Piazza De Angeli, ore 7.58. Milano è all’inizio di un’altra giornata come tante. D’improvviso una raffica di mitra squarcia il cielo di piombo e fredda il commissario Del Buono. In un attimo, terrore e smarrimento. Pochi minuti e si sentono le sirene: gazzelle della polizia e autolettighe sono subito sul posto, ma per il commissario Giorgio Del Buono ormai non c’è più niente da fare. E’ morto sotto gli occhi dei passanti: impiegati di corsa, massaie con le borse della spesa, bambini che vanno a scuola. Fortunatamente non è la cronaca dell’ennesimo fatto di sangue, ma la scena di Milano trema: la polizia vuole giustizia, uno dei film culto di quel filone appartenente al genere cosiddetto poliziottesco. Pellicole che, a partire dai primissimi anni ’70, sbancavano i botteghini dei cinema, ma facevano storcere il naso ai critici più esigenti. Considerati per lungo tempo film di “serie b” solo da poco sono stati rivalutati. Quentin Tarantino, durante l’ultimo Festival del Cinema di Venezia ha confessato di essersi ispirato proprio al poliziottesco italiano per girare film acclamati come Le Iene e Pulp Fiction. Decine di titoli che adesso vengono riproposti in DVD riportandoci proprio sulle strade della Milano anni ’70: Milano calibro 9, Milano violenta, Milano Rovente , sono solo alcuni delle pellicole più richieste dagli amanti di un genere che ha sempre più successo. Un successo che è in gran parte dovuto alle atmosfere che questi film sono in grado di rievocare. Come in certi quadri di Sironi o in certi racconti di Testori il paesaggio urbano diventa stato d’animo. Solo che qui le strade della Milano rovente si tingono di rosso sangue e grigio piombo. Sullo schermo di casa riappare una città dimenticata.
Quella di Piazza del Duomo illuminata dai neon pubblicitari e dei Navigli di ringhiere non ancora di lusso. Per proseguire poi, in una sorta di toponomastica della disperazione, verso il degrado delle periferie. Perché – come amava ripetere lo scrittore Giorgio Scerbanenco, che è stato l’ispiratore di molti dei poliziotteschi milanesi- “Milano non finisce a Porta Venezia e la gente non mangia solo panettoni o pan meino(…). Esiste una città violenta che i paciosi, efficienti ambrosiani non possono neppure supporre, anche se tutti i giorni ne leggono la storia sulla cronaca nera dei giornali”.
Nei poliziotteschi sono soprattutto le periferie al centro della scena: con le bische clandestine a cielo aperto, le pizzerie che si chiamavano Billie Joe, i bar tabacchi che la notte si trasformavano in fumosi biliardi d’azzardo. La realtà metropolitana non era il fondale sul quale dipanare la storia, ma la materia stessa del racconto. E così l’asfalto luccicante di pioggia della circonvallazione, i rettilinei di Via Palmanova, le strade che portavano al gasometro della Bovisa si trasformavano in un set ideale per folli corse a tutta velocità. Le alfette grigie della polizia all’inseguimento dei malavitosi di turno sempre immortalati su “squali” della Citroen lanciati a tutto gas. Spettacolari quelli in Milano trema: la polizia vuole giustizia e in Milano odia: la polizia non può sparare. Girati entrambi nel 1973 da due maestri del genere, Sergio Martino e Umberto Lenzi, i due film hanno in comune anche di evidenziare gli aspetti più sentiti dal cinema di quegli anni. Cittadini inermi e poliziotti ingabbiati nell’impotenza delle istituzioni si ribellano e scelgono la via della giustizia sommaria. Perché, come dice l’ispettore di polizia in Milano odia, “per condannare qualcuno all’ergastolo occorrono prove alte come il grattacielo Pirelli”. Un senso di impotenza che troviamo anche nell’efferatissimo I ragazzi del massacro e Milano calibro 9 (entrambi tratti da storie di Scerbanenco) e nei successivi Milano Rovente e Milano violenta. Film interpretati da attori che sarebbero presto diventati di culto: da Henry Silva a Luc Merenda sino a Tomas Millian che farà la propria fortuna italiana con la celebre serie de “Er Monnezza”. Anche se i veri protagonisti di queste pellicole sono le comparse: caratteristi che sapevano, come pochi, dare a quei film un tocco ulteriore di milanesità ricorrendo al dialetto e al gergo della mala. Dai poliziotteschi termini come “caramba”, “pula” o “madama” vengono adottati fuori dallo schermo soprattutto dai più giovani. Comparse di altro livello parteciparono invece a San Babila ore venti: un delitto inutile girato nel 1976 da Carlo Lizzani. Il film, tra fiction e reportage, indagava sul fenomeno dei sanbabilini: la nuova destra milanese che negli anni ’70 imperversò per le strade in un crescendo di violenza culminato con l’omicidio sotto i portici di Corso Europa. Scorrendo i titoli di coda, con autentica sorpresa, possiamo scoprire tra le comparse personaggi oggi molto noti a Milano. I nomi? Per trovarli basta guardare il film o leggere i giornali o guardare la tv. Non sono attori, ma leader nel campo della politica e dell’imprenditoria.
Gian Paolo Serino (da La Repubblica)