Con L’angelo di Monaco, Longanesi, Fabiano Massimi ci riporta nella Monaco del 1931 per farci scoprire il personaggio di Geli Raubal, nipote di Adolf Hitler, il politico più chiacchierato di quel momento. Questo thriller storico sta salendo alla ribalta grazie al vasto consenso ottenuto tra i lettori, alla diffusione all’estero con traduzione in più di dieci lingue ed al riscontro della critica specializzata. Attraverso una serie di domande cerchiamo di conoscere meglio l’autore Fabiano Massimi.
Fabiano, intanto complimenti per esserti aggiudicato, pochi giorni addietro, il prestigioso riconoscimento della giuria popolare del Premio Asti D’Appello e lo stesso Premio Asti d’Appello edizione 2020. Con questa doppietta, tra l’altro, hai sbaragliato in finale un gruppo di ottimi scrittori. C’è da ricordare che non sei nuovo a questi successi visto che sempre nel 2020 ti sei aggiudicato la seconda edizione del Premio Giallo a Palazzo di Cremona. Rispetto al percorso di studi, di specializzazioni successive ed alla carriera professionale di bibliotecario che hai intrapreso nella tua vita che sensazione provi dopo un’esperienza del genere?
Be’, i premi sono un coronamento, e premi come il Giallo a Palazzo (che in realtà è alla prima edizione, pensa che onore) o l’Asti d’Appello (con quei superfinalisti, e la formula geniale del processo d’appello, arringhe degli autori comprese) sono gemme che impreziosiscono il percorso già fortunatissimo dell’Angelo di Monaco. Un romanzo che stavo scrivendo due anni fa in questi giorni (toccai la metà precisa l’8 dicembre 2018) e che mi sarei accontentato di veder pubblicato da una casa editrice italiana con una distribuzione decente – e poi è stato accolto dalla migliore in assoluto per i thriller, Longanesi, e ha trovato editori anche all’estero, ed è andato benissimo in tutti i paesi dove è uscito finora… Impensabile. Semplicemente impensabile, e lo dico con cognizione di causa, lavorando tra i libri da sempre (holdeniano dal 2001, einaudiano dal 2003, bibliotecario dal 2005). Ma è questa la forza delle grandi storie, e la storia di Geli – una storia vera, che ho solo riportato alla luce – merita tutto e di più.
Il riconoscimento alla tua opera è arrivato anche dalla diffusione del tuo libro all’estero, in ben dieci paesi. Il respiro internazionale del tuo romanzo può essere dovuto al fatto che L’angelo di Monaco è realtà storica sublimata dal cantore che la narra rendendola in qualche modo di tutti?
I paesi alla fine saranno molti più di dieci – dieci sono le lingue, che comprendono lo spagnolo e il francese worldwide, come si dice. Già ora l’Angelo sta circolando in tutto il Sudamerica, e non ti dico che impressione vedersi taggare su Instagram da lettori cileni o argentini! E non vedo l’ora che esca in francese, credo a marzo prossimo. La Francia è una nazione del cuore, e ho letto e amato così tanti autori d’Oltralpe che l’idea di finire a scaffale con loro a Parigi o Marsiglia mi dà i brividi… Il respiro internazionale del romanzo, come lo definisci, è in effetti il prodotto di scelte precise a monte della prima stesura. Il fatto è che la storia di Geli, il motivo per cui mi sono messo in questa mission impossible in prima istanza, non è una storia italiana, è nemmeno una storia tedesca, per come la vedo io: è una storia universale. Quello che accadde in Germania nel 1931 non riguarda solo i tedeschi, ma tutti noi, e il fato tragico di Geli Raubal interessa chiunque abbia a cuore concetti come giustizia e risarcimento. Poi, certo, il fatto che Geli fosse non solo la nipote di Hitler ma il suo affetto più profondo, al centro di tutte le dinamiche umane e politiche del Nazismo in fasce, non può che elevare a un piano assoluto l’interesse per la vicenda. Ma dubito che il motivo per cui l’Angelo abbia incontrato l’interesse prima degli editori e poi dei lettori sia che “parla di Nazismo”. Il romanzo parla di una ragazza sventurata che ha subito la peggiore delle ingiustizie, e dei tentativi di restituirle memoria e dignità, da parte di due commissari finzionali e di un autore reale. Per me il cuore è qui, ed è qui che ho cercato di rimanere mentre scrivevo, scegliendo un taglio internazionale per la struttura (thriller storico in battere, non frequentatissimo in Italia) e anche per i modelli, che sono i Follett, gli Harris, i Grisham, i Larsson. Best-selleristi di qualità, letti in tutto il mondo perché sanno toccare con efficacia corde presenti in tutti noi, a dispetto delle bandiere.
Da dove nasce l’intuizione tanto brillante di riportare alla luce la storia di Geli Raubal, nipote di Adolf Hitler, ed a distanza di 10 mesi dall’uscita del romanzo riusciresti a presentare Geli stessa ai lettori quasi come un’amica?
