Grazie al Noir in Festival abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Guido Vitiello, autore di Una visita al Bates Motel, Adelphi
Psycho è soltanto una pellicola in cui degli attori recitano oppure è molto di più?
È molto di più. C’è un secondo film che si svolge durante quello che vediamo, ma non perché sia ad un livello occulto ed esoterico, semplicemente perché la scenografia, le opere d’arte, i quadri e gli oggetti che Hitchcock ha predisposto in scena parlano, raccontano una storia che non è un’altra rispetto a quanto si vede sul grande schermo. Si tratta di una camera di echi mitologici che fa risuonare le corde della trama a un livello più profondo.
Tre buoni motivi per leggere Una visita al Bates Motel.
Il primo buon motivo è che si tratta di un libro sul cinema che non usa nozioni tecniche del linguaggio cinematografico; non si parla di piano sequenza, close-up, raccordo sullo sguardo ecc. ecc.Trovo che i libri sul cinema siano per lo più illeggibili per chi non è interessato ad approfondire la tecnica con cui vengono girati.
Il secondo motivo per leggerlo è che si tratta di un libro su Psycho ma non è soltanto questo; parla anche di tutto il resto attraverso il film, quindi non bisogna essere dei fanatici di Hitchcock per trovare qualcosa di interessante da scoprire.
Il terzo motivo è che non si tratta propriamente di un saggio ma ha una sua cadenza narrativa. A volte, per ingannare il lettore, viene applicata la fascetta editoriale che sostiene sia “un saggio che si divora come un romanzo”. Non so se Una visita al Bates Motel si divori o meno, ma sono sicuro che ha una struttura di suspense.
Toglimi una curiosità. Una visita al Bates Motel è un saggio o un libro giallo?
È una strana via di mezzo. Quando lo scrivevo pensavo fosse un prototipo per le mie pubblicazioni e non ho trovato niente di simile fatto da altri autori. Ho scritto un tipo di libro che mi piacerebbe leggere. È un’indagine, ma non è condotta come una vera e propria indagine investigativa; l’investigatore che troviamo in Psycho e che prova a usare i mezzi tradizionali non fa una bella fine.
Una visita al Bates Motel ha una sorta di suspense iniziatica. Ho visitato il Bates Motel come lo hanno fatto i personaggi del film; c’è la visita di Marion, quella di Arbogast, quella di Lila e poi la mia e l’ho vissuta con le stesse palpitazioni perché anch’io, ogni volta che entravo in una nuova stanza, mi chiedevo cosa avrei trovato.
Troverò un altro tassello di questo strano mistero?
Spero di essere riuscito a rendere sulla pagina questa tensione e di avere trasmesso al lettore lo stesso batticuore che ho provato ogni volta.
Immagina la scena: Tu che intervisti Hitchcock. Cosa gli chiedi?
Penso che giocherei d’astuzia, probabilmente passerei molto tempo a formulare la domanda per indurlo a tradirsi. Dovrei studiarle molto bene per riuscire a fargli fare qualche ammissione, anche perché cercava di dire sempre il meno possibile.
Nel libro racconto un aneddoto riguardo a questo aspetto di Hitchcock. Bazin era convinto di avergli spiegato che nei suoi film c’erano una metafisica e una teologia ricorrenti; era sicuro di avere rivelato all’uomo Hitchcock cosa faceva il regista Hitchcock.
Truffaut frenò l’entusiasmo di Bazin, facendogli capire che si illudeva perché Hitchcock sapeva benissimo cosa stava facendo. Il silenzio assenso era un modo molto inglese per prenderlo in giro.
Smessi i panni di Truffaut ti piacerebbe intervistare Arthur Bloch, l’autore del romanzo omonimo da cui è tratta la pellicola?
Sì, sicuramente avrei molte domande da porgli. Una delle cose più difficili per me è stata giustificare come il Bates Motel sia per intero una creazione mitologica di Hitchcock ma, al tempo stesso, sia nella sua struttura che in molti dei suoi dettagli la pellicola è molto fedele al romanzo. Quindi vorrei capire quanto di tutto questo avesse in mente anche Bloch.
Confondendo finzione e realtà. In quale pellicola vorresti vivere?
È difficile rispondere. Molte volte i film che preferiamo non è detto che ci mostrino un posto in cui ci possa piacere vivere. Un po’ la stessa cosa che si dice a proposito di Venezia: è bella ma non ci vivrei. Questo vale per Psyco e per molti altri film che amo moltissimo. Non vivrei nemmeno in Mulholland Drive anche se è un film che adoro. Non vorrei nemmeno vivere nel Overlook Hotel di Shining e si sono molti altri posti belli ma in cui non vivrei.
Probabilmente preferirei vivere in uno di quei film che mi rassicurano molto. Ad esempio, vivrei volentieri ne I soliti ignoti ed è successo, perché per molti anni ho vissuto nel palazzo a San Lorenzo in cui hanno girato le scene dove “Ferribotte” (Renato Cominetti) tiene in ostaggio Carmelina Nicosia (Claudia Cardinale).
Quindi ho già vissuto in un film.
In Psycho c’è un cameo nascosto di Hitchcock?
Sì, questa è una mia supposizione un po’ azzardata che faccio verso la fine del libro. Nella stanza di Norman Bates c’è un quadro, si intravede sullo sfondo, in cui si vede un bambino con un cappello in testa a cavallo di un pony. Durante le ricerche per la stesura, ho trovato una delle prime foto di Hitchcock in cui è in posa con il padre davanti al negozio di frutta e verdura di famiglia ed è a cavallo di un pony. Quando l’ho vista ho pensato che fosse una specie di cammeo nascosto.
Secondo te, nel presente chi può aver “farcito” una pellicola come è successo con Psyco?
Sicuramente David Lynch. Se guardiamo Mulholland Drive ci accorgiamo che ci sono degli elementi scenografici semi nascosti che hanno la stessa funzione che hanno avuto quelli presenti in Psyco. Un esempio è la Beatrice Cenci di Guido Reni che risuona con i temi del film. Ma ci sono anche dei riferimenti segreti che sono andato a rintracciare; racconti pubblicati su riviste sconosciute uscite un centinaio di anni prima con degli aspetti nella trama che richiamano il film. Ho scoperto che in Mulholland Drive si cita il titolo di un racconto uscito su una rivista americana degli anni ’10 che parla degli albori di Hollywood. Leggendolo ho riscontrato una certa attinenza con la pellicola. Probabilmente Lynch è quello che, più di tutti, ha usato questo gioco del nascondimento.
Da alcuni anni c’è la voga dei puzzle film in cui lo spettatore deve ricomporre la trama da frammenti contraddittori e penso a Inception, Memento. In questo caso il gioco però è deliberato. Ho l’impressione che Lynch metta dei riferimenti che possono anche non essere visti, che non servono per ricomporre un puzzle; sono una specie di arredo del suo mondo interiore. Mi ricordo un’intervista in cui affermava che non sapeva cosa rappresentasse la Loggia Nera, voleva solo crearla.
Poi, se approfondissimo il discorso, potremmo vedere che c’è una costellazione mitologica coerente. Però, prima di tutto, aveva il bisogno di realizzare questa fantasia e penso che allo stesso modo di Hitchcock abbia disposto i quadri e le opere d’arte del Bates Motel per creare un campo di forze tra miti e immagini e non per alludere a una specie di chiave di decrittazione del film.
Il mio Visita al Bates Motel non è una sorta di Codice Da Vinci di Psycho. Chi ha visto Psycho e ha capito la trama, lo ha capito e lo ha visto per quello che era.
Il mio lavoro è una sorta di stanza degli echi, un labirinto degli specchi in cui tutto si moltiplica e prende altri significati ma, ripeto, non è una decifrazione esoterica che decodifica il film.
“Il cinema è la vita con le parti noiose tagliate”, questa è una famosa citazione di Hitchcock. Si può dire che Visita al Bates Motel è un saggio che allunga il film con dettagli interessanti?
Sì. Innanzitutto Psycho è uno dei casi in cui il cinema non è la vita con le parti noiose tagliate. In questa pellicola Hitchcock – stranamente – ce le mette tutte. Se pensiamo a tutta la prima parte, il viaggio di Marion che deve cambiare l’automobile non è che sia così appassionante. Oppure Norman che passa dieci minuti a pulire il bagno non è così appassionante…
Sì, il mio libro è un po’ la continuazione del film con altri mezzi. Rientra un po’ in quella maniera medievale di commentare un testo; per un ciclo epico cavalleresco non si scriveva un saggio critico, lo si riscriveva per intero o lo si continuava con nuove avventure. Oggi, la stessa operazione sia chiama fan fiction. Una visita al Bates Motel non è proprio fan fiction, forse e fan saggistica.
Però vuol essere un modo diverso di vedere un film e di raccontarne un altro che esiste in una maniera latente.
MilanoNera ringrazia Guido Vitiello e il Noir In Festival per la disponibilità