La clinica Riposo & Pace – Commedia nera nr.2



Francesco Recami
La clinica Riposo & Pace
Sellerio
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Alfio era sempre più convinto che in quel posto non ci avrebbe passato più di un altro giorno, costasse quello che costasse.
Chi ha letto Commedia nera n. 1 si è già confrontato con un disegno narrativo che ha il carattere della progettualità: volto a indagare la controversa dimensione delle relazioni umane il ciclo iniziato con la storia di Antonio Maria Cotroneo si agghinda degli abbellimenti illusori  della comicità e della caricatura mentre, con fine arguzia, usa gli strumenti del paradosso e dell’umorismo per mostrare quanto di più aberrante e angoscioso si nasconde nei legami sociali.
L’umorismo di Francesco Recami si discosta dalla goliardia: è espediente, strumento, un marchingegno i cui ingranaggi sono ben oliati; un movimento calibrato che all’apparenza altera le fattezze del dramma ma, in maniera sistematica e inclemente, toglie ogni maschera. Svela le tare. Mette il lettore di fronte a una realtà spiazzante dandogli – attraverso l’uso del sovvertimento dei ruoli e del canovaccio dell’assurdo – l’illusorio inganno di  esorcizzare i fantasmi che ne inquietano l’animo.
La clinica Riposo & pace. Commedia nera n. 2 continua il grottesco viaggio nelle miserie dell’esistenza puntando l’attenzione sul tragico conflitto tra malato, famiglia e istituzione sanitaria: Antonio Maria cede la scena a un nuovo attore, pronto a interpretare con abile capacità il dramma di chi – indifeso – deve subire le decisioni altrui.
Alfio Pallini, per volontà dei nipoti, viene ricoverato in un’elegante casa di riposo per anziani non autosufficienti. La diagnosi che l’ha condotto in quella villa seicentesca, finemente ristrutturata, non lascia scampo: demenza avanzata e deliri continuati e paranoici. Vive in un mondo parallelo.
Qui lo sventurato protagonista diviene testimone di avvenimenti che, dapprima, lo rendono sospettoso e, col passare dei giorni, gli danno la certezza di essere finito in una trappola per topi.
Uscirono dalla stanza n. 9. In lontananza si udivano delle grida: Mikaela, pur non volendo, riconobbe la voce alterata dello zio Alfio urlante, che diceva qualcosa tipo: «Qui mi vogliono ammazzare! Qui mi vogliono fare l’eutanasia!». I coniugi Pallini non vollero assistere alla scena. Si aveva un bel dire che una persona in quelle condizioni non è più se stessa, ma era comunque straziante quel primo momento, quella “consegna”.
«Io l’eutanasia non la voglio! Io voglio vivere!»
Il signor Alfio tenta, in ogni modo, di opporsi a questo sistema che gli è nemico: combatte con la forza e con l’astuzia per sfuggire a una sorte a cui sembra non avere possibilità di sottrarsi. Attraverso la sua penosa vicenda le intense pagine di Commedia nera n. 2 ci fanno vivere la follia di una medicalizzazione arida, cinica, priva di umanità e indifferente ai bisogni emotivi del paziente che viene spogliato della propria identità di persona. L’umorismo è meno marcato ma, con la solita sottigliezza, la penna dell’autore entra nelle interiora viscide e putride di una pazzia che viene indagata con piglio pirandelliano: è la pazzia il portale che mette in comunicazione mondi altrimenti impossibili da visitare; la pazzia è l’unico modo per scandagliare aspetti della realtà che rimarrebbero inaccessibili se non visti attraverso i suoi occhi. E, con un’ultima e ben assestata stoccata finale, Francesco Recami concretizza in maniera inequivocabile questa verità.

 

Mariella Barretta

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