L’agente del caos



Giancarlo De Cataldo
L’agente del caos
Einaudi
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L’agente del caos di De Cataldo è furbo e intelligente allo stesso tempo. Non è un thriller classico, né un giallo ma piuttosto un noir in senso stretto per l’assenza di indagini poliziesche e l’indefinibilità tra bene e male.
La storia si muove intorno all’esperienza di uno scrittore, che incontra la nemesi di un suo precedente romanzo nella figura di un fantomatico avvocato, il quale sostiene di aver vissuto in prima persona le vicende salienti di cui egli avrebbe narrato in precedenza, ma in modo impreciso, e gli offre la sua verità dei fatti per scriverne.
Lo sfondo è quello di passi importanti, ancorché oscuri, della storia d’Italia e mondiale, una medaglia le cui facce si chiamano Operazione Bluemoon e progetto MK-Ultra, realtà ritenute falsi da complottisti un tempo, oggi invece confermati da archivi e testimonianze autorevoli. La prima sarebbe stata un’iniziativa dell’Intelligence USA mirata alla destabilizzazione dei movimenti di sinistra italiani, minandoli alla base con la diffusione di LSD ed eroina tra i giovani, versione che ancora oggi confermano molti intellettuali italiani; la seconda un progetto di controllo della mente, sempre con trattamenti a base di droghe, e non solo, sempre a marchio USA. Personaggio fulcro dell’intera vicenda: un misterioso personaggio chiamato Jay Dark, uomo dalle mille identità e capacità, realmente arrestato a Bologna negli anni ’70 e dal ruolo non ancora ben chiarito nell’ambito dei tanti misteri italiani di quegli anni.
De Cataldo decide di dargli invece un volto, una storia e la paternità di azioni che hanno influito sulla scena sociale e politica mondiale.
Lo fa con una narrazione spedita eppure ricca, il linguaggio dei dialoghi è equilibrato e mai noioso, mai ampolloso, mai banale, esercizio difficile in una storia che ne è ricca.
I personaggi sono tutti riusciti e tridimensionali, sia che escano dalla narrazione del famigerato avvocato Flint, sia nella prima persona dello scrittore, dapprima scettico, poi invece rapito dalla vicenda che gli è capitata.
Molte le citazioni e i riferimenti alla cultura psichedelica degli anni ’60, si tratti di poesia o musica, ma ho apprezzato soprattutto una qualità di questo libro: pur riferendosi e revisionando fatti e cultura del passato, non cade in indulgenze verso quegli anni, caratteristica tipica di tanti autori, ma che in genere risultano piuttosto stucchevoli. Anzi, la critica è feroce, se non altro in funzione della storia, o quanto meno asciutta.
In sostanza, un romanzo ben curato nei particolari, sia storici contemporanei, su cui De Cataldo dimostra preparazione critica notevole, sia nel tratteggio delle figure che lo attraversano, siano esse protagoniste principali o minori.
Se alcuni giornalisti prestati alla narrativa sostengono, come accaduto di recente, che non esistono grandi scrittori italiani, evidentemente non hanno letto De Cataldo, né tanti altri, oppure mi dovrebbero spiegare qual è la loro cognizione di ‘grande scrittore’.
Nota finale tecnica: non ho trovato letteralmente una virgola il cui uso fosse opinabile o fuori posto, per quanto – ahimè – constato ancora una volta che nessuna casa editrice riesce più a vincere la lotta ai refusi. Ne ho trovati solo un paio, ma a certi livelli un autore merita la perfezione.

Dario Villasanta

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