Quello che la Rombotyńska, moglie del professor Rombotyński, sta giocando è una partita a solitario, in senso letterale e metaforico.
Dopo una dura giornata di impegni suddivisi tra opere di beneficenza, l’organizzazione dell’economia domestica, l’educazione delle donne di servizio, gli scambi al veleno con amiche e cugine, Zofia Rombotyńska si rilassa giocando a solitario.
Raccolse le carte, le mescolò e le dispose nuovamente sul tavolo.
«Ricapitoliamo» bisbigliò a mente. «Due omicidi strettamente collegati tra di loro. Cianuro e, in quanto cianuro, tutto lascia supporre che sia stato messo in un dolce alle mandorle per nasconderne l’odore…e ora incrociamo le carte (…)
Ma anche l’indagine che compie, seguendo il labile filo della scomparsa della signora Mohr, viene condotta in solitaria, nel senso che la nostra detective-in gonnella e capello con piuma-non solo si muove all’apparenza senza aiutanti ufficiali, ma addirittura senza averne alcun titolo. Completamente libera e sola.
A nulla valgono i silenzi agghiaccianti del giudice istruttor Klossowitz, che cerca in ogni modo di disincentivarla dall’impicciarsi in questioni che non la riguardano e le sue parole di scherno: « …quante indagini ha condotto nella sua vita?»
Zofia procede nella sua inchiesta personale, intuendo quanto gli altri non hanno voluto vedere: troppi episodi poco chiari sono avvenuti all’interno di Casa Helcel, una dimora per persone anziane, benestanti solventi oppure prive di reddito, che pagano la retta svolgendo varie mansioni.
La vicenda ruota attorno alla signora Mohr, che è stata trovata morta, all’apparenza per cause naturali, ma lontana dalla sua stanza, in soffitta, in un posto ben nascosto. Zofia Rombotyńska, che frequenta Casa Helcel per trovare chi possa aiutarla nella sua opera a favore dei bambini scrofolosi, non ha dubbi. Con il suo fare tra l’autorevole o lo svampito, una certa aria di compiacimento in quanto moglie del professor Rombotyński, medico di Cracovia, desiderosa di aiutarlo a raggiungere una posizione di maggior prestigio, Zofia cerca alleanze, amicizie, inviti, conoscenze che possano favorirla…trovando così anche motivi di svago e di evasione da una quotidianità spesso noiosa. Perché…alla sparizione della signora Mohr seguono altri inquietanti eventi.
Maryla Szymiczkowa, l’autrice, mette in scena uno spassoso teatrino di personaggi e figuranti, ciascuno con i propri tic, manie, rivalità, gelosie, invidie, sogni e desideri. Tra le suore: Alojza, custode della struttura, coinvolta dalla Rombotyńska in indagini e sopralluoghi, suor Teresa e suor Jósefa, madre Jadwiga Zaleska, superiora dell’Istituto, madre Juhel, chiamata a supervisionare l’operato della Priora; tra ospiti, amici, conoscenti: la signora Krzywdowa residente a Casa Helcel, il dottor Wiszniewski, primario della Casa, Ignacy, il bonario marito della Rombotyńska, il giovane Zeleński e sua zia, il guardiano Morawski, il Maestro Matejko, la baronessa Banffy, la Walaszkowa e la sua liaison con Fikalski e poi… inquietanti Carbonari italiani.
Infine: giochi di parole e commistioni linguistiche, tra polacco, russo, tedesco…, tradizioni galiziane e transilvaniche, bislacche teorie tra il lombrosiano e l’etnografico, battute e scherzi, fino ad arrivare allo scioglimento finale, nella migliore tradizione del giallo classico, con la convocazione di tutti i protagonisti e figuranti, alla presenza della superiora e del giudice istruttore, per ascoltare ciò che la Rombotyńska ha da comunicare…perché nulla è come appare.
È questa, forse, la chiave di lettura dell’ intero romanzo e dell’indagine di Zofia: nulla è come sembra. Tant’è che, come dice la fedele Franciszka, domestica tuttofare e aiutante della Rombotyńska: « …con i cappelli, le signore sembrano tutte uguali.»
E la risoluzione del caso non è quella che ci si aspetterebbe.