Se i nomi in danese possono risultare difficili da memorizzare, figuratevi quelli in groenlandese (Tupaarnaq, Paneeraq per dirne due facili facili. E sono nomi di donne) ma La ragazza senza pelle di Mads Peter Nordbo ha l’indubbio merito di renderli accattivanti.
È infatti un thriller ben congegnato, il ritmo è serrato ma non troppo, in cui le vicende personali dei protagonisti hanno il giusto spazio, ma senza essere invasive, e il tratteggio caratteriale è dosato con equilibrio.
La vicenda si svolge in Groenlandia e parte subito con un ritrovamento: una mummia, si sospetta antica, ma poi rivelatasi un cadavere scuoiato e squartato, senza le interiora, così come poche ore dopo accade a un agente sul luogo del ritrovamento. Sembra un rituale Inuit, tipico delle antiche usanze e credenze groenlandesi, un’offerta alla terra e agli dèi. Ma per cosa? E da chi?
Su questo delitto è capitato casualmente il giornalista Matthew Cave, di origini americane ma groenlandese di nascita, che doveva solo scrivere un pezzo su un ritrovamento archeologico, ma che si ritrova catapultato nei meccanismi di una storia molto più complessa, aberrante, e che risale addirittura agli anni ’70 con identici squartamenti di uomini.
Se la vicenda scotta, diviene ancor più rovente quando gli si affianca l’ex galeotta Tupaarnaq, accusata da giovanissima di aver sterminato la famiglia.
La ragazza senza pelle  si evolve su due piani temporali e possiamo ben dire che i protagonisti in realtà sono due: oltre al giornalista Matthew, il poliziotto Jakob che decenni prima sembra a un passo dal risolvere l’enigma.
I due piani temporali non infastidiscono, sono legati in modo tale da dare continuità alla trama in maniera fluida, che non infastidisce affatto.  È poi molto d’atmosfera il continuo riferimento alla cultura groenlandese, presente anche nelle abitudini quotidiane di alcuni personaggi e finanche nei dialoghi, con tutte le sue contraddizioni e amarezze. Marginale ma non troppo il rapporto mai risolto con la ‘madre patria’ politica Danimarca, di cui i nativi della ‘terra verde’ non si sentono mai completamente sudditi. E sempre presente è il retaggio, non troppo lontano, della vita da pescatori nell’Atlantico settentrionale.
Il linguaggio di Nordbo è funzionale a quello che possiamo ipotizzare – non sapendo il groenlandese – sia la parlata di un piccolo villaggio come Nuuk, fulcro geografico della storia. Pertanto non mi sento di giudicare in alcun modo la traduzione di alcune parti di dialoghi, che assolvono comunque benissimo la loro funzione.
Di colpi di scena ce ne sono parecchi, ma mai forzati o spettacolari come nei thriller americani, e personalmente lo ritengo un pregio perché non esce mai dai binari della verosimiglianza, aspetto che dei suddetti , invece, non si può sempre dire.
In conclusione: ottima lettura, ottimo esordio per l’autore che è al suo primo thriller, e pare essere il primo di una serie. Buono a sapersi, segnatevelo.