Intervista a Nicolai Lilin

Cosa ti premeva comunicare ai lettori quando hai deciso di scrivere Caduta libera?

Volevo raccontare come ci si sente a vivere una guerra, a fare la guerra, a subirla, a studiarla, a goderla, insomma a provare tutte le emozioni che ogni essere umano prova stando nel bel mezzo di un conflitto armato. Ero molto deluso da come nel nostro mondo viene presentata e raccontata la guerra; a volte attraverso il velo di ideologie, interessi, strumentalizzazioni, e alla fine viene vista dalla gente sempre come qualcosa di grottesco, al di fuori della società umana, un evento che molti credono essere creato e mandato avanti da qualche forza estranea a noi, lontana dalla visione abitudinaria dell’etica e della morale. Invece bisogna capire che la guerra è necessariamente organizzata e fatta da uomini in carne e ossa, umani come tutti gli altri. Questo è il punto, con il mio libro io ho tentato di “umanizzare” la guerra, per far capire che fa parte di meccanismi sociali umani, basati sugli istinti primordiali che ognuno di noi porta dentro di sè.

Hai definito la seconda campagna in Cecenia «la più grande operazione antiterroristica di sempre. Che non sarà mai spiegata come si deve. Quella zona è sempre stata un tappo tra la Russia e il mondo islamico…». Cosa la differenzia dalla prima?

Non sono mai stato sulla scena del primo conflitto Ceceno, ma è stato un conflitto molto contraddittorio, studiato a tavolino da imprenditori, oligarchi e politici corrotti e pieno di intrighi, corruzioni, interessi economici che andavano al di là di quelli politici, territoriali, religiosi o nazionali. Molti militari che ho conosciuto, che avevano partecipato al primo conflitto, lo chiamavano “il teatrino”.

La seconda operazione è stata molto più chiara e gestita in modo eccellente in quanto a tattica e impegno militare. Certo, anche a quella sono legate molte perplessità, segreti, qualche interesse privato e casi di corruzione tra militari – ma questo purtroppo fa parte di ogni guerra, perché la guerra viene fatta da umani e gli umani per loro stessa natura sono deboli e spesso cedono davanti alle tentazioni di guadagnare soldi facili, di sfruttare il momento giusto, di giocare un asso tirato fuori dalla manica. Però in generale, guardando i risultati, il secondo conflitto è stato un fulmine senza pietà scaricato sul terrorismo islamico internazionale. Siamo entrati ufficialmente in guerra alla fine di agosto nel territorio occupato dalle formazioni terroristiche e l’abbiamo preso sotto controllo totale a dicembre, liberando una difficile regione che si estende tra le montagne del Caucaso. A quel punto gli scontri diretti sono finiti e il nostro lavoro era limitato ad operazioni preventive e di routine di mantenimento dell’ordine e legalità della Federazione Russa sul territorio.

Invece per quanto riguarda la definizione temporale del primo conflitto, ancora adesso si discutono le date, qualcuno dice che è finito un anno prima, altri dicono un anno dopo di quello annunciato ufficialmente, qualcuno dice che non è finito proprio, che siamo stati tutti questi anni in diverse fasi di un’unica guerra…

La Politkovskaja scriveva: “i militari che hanno servito in Cecenia sono dei boia sistematici”. Ma secondo te chi sono i veri criminali?

Politkovskaya, pace all’anima sua, era una brava giornalista, ma tendeva ad imputare troppe colpe alle persone che non meritano di portare tutto il peso della guerra sulle loro spalle. Se i militari vengono chiamati “boia sistematici”, posso dire che la parte del “boia” non è una scelta ma è un aspetto che fa parte del nostro lavoro; io ero cecchino nel reparto operativo dei sabotatori paracadutisti, e di certo non sono stato addestrato per costruire case, cucinare cibo, guarire i malati e assistere ai parti. I militari sono l’ultima ragione del potere e quindi quando entrano in azione creano caos, morte e paura; esistiamo per questo, ed è inutile guardare all’essere umano singolarmente, quando esistono l’esercito e le armi e quando l’opzione di un intervento delle forze armate viene proposto come soluzione geopolitica moderna. I militari sono esseri umani che fanno il loro duro e ingrato lavoro, vivendo situazioni estreme, nelle quali spesso il cervello umano cede, e a quel punto chiunque, anche il più devoto moralista e pacifista, diventa capace di compiere le atrocità più incomprensibili che esistano.

Per giudicare chi fa la guerra è necessario provare a farla, capire come si vive in quella situazione, capire i meccanismi politici che muovono gli eserciti e mandano gli umani al massacro. Allora si può dire di avere un’opinione veramente obiettiva. E’ ovvio che, stando comodi nella società pacifica, consumando quello che viene prodotto grazie alle conquiste politiche principalmente spinte attraverso le guerre, risulta molto difficile vedere la faccia della guerra, soprattutto visitando i posti dove ci sono ancora segni freschi: vittime civili, distruzioni, repressioni del regime militare nelle zone occupate.

Viene subito spontaneo incolpare i militari, il regime, i politici e tutto il resto. Nessuno ha mai detto: “Colpa anche mia, perche sto facendo parte di una società che sostiene la guerra, che ha bisogno della guerra, che vive anche grazie all’impegno delle persone che fanno la guerra”. Comunque, questo è un tema molto importante per me, che potrei sviluppare all’infinito. Per brevità citerò un modo di dire tutto militare: “Con un colpo di coltello non si possono uccidere due persone. Con una firma sulla carta se ne possono uccidere milioni”. Fa riflettere.

Hai scritto: “Mentre una persona normale guarda un paesaggio e pensa alla bellezza della natura, io, contro la mia volontà mi accorgo di valutare dove si potrebbe mettere la mitragliatrice”. Com’è stato il ritorno a casa dopo la trincea?

Tragico e insopportabile; il momento in assoluto più brutto che io abbia mai vissuto nella mia vita. Dopo gli anni passati là mi sono reso conto che una volta che si partecipa alla guerra, ci si rimane per sempre.

La società pacifica appare in tutta la sua falsità e molti meccanismi che vedo oggi nel nostro mondo di pace sono estremamente corrotti e disonesti. In guerra, nelle situazioni estreme, l’animo umano passa attraverso una sorta di purificazione, impara ad essere vero e semplice, per questo noi veterani abbiamo problemi a convivere con il mondo per il quale abbiamo sacrificato i nostri anni migliori, le nostre forze e molti di noi anche le proprie vite.

Nessuno lo saprà mai è il titolo di uno dei capitoli del libro. Ma quanto si sa davvero della guerra?

Poco o niente, perché la maggior parte dell’informazione che appare in televisione, nei giornali e nei libri fa parte di un gioco di strumentalizzazione, di distorsione della realtà.

Quindi per me sarebbe meglio se non ne parlassero proprio. Trovo che sarebbe più onesto se gli umani di oggi facessero finta che la guerra non esistesse, la ignorassero completamente, continuando tranquillamente a divertirsi, a godere dei diritti, a studiare e a lavorare, anziché partecipare alle manifestazioni inutili a sostegno della cosiddetta “pace” – termine che ha perso senso oggi, nella situazione attuale in cui si trova il mondo. In tema di informazione, di verità, non siamo più capaci di percepire, sentiamo il bisogno di ascoltare solo menzogne, che ci fanno stare tranquilli, ci guidano, ci tolgono la necessità di pensare in modo obiettivo.

Di cosa hai paura?

Del nostro futuro, del futuro di mia figlia, del fatto che lei potrebbe trovarsi in una società distrutta dal caos, dall’incapacità degli umani di costruire e gestire propria vita.

Sarebbe troppo banale chiederti se hai ucciso qualcuno, né tantomeno se sia giusto. Ma quello che m’interessa sapere è: ti è piaciuto?

