È difficile scrivere de La doppia ora senza rovinare tutta la bellezza del film perché svelarne qualche passaggio significherebbe rovinare completamente il film e ridurne la visione a un’ora e mezza di noia.
E sarebbe un gran peccato, perché La doppia ora è un film che si rivela in tutta la sua forza e bellezza proprio allo spettatore che non conosce la trama intera ed è capace di lasciarsi coinvolgere.
Opera prima di Giuseppe Capotondi, il film vive tutto su una struttura narrativa decisamente atipica, mescolando diversi generi e facendo progredire la storia da commedia drammatica a horror psicologico fino a storia d’amore su sfondo noir.
Per suscitare la curiosità è sufficiente un’idea di trama. In una Torino dai contorni sfumati, Guido (ex poliziotto, ora custode di una villa) e Sonia (cameriera in un hotel) si incontrano ad una seduta di speed date e basta quel primo incontro perché i due provino un’attrazione reciproca che spinge Guido ad invitare Sonia nella villa in assenza del padrone.
Lì i due vengono aggrediti da una banda di ladri che svuota la villa, ma quando uno di loro sta per violentare la giovane donna, Guido si getta su di lui per proteggerla. Guido muore, mentre Sonia, ferita alla testa, sopravvive.
Di più non si può dire, perché sta allo spettatore seguire gli eventi successivi alla rapina in villa, e se ne sa troppo perde qualsiasi interesse per il racconto. In uno dei primi incontri tra Guido e Sonia, successivi al primo speed date, Guido dice: “Le 23.23, un’ora doppia. È come quando cade una stella: bisogna esprimere un desiderio”.
Da lì in poi, Sonia, ogni volta che vedrà un’ora doppia, ripenserà a Guido, in un gioco con lo spettatore che si ritrova in un film doppio, perché niente è come sembra e nessuno è mai quello che dice di essere.
Il gioco della doppia ora, oltre che nei personaggi, si rivela anche nelle situazioni, una sottigliezza narrativa a cui gli italiani non sono abituati e che crea una suspance continua, scandisce tutti gli avvenimenti, come se davvero potessero realizzarsi i desideri. Sogno e realtà si mischiano e non si capisce più cosa è l’uno, e cosa è l’altro, e i personaggi si muovono tra essere e non essere. Sono qui, ma sono anche altrove. Il ricorrente tema della dualità che, se in alcuni momenti spiazza e rende difficile la comprensione del filo logico, in realtà si rivela l’elemento vincente della pellicola.
A questo punto bisogna però fermarsi e se non si può parlare oltre del film, si può, e lo faccio volentieri, dire qualcosa circa i due interpreti Filippo Timi e Kseniya Rappoport.
A loro è affidata gran parte della riuscita di questo film, tanto che, se al loro posto ci fossero stati un Accorsi o una Stella, il film si sarebbe sgonfiato come un sufflè mal riuscito. Timi si conferma come uno dei migliori attori emergenti creando un personaggio affascinante a causa del profondo dolore che si porta dentro, segnato da eventi luttuosi, mentre la Rappoport, con un’interpretazione straorinaria, dà ad una Sonia esotica ed enigmatica una fragilità assolutamente credibile. Entrambi riescono ad esprimersi soltanto con gli occhi, quasi che i dialoghi non siano necessari, e lottano contro i sensi di colpa e la solitudine che creano dolori, disagi e problemi quotidiani, anche di ordine pratico.
Capotondi riesci quindi a sfornare un bel noir psicologico, sorprendendo un po’, visti gli scarsi risultati raggiunti dai precedenti thriller italiani. In una messinscena molto elegante già dai titoli di testa, Capotondi non si trova a disagio coi meccanismi della suspance e dimostra di aver appreso la lezione di Hitchcock secondo il quale bisogna raccontare film che sappiano farci provare paura, insicurezza e sollievo. Un’ottima dimostrazione che con una buona sceneggiatura e attori bravi, si può sopperire alla mancanza di budget, e che gli scarsi fondi sono troppo spesso una facile scusa per giustificare risultati deludenti.
Non è quindi un caso che ancora prima dell’uscita nelle sale, già si parlasse di un remake made in USA con protagonisti Clive Owen e Naomi Watts.
Regia: Giuseppe Capotondi. Sceneggiatura: Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo. Interpreti: Filippo Timi, Kseniya Rappoport, Gaetano Bruno, Fausto Russo Alesi, Antonia Truppo. Italia, 2009, col., 95’