento e invece nascondono ombre come il Luna Park abbandonato e dismesso, tetro e sinistro di cui ricordo i suoni , gli odori e sapori di quando ero piccolo e ci andavo con mio padre.
Ecco, Roma è il mio grande Luna Park che mi spaventa tutti i giorni ma che non posso non amare.

I tuoi modelli per i thriller?
Ovviamente gli anglosassoni
Io non ho una formazione contemporanea, se non negli ultimi due o tre anni. Ho letto Deaver e Connelly e tutti i miei colleghi contemporanei perché, da ex studioso, ho bisogno di vedere cosa fanno gli altri per non assomigliare a nessuno, per prendere una strada che sia mia senza copiare nessuno.I miei modelli sono tutti vittoriani, di fine ‘800 .Il giallo mi diverte per esempio, ma non mi appassiona come il thriller.
Il thriller deve far male, non mi interessa trovare il colpevole.

I capitoli in corsivo hanno un lieve sbalzo temporale.Perché?
È fatto apposta. Nel libro nulla è contiguo e successivo. La trasformazione non è mai lineare. È fatto apposta per non dare punti di riferimento.

Nei ringraziamenti, dici:  ho scelto la finzione. In cosa?
Ho scelto la finzione in tutto. La realtà non mi interessa, altrimenti avrei fatto cronaca o letteratura.

Chiudo con una cosa che mi ha fatto sorridere. Nel libro, a un certo punto, in un pub si ordina del sidro? Chi beve sidro in Italia?
Il mio professore che si chiama Carlo Bigazzi e qui è diventato Carlo Biga. Beve solo sidro da trent’anni. Comunque nei pub irlandesi lo trovi, si chiama Long Bow.

Chiudi entrambi i libri con “ad astra per aspera”.
Sì, è il mio motto. Significa per farcela devi soffrire, stringere i denti, combattere.

Grazie a Mirko Zilahy per cortesia e la disponibilità

Cristina Aicardi

Potrebbero interessarti anche...