Se guardi i Ringraziamenti del libro, vedrai che in seconda posizione, subito dopo mia moglie, viene il già citato Robert Harris, il quale è stato, del tutto inconsapevolmente, ispiratore di argomento e struttura narrativa. La storia di Geli Raubal, infatti, l’ho scoperta leggendo un suo thriller storico ambientato nella Germania del 1938, Monaco. Una bella storia che rapisce e trascina, senonché a un certo punto l’autore butta lì in poche righe la vicenda di Geli, che mi ha colpito al punto di non leggere più avante (come diceva Dante). Sono rimasto inchiodato sulla pagina per lunghi minuti, incredulo che, nonostante mi reputi persona di buona cultura, in 41 anni di vita non avessi mai nemmeno sentito nominare la famosa nipote prediletta di Hitler, morta in circostanze misteriose nel settembre 1931, uccisa in casa del futuro Führer dalla pistola del Führer stesso. Messa così, capirai bene, era impossibile non rimanerne presi, Al punto che tuttora non capisco perché non ne abbia scritto Harris in persona! Ma meglio per me. Dopo essermi ossessionato alcune settimane per la storia di questo strano suicidio, cui non era mai stato dedicato un romanzo, un saggio o un film di rilievo, mi sono detto che volevo provarci io. Non per ambizione, figurarsi, ma per una connessione che sentivo per la storia di Geli e per la sua memoria perduta. In seguito, a libro finito, mi sarei reso conto che si trattava di un desiderio di renderle giustizia, ma all’inizio era solo una compulsione: dovevo scrivere quella storia, almeno per togliermi il desiderio di farlo, che era schiacciante. A quel punto, per iniziare da qualche parte, ho ripensato al caro Harris, di cui avevo letto a ruota l’altro capolavoro, Fatherland. E a Fatherland mi sono ispirato per la struttura dell’Angelo, o almeno per quella disegnata prima di iniziare a scrivere. Poi andando le cose sono cambiate, ma credo che alcune somiglianze si avvertano ancora. E insomma, è stato lui a fornire i blocchi di partenza per questa corsa incredibile. Quando lo vedo – e dovevo vederlo a Milano per BookCity 2019, ma poi non è venuto – gli devo minimo una cena.
A uso e consumo non solo dei lettori, ma anche dei numerosi aspiranti scrittori, penso sia interessante che tu ci racconti il minuzioso lavoro di documentazione e ricostruzione storica che hai intrapreso per dare vita ai personaggi del tuo romanzo ambientati in un momento epocale visto quello che accadrà al mondo intero con l’ascesa al potere di Hitler.
Ah, è presto detto: ho letto tutto. Come ricordavi prima, io sono un bibliotecario, e come bibliotecario ho sviluppato nel tempo una serie di competenze di ricerca bibliografica, che ho messo a frutto per scavare negli studi su Hitler e il Nazismo alla ricerca di notizie riguardo Geli. Ho scoperto così alcune cose interessanti: che su di lei, di monografico, non esiste quasi nulla, solo pezzi di studi più vasti, e che anche quel quasi nulla non è più in commercio in italiano, se mai è stato tradotto. Una cosa soprendente, per una figura così importante (non sono stato io a dire che la storia di Geli poteva cambiare la Storia). Perciò ho recuperato materiale in tutte le lingue che più o meno comando, dall’inglese al francese passando per un macchinoso tedesco, e una volta radunato mi sono lanciato a studiarlo in dettaglio, facendoci sopra le notti (letteralmente). Ho quindi viaggiato nei luoghi della vicenda, Monaco in primis, e lì ho visitato tutte le location (mi consideravo una sorta di regista, in questa fase) e raccolte altro materiale: fotografie d’epoca, opuscoli, mappe… Poi naturalmente ho compulsato le biografie di H. e dei suoi collaboratori, le storie della Germania e del Nazismo, le memorie dei contemporanei, tutto quello che poteva darmi spunti precisi e puntuali su come fu vivere gli anni cruciali del tramonto di Weimar. Solo una cosa non ho fatto in tempo a studiare: i romanzi di Volker Kutscher che hanno ispirato Babylon Berlin, la serie ambientata nella Berlino di fine anni Venti. Peccato, ma – ecco un consiglio per chi volesse fare qualcosa di simile a quello che ho fatto io – se vuoi scrivere un romanzo ben ricercato devi ricordare che a un certo punto la ricerca va fermata, o quantomeno frenata. Ci sono studiosi che frequentano queste epoche per una vita e non esauriscono mai le fonti. Un romanziere deve anche sapersi dare limiti, o finirà per non scrivere il romanzo.
Se non sbaglio uno dei libri cui sei maggiormente legato è Il nome della rosa di Umberto Eco. L’autore scrive che “i libri non sono fatti per crederci, ma per essere sottoposti a indagine. Di fronte a un libro non dobbiamo chiederci cosa dica ma cosa vuole dire”. Quanta ispirazione hai tratto da queste parole per dare vita al tuo stile di scrittura?
Bella citazione, e sì, considero Il nome della rosa il libro della vita (letto a quattordici anni ha determinato alcune scelte fondamentali della mia formazione) e Umberto Eco il mio maestro (anche se di persona l’ho solo sfiorato come studente di Semiotica del testo a Bologna). Conoscendo romanzo e autore così bene, però, vedo nella frase che riporti non tanto una verità generale, quanto un’indicazione per il suo Lettore ideale (concetto che Eco aveva molto caro). “I libri non sono fatti per crederci ma per essere sottoposti a un’indagine”? In parte sì, e in parte no. A un romanzo devi credere, o almeno far finta di credere (la famosa sospensione dell’incredulità di Coleridge), altrimenti non te lo godrai. Poi, una volta terminata la lettura, è giusto e sano iniziare a dubitare delle sue verità, che però in quanto verità finzionali sono più vere delle verità reali, perché l’autore è l’autorità per definizione. Ti dirò di più. Nell’Angelo ho inserito la bibliografia completa delle mie ricerche proprio per incoraggiare l’indagine del lettore: se la soluzione che il commissario Sauer trova al mistero di Geli non ti convince, ma anche se ti convince e vuoi approfondirla, eccoti gli strumenti per farlo. “Di fronte a un libro non dobbiamo chiederci cosa dica ma cosa vuole dire”? Questa è semiotica, temo, e in particolare l’amato Peirce che Eco contibuì a diffondere urbi et orbi: un segno è sempre e solo un approssimarsi a ciò che significa, