Roma, nel 58 a.C. l’Urbe è una repubblica consolidata da secoli che vede ancora formalmente il suo governo nelle mani del Senato. Ma, in realtà, da tempo ormai le sorti di Roma si giocano sempre più lontano dal foro e il triumvirato formato da Marco Licinio Crasso, Gneo Pompeo Magno e Gaio Giulio Cesare conduce più o meno apertamente i giochi di potere. I tre uomini più influenti di Roma sono collegati tra loro da voluti legami familiari, quali quello di Giulia figlia di Cesare data in sposa a Pompeo, e da importanti interessi economici: il ricchissimo Crasso è da sempre il finanziatore di Cesare.
Cesare, eccellente oratore e fine politico, conosce bene i segreti dell’arte del governo e, nonostante l’importante appoggio della potente famiglia della giovane moglie Calpurnia, sa bene di essere ancora il più fragile dei tre , non avendo a disposizione le immani ricchezze di Crasso, né potendo esibire vittorie militari finora paragonabili a quelle di Pompeo.
L’azione di “L’alba di Cesare “ – fedelmente ricostruita da Franco Forte con un coinvolgente racconto oggettivo del quale si serve vivacemente, trasponendo spesso la narrazione negli accesi dialoghi tra Cesare e i suoi uomini o i suoi rivali – si svolge a partire dal marzo del 58 a.C. e cioè dal momento stesso in cui Cesare, è stato da poco nominato per cinque anni proconsole delle Gallie e dell’Illiria.
Ma se i forti contrasti provocati dalla sua nomina al comando di tre legioni conferitagli dal senato gli hanno fatto preferire di istallarsi prudentemente in un lussuoso accampamento al di fuori dalle mura di Roma con la scorta di un centinaio di fedelissimi, la sua fine esperienza politica lo spingerà invece a prendere subito l’iniziativa, approfittando della follia messa in atto dagli Elvezi scatenati da Orgetorige e dalle loro tribù provenienti da diverse regioni dell’odierna Svizzera, improvvisamente decisi a lasciare i loro normali insediamenti per conquistare la Gallia.
Bisogna fermarli e proteggere da una temuta invasione e dal saccheggio la popolazione della Gallia Narbonense già sotto il dominio romano e le tribù vicine, ancora indipendenti, ma alleate di Roma. La sua intelligenza ed esperienza di fine politico gli dicono quanto sempre il popolo si esalti e si immedesimi nelle altrui glorie. Con il suo coraggio, con le sue capacità e, non guasta mai, anche con il benevolo aiuto della Dea Fortuna, il suo futuro potrebbe cambiare.
I popoli oltre le Alpi diventeranno infatti il perfetto palcoscenico dei suoi più importanti successi militari in grado di fargli ottenere consenso e duratura fama permettendogli di consolidare il suo potere attraverso la “prorogatio” del suo proconsolato, e magari, in via del tutto straordinaria, di arrivare alle elezioni consolari del 49 a.C ancora con il privilegio dell’immunità della Lex Memmia (Divieto di perseguire penalmente gli absentes rei publicae causa).
E, almeno all’inizio, l’assenza di Cesare da Roma impegnato a combattere nelle Gallie parrà al Senato, una buona soluzione per tenerlo lontano dagli occhi e dal cuore della popolazione, e contemporaneamente regalerà ai colleghi triumviri, la possibilità di restare solo in due ad affrontarsi nella vera battaglia da combattere per il predominio dell’Urbe.
Tuttavia, il primo problema posto dagli Elvezi si dimostrerà solo la parte più calda di un problema ben più grave : la Gallia Transalpina tutta ribolle. Le continue incursioni dei popoli germanici rendono sempre più incerta la vita delle popolazioni. Dalla lontana Britannia (l’odierna Inghilterra, sulle cui coste i Romani fino a quel tempo non erano mai sbarcati se non forse per instaurare alcuni sparuti contatti commerciali), arrivano rinforzi destinati alle tribù ostili a Roma. Ben presto la guerra dilagherà in lungo e largo accendendo ovunque pericolosi scintille esplosive che costringeranno Cesare a pianificare e trasferire di continuo il campo di battaglia. É il segnale di via per una delle campagne militari più eroiche e fondamentali della Storia. Furono anni terribili vissuti dalle legioni, dall’esercito tutto, compresi gli ufficiali costretti a marciare in ogni dove e con ogni tempo nella polvere, nel fango e nella neve. Anni di ferro, fuoco e sangue, ma anche di messa in opera di meravigliose invenzioni ingegneristiche militari e di sperimentazione di nuove e speciali tecniche di combattimento per affrontare superbi e feroci nemici, sempre bellicosi, sprezzanti e pronti a ogni sacrificio.
Continue battaglie, attacchi a ripetizione, vittorie e carneficine e il minaccioso potenziale fantasma della guerra alle porte di Roma, che consentiranno a Cesare di farsi prorogare il mandato.
Lui non mancò mai di fiducia in sé stesso né di coraggio. Non si tirò mai indietro, non rifiutò mai di parlamentare con i capi dei temuti e sconosciuti Germani. Usò e fece usare ai suoi legionari ogni mezzo per raccogliere le migliore informazioni geografiche ed etnografiche sui territori che dovevano affrontare. Sperimentò e fece acquisire ai suoi specialisti nuove tecniche di navigazione per arrivare a sbarcare con un esercito nella sconosciuta Britannia.
Franco Forte ripercorre direttamente, pagina dopo pagina con la consueta bravura di storico consumato, fatti e situazioni del De bello gallico di Cesare, consegnando al lettore non solo le gesta, ma anche i suoi pensieri, i turbamenti, i sogni e gli incubi, ma anche la parte meno nota che si nasconde dietro l’eroe. Quella vera, intima meno tangibile ma forse più naturale e attraente della persona Cesare, con le sue sofferenze fisiche e debolezze umane .
Nella descrizione del suo protagonista si percepisce la fortissima tensione vissuta nei momenti decisivi, controllata da un atteggiamento sempre razionale e curioso, di chi vuol conoscere meglio il nemico, la sua personalità, i suoi mezzi tecnici, le sue abitudini e i punti di forza onde evitare passi falsi. La fortuna e l’organizzazione perfetta dell’esercito romano, quella poderosa macchina da guerra passata alla storia, faranno il resto e, alla fine della sua lunga campagna, la Gallia sarà completamente sottomessa a Roma.
La storia ha fatto di Cesare un mito. Le sue guerre ne hanno fatto un eroe. E tuttavia sappiamo che per rimpinguare le sue casse e creare la sua leggenda, Cesare ha sterminato senza pietà migliaia di innocenti.
Verissimo però, fu solo guerra di conquista la sua, l’assoluta normalità nei secoli quella che oggi si aborre e si condanna fermamente (o si finge di farlo?) per poi perseguirla implacabilmente in altri modi o allo stesso modo. Niente cambia nella storia (e dovremmo ormai saperlo). A chi può importare oggi se Giulio Cesare arrivò al trionfo, rubando e intrallazzando ? La folla ama solo i vincitori. Non ci sono lacrime per piangere i vinti e i morti non risorgono. Mai!
Nota storica: Il De bello gallico nasce dai diari di campo di Cesare, da lui dettati ai suoi segretari, o dai resoconti che gli giungevano dai propri legati impegnati in operazioni belliche sul territorio.
Si è addirittura pensato che Cesare stesso, nei momenti di quiete tra un conflitto e un’operazione diplomatica, abbia trovato il tempo di scrivere i particolari di quella spedizione, ciò nondimeno il De bello gallico non può essere considerato uno scritto estemporaneo. Non improvvisato, ma artamente scritto ad hoc.
Nel De bello gallico emerge una certa curiosità per i popoli barbari, quel fascino dell’esotico con il quale Cesare cerca di catturare il lettore. Ricorrono gli stessi parametri descrittivi tradizionali, usati da Polibio. Perciò i barbari appaiono alti, possenti, coraggiosi, pronti all’ira e passionali, cialtroni e ricoperti d’oro. E tuttavia , Cesare descrive minuziosamente i tratti peculiari e originali delle singole tribù, sottraendosi all’archetipo generico del barbaro. Anche le descrizioni geografiche nel De bello gallico sono dettagliate, probabilmente allo scopo di fornire ai mercanti preziose informazioni per i loro commerci; ma Cesare è anche spinto dalla convinzione che sia necessario conoscere bene una terra prima di arrivare a considerarla un proprio possedimento. I Romani dopo lui conobbero cosa c’era a Nord di Roma.
Oggi magari a un lettore può apparire strano che Lucca fosse la città più meridionale della Gallia Cisalpina…