L’alba di Cesare – Franco Forte



Franco Forte
L’alba di Cesare
Mondadori
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Roma, nel 58 a.C. l’Urbe è una repubblica consolidata da secoli che vede ancora  formalmente il suo governo  nelle mani del Senato. Ma, in realtà, da tempo ormai le sorti di Roma si giocano sempre più lontano dal foro e il triumvirato formato da Marco Licinio Crasso, Gneo Pompeo Magno e Gaio Giulio Cesare conduce più o meno apertamente i giochi di potere. I tre uomini più influenti di Roma sono collegati tra loro da voluti legami familiari, quali quello di Giulia figlia di Cesare data in sposa a Pompeo, e da importanti  interessi economici: il ricchissimo Crasso è da sempre il finanziatore di Cesare.
Cesare, eccellente oratore e fine politico, conosce bene i segreti dell’arte del governo e, nonostante l’importante appoggio della potente famiglia della giovane  moglie Calpurnia, sa bene di essere ancora  il più fragile dei tre , non avendo a disposizione le immani ricchezze di Crasso, né potendo esibire vittorie militari finora paragonabili a quelle di Pompeo.
L’azione di “L’alba di Cesare “ – fedelmente  ricostruita da Franco Forte con un coinvolgente  racconto oggettivo del quale si serve  vivacemente,  trasponendo spesso la narrazione negli accesi dialoghi tra Cesare e i suoi uomini o i suoi rivali –  si svolge a partire  dal marzo del 58 a.C.  e cioè dal momento stesso  in cui Cesare, è stato da poco nominato per cinque anni proconsole delle Gallie e dell’Illiria.
Ma se i forti contrasti  provocati dalla sua nomina al comando di tre legioni  conferitagli dal senato gli hanno fatto preferire di istallarsi prudentemente in un lussuoso accampamento al di fuori dalle mura  di Roma con la scorta di un centinaio di fedelissimi, la sua fine esperienza politica  lo spingerà invece a prendere subito l’iniziativa, approfittando della follia messa in atto dagli Elvezi scatenati da Orgetorige  e dalle loro tribù provenienti  da diverse regioni dell’odierna Svizzera, improvvisamente decisi a lasciare i loro normali  insediamenti per conquistare la Gallia.
Bisogna fermarli e proteggere da una temuta invasione e dal saccheggio la popolazione della Gallia Narbonense già sotto il dominio romano e le tribù vicine, ancora indipendenti, ma alleate di Roma.  La sua intelligenza ed esperienza di fine politico gli dicono quanto sempre  il popolo si esalti e si immedesimi  nelle altrui glorie. Con  il suo coraggio, con le sue capacità e, non guasta mai, anche con il benevolo aiuto della Dea Fortuna, il suo futuro potrebbe cambiare.
I popoli oltre le Alpi diventeranno infatti il perfetto palcoscenico dei suoi più importanti successi militari in grado di fargli ottenere consenso  e duratura fama permettendogli di consolidare il suo potere attraverso la “prorogatio” del suo proconsolato,  e magari, in via del tutto straordinaria, di arrivare alle elezioni consolari del 49 a.C ancora con il privilegio dell’immunità della Lex Memmia (Divieto di perseguire penalmente gli absentes rei publicae causa).
E, almeno all’inizio, l’assenza di  Cesare da Roma impegnato a combattere nelle Gallie parrà al  Senato, una buona  soluzione  per tenerlo lontano dagli  occhi e  dal cuore della popolazione, e contemporaneamente  regalerà ai colleghi triumviri, la possibilità di restare solo in due ad affrontarsi nella vera battaglia da combattere per il predominio  dell’Urbe. 
Tuttavia, il primo problema posto dagli Elvezi si dimostrerà  solo la parte più calda di un problema ben più grave : la Gallia Transalpina tutta ribolle. Le continue  incursioni dei popoli germanici rendono  sempre più incerta  la vita delle popolazioni. Dalla lontana Britannia (l’odierna Inghilterra, sulle cui coste i Romani fino a quel tempo non erano mai sbarcati se non forse per instaurare alcuni sparuti contatti commerciali), arrivano rinforzi destinati alle tribù ostili a Roma. Ben presto la guerra dilagherà in lungo e largo accendendo ovunque pericolosi scintille esplosive che costringeranno  Cesare  a pianificare e trasferire di continuo il campo di battaglia. É il segnale di via per una delle campagne militari più eroiche e fondamentali della Storia.  Furono anni terribili vissuti dalle  legioni, dall’esercito tutto, compresi gli ufficiali costretti a  marciare  in ogni dove e con ogni tempo nella polvere, nel fango e  nella neve. Anni di ferro, fuoco e sangue,  ma anche di messa in opera di meravigliose invenzioni ingegneristiche militari  e di sperimentazione di nuove e speciali tecniche di combattimento  per affrontare superbi e  feroci nemici, sempre  bellicosi, sprezzanti e  pronti a ogni sacrificio.
Continue battaglie, attacchi a ripetizione, vittorie e carneficine e il minaccioso potenziale fantasma della guerra alle porte di Roma,  che consentiranno a Cesare di farsi prorogare il mandato.
Lui  non mancò mai di fiducia in sé stesso né di coraggio. Non si tirò mai indietro, non rifiutò mai di  parlamentare con i capi dei temuti e sconosciuti Germani. Usò e fece usare ai suoi legionari ogni mezzo per  raccogliere le migliore informazioni geografiche ed etnografiche sui territori che dovevano affrontare. Sperimentò e fece acquisire ai suoi specialisti nuove tecniche di navigazione  per arrivare a sbarcare con un esercito nella sconosciuta Britannia.
Franco Forte ripercorre direttamente, pagina dopo pagina con la consueta  bravura  di storico consumato,  fatti e situazioni del De bello gallico di Cesare, consegnando al lettore non solo le gesta, ma anche i  suoi pensieri, i turbamenti, i sogni e gli incubi, ma anche la parte meno nota che si nasconde dietro l’eroe. Quella vera, intima meno tangibile  ma  forse più naturale e attraente della persona Cesare, con le sue sofferenze fisiche e debolezze umane .
Nella descrizione del suo protagonista si percepisce  la fortissima  tensione vissuta nei momenti decisivi, controllata  da un atteggiamento sempre razionale e curioso, di chi vuol conoscere meglio il nemico, la sua personalità, i suoi mezzi tecnici, le sue abitudini e i punti di forza onde evitare passi falsi. La fortuna e l’organizzazione perfetta  dell’esercito romano, quella poderosa macchina da guerra passata alla storia,  faranno il resto e, alla fine della sua lunga campagna, la Gallia sarà  completamente sottomessa a Roma.
La storia ha fatto di Cesare  un mito. Le sue guerre ne hanno fatto un eroe.  E tuttavia sappiamo che per rimpinguare le sue casse e creare la sua leggenda, Cesare  ha sterminato senza pietà migliaia di innocenti.
Verissimo però, fu solo guerra di conquista la sua, l’assoluta  normalità nei secoli quella che oggi si aborre e si condanna fermamente  (o si finge di farlo?)  per poi perseguirla implacabilmente  in altri modi o allo stesso modo. Niente cambia nella storia (e dovremmo ormai saperlo).   A chi può importare  oggi se  Giulio Cesare arrivò al trionfo,  rubando e intrallazzando ?  La folla ama solo i vincitori. Non ci sono lacrime per  piangere i vinti e i morti non risorgono. Mai!

Nota storica: Il De bello gallico nasce dai diari di campo di Cesare, da lui dettati ai suoi segretari, o dai resoconti che gli giungevano dai propri legati impegnati in operazioni belliche sul territorio.
Si è addirittura  pensato che Cesare stesso, nei momenti di quiete tra un conflitto e un’operazione diplomatica, abbia trovato il tempo di scrivere i particolari di quella spedizione, ciò nondimeno  il De bello gallico non può essere considerato uno scritto estemporaneo. Non improvvisato, ma artamente scritto ad hoc.
Nel De bello gallico emerge una certa curiosità per i popoli barbari, quel fascino dell’esotico con il quale Cesare cerca di catturare il lettore. Ricorrono gli stessi parametri descrittivi tradizionali, usati da  Polibio. Perciò i barbari appaiono alti, possenti, coraggiosi, pronti all’ira e passionali, cialtroni e ricoperti d’oro. E tuttavia , Cesare descrive minuziosamente  i tratti peculiari e originali delle singole tribù, sottraendosi all’archetipo generico del barbaro. Anche le descrizioni geografiche nel De bello gallico sono dettagliate, probabilmente allo scopo di fornire ai mercanti preziose informazioni per i loro commerci; ma Cesare è anche spinto dalla convinzione che sia necessario conoscere bene una terra prima di arrivare a considerarla un proprio possedimento. I Romani dopo lui conobbero cosa c’era a Nord di Roma.
Oggi magari a un lettore può apparire strano che Lucca fosse la città più meridionale  della Gallia Cisalpina… 

Patrizia Debicke

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