Io ho partecipato all’operazione antiterroristica e perciò combattevo contro i terroristi islamici. Per me una persona nel momento esatto in cui diventa terrorista perde ogni possibilità di essere trattato come un essere umano, non ha appartenenze razziali o religiose, lui è un nemico pericoloso e deve essere liquidato fisicamente il più presto possibile. Mio nonno, che ha fatto la seconda guerra mondiale ed era un cacciatore siberiano con una grande esperienza, una volta parlando con me del fatto di uccidere, ha detto: “Se ti capita di uccidere un essere umano, fai attenzione a non diventare dipendente, perché la caccia all’uomo è tra le più belle che esistano”.

Ho capito le sue parole quando sono finito nell’esercito. Quando uccidi una persona, con quella muore una parte di te, da quel momento, per tutta la vita, è come se tu vivessi tra un mondo e l’altro, è la legge della natura. Non è difficile uccidere, e non è un grande scandalo, almeno io i miei morti li ho visti e li ricordo, invece molti uccidono tante persone senza neanche guardarle in faccia, li sacrificano agli interessi politici, religiosi, economici…

Dal 1998 al 2000 sei stato in Cecenia. Nel 2003 ti sei trasferito in Italia. Cos’hai fatto dopo la guerra? Gira voce che sei stato nei servizi segreti di sicurezza privati…

Non esistono servizi segreti di sicurezza privati, è un concetto tutto sbagliato. Capita che alcune ditte di sicurezza privata lavorino per qualche agenzia d’intelligence, per brevi contratti; forse la situazione è cambiata con il passare degli anni, adesso sono abbastanza lontano da quel mondo.

Non lo nego, ho lavorato nelle agenzie di sicurezza privata per qualche anno, perché a diciotto anni ho imparato fare il mestiere di soldato e non avevo tante alternative nel mondo civile, che una volta tornato dalla guerra mi ha chiuso in faccia tutte le porte. Spesso il lavoro di contractor viene molto malvisto nella società pacifica, per me sono persone che fanno un impegno utile e legale, non mi sento di parlarne male.

Dopo Educazione siberiana si è detto di tutto. Che è scritto troppo bene per essere frutto di uno che parla l’italiano da otto anni. Che le storie raccontate sono false, e la Transnistria è un’oasi di civiltà. Che tu abbia militato nei servizi segreti. Adesso i tuoi rapporti con la stampa come sono?

Non ho mai avuto “rapporti” con la stampa, di me scrivevano e scrivono tutto quello che passa per la mente al giornalista per creare uno scoop; io non leggo i giornali e non voglio sapere di cosa scrivono oggi – se di Nicolai Lilin, agente dei servizi segreti che ha inventato la Transnistria, oppure della velina di turno che cambia fidanzati calciatori, oppure dell’ennesimo politico beccato con droga, trans e tangenti. I nativi della Siberia hanno un proverbio: “Dell’inverno si raccontano tante cose, ma ogni anno lui arriva lo stesso”, così cerco di vivere anche io: la gente parla, intanto io faccio mio lavoro, scrivo, cresco mia figlia e vado avanti senza far caso al resto.

A settembre partiranno le riprese di Educazione siberiana, in qualche modo hai contribuito alla sceneggiatura?

E poi dicono che sono io quello dei servizi segreti… in questo caso sei più informata di me, non sapevo niente delle riprese a settembre. Sì, ho partecipato alla scrittura della sceneggiatura, ma non l’abbiamo ancora finita. Io sono molto tranquillo per il destino del mio film, perché è nelle mani di Gabriele Salvatores e della casa produttice Cattleya, persone sensibili e cari amici, con i quali abbiamo stabilito un bel modo di lavorare. Credo che sarà un bel film, fedele alla storia originale.

Perché non ti piace essere definito “scrittore”?

Perché non lo sono. Per me lo scrittore è una persona che ha raggiunto un livello molto importante nella letteratura, una persona che ha un enorme bagaglio professionale e umano, una persona che ha sensibilizzato le anime di molte persone, di diverse generazioni. Io non sono a questi livelli e preferisco stare al mio posto, con umiltà e onore. Non sopporto quando i giovani, persone ancora sconosciute, si definiscono “scrittori”. Lo trovo molto disonesto. Poi, credo che soltanto i lettori possano definire una persona che scrive come “lo scrittore”, autoproclamarsi e sempre una questione di maleducazione.

Ti hanno definito il “Saviano siberiano”. Come sono i tuoi rapporti con lui?

Non ho nessun rapporto con Roberto, purtroppo. Mi piacerebbe sentirlo qualche volta, semplicemente per accertarmi che stia bene, ma non abbiamo contatti. Lo considero lo stesso un caro amico, perché ha creduto in me e ha percepito molto bene quello che è il senso del mio libro. Da quando lui ha cominciato a subire attacchi da parte dei giornalisti strumentalizzati per via delle sue lotte politiche, in mezzo di questa compagnia diffamatoria nei suoi confronti qualche volta tirano anche me, tanto per usarmi come la pietra da gettare in faccia a Roberto. Prendo questa cosa con pazienza e cerco di essere molto calmo, come diceva mio nonno: “Il tempo passa, piove, nevica, il vento soffia, e la montagna rimane sempre al suo posto”.

Per scrivere Educazione siberiana ci hai messo due mesi, hai lavorato di notte, per scrivere Caduta libera?

Poco di più. Scrivo veloce, non sto tanto tempo sul testo, perché racconto quello che ho da raccontare usando il mio linguaggio, mi esprimo così come se stessi parlando a un amico. Poi io non rileggo quasi mai quello che scrivo, non ho pazienza. Non ho riletto i miei libri, qualche volta qualche pezzo per verificare la correzione dell’editor, ma in generale non faccio mai una lettura finale. Lavoro spesso di notte perche è il momento che più mi piace, perché non mi disturba nessuno e i pensieri scorrono con più fluidità.

Hai fondato l’associazione culturale Libre; quali sono i progetti in corso e i prossimi?

L’associazione culturale Libre non l’ho fondata io, esisteva prima del mio arrivo in Italia. Libre è una bellissima associazione, lavora nell’ambito cultuale da anni e ci siamo conosciuti perché loro stavano preparando uno spettacolo teatrale dedicato alla guerra e gli serviva uno specialista che potesse insegnare ai loro attori come muoversi sul palco, imitando i movimenti del gruppo d’assalto. Così ci siamo conosciuti, abbiamo collaborato insieme in questa e in altre occasioni, siamo diventati buoni amici e senza accorgermi di come e quando è accaduto, anch’io sono diventato parte dell’associazione. Adesso noi lavoriamo, tra gli altri, anche su un progetto di recupero di un’antica borgata in montagna abbandonata da quasi un secolo, dove creiamo le case per noi e per chi desidera di condividere questo bellissimo progetto con noi, per vivere o passare le vacanze insieme, aiutarci a vicenda, lavorare e godere delle nostre bellissime Alpi piemontesi.

Oltre a questo progetto ho fondato con un gruppo di amici un’associazione sportiva, Pro Patria Italia, composta da veterani dell’esercito, con i quali organizziamo corsi di formazione operativa per militari, agenti delle forze dell’ordine e privati interessati. Cerchiamo di dare aiuto alle famiglie dei nostri caduti e adesso sono in trattativa con un’organizzazione umanitaria molto importante al livello internazionale, per poter donare alla loro causa una parte del versamento di ogni quota associativa.

Parallelamente, sto organizzando un progetto di dodici racconti per dodici letture inedite, accompagnate da musica. Tutto questo organizzato dall’associazione amica 2Roads e dalla Libre. Nel frattempo sto scrivendo il terzo libro e qualche articolo, quando ho tempo. Disegno e tatuo amici, insomma, cerco di non stare mai fermo.

francesca colletti

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