Io sono dio



giorgio faletti
Io sono dio
dalai
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Giorgio Faletti è un tipo (artisticamente) strano. Questo perché è passato dal Vito Catozzo del cabaret comico (erano i tempi di Drive In) alla musica più o meno leggera (annovera un secondo posto a Sanremo) per approdare alla ferocia dell’assassino seriale (il “mostro” del suo fulminante romanzo d’esordio).

L’entrata in scena di Faletti nella narrativa di genere non è piaciuta a tutti e più di qualcuno ha storto il naso: troppo ritmo, troppo spiccia l’analisi e troppa enfasi nei colpi di scena.

A rispondere è lo stesso scrittore, ammettendo che il suo non è un modo di raccontare molto “italiano”. Si avvicina di più alla narrativa poliziesca made in Usa. Dire se ciò sia vero fino in fondo è assai complicato. Comunque Io sono dio, per sicurezza, dichiara apertamente fin da subito una sorta di americanità, con la sua ambientazione statunitense e metropolitana.

Storia d’investigazione tutta improntata sul passato (del terrorista pazzo che fa saltare per aria i palazzi di New York, della detective che gli dà la caccia, del giornalista che la aiuta), gioca con questo concetto anche a livello di scrittura: i flashback sono inseriti all’interno dei capitoli dedicati al “presente” della vicenda, rimandano ad avvenimenti anche recenti (qualcosa successo nel capitolo precedente ad esempio) e si distinguono dal resto della narrazione grazie al corsivo.

Punto forte della scrittura di Faletti è certamente lo scorrere agile tra le pagine e soprattutto tra i vari personaggi. È a livello di trama che Io sono dio vince, intersecando diversi livelli della vicenda e facendo interagire molti personaggi.

Certo, 500 pagine sono parecchie, considerato che per “spiccare il volo” tocca attendere almeno fino alla trecentesima.

Tuttavia, chi ama il genere troverà comunque buon pane per i suoi denti.

massimo versolatto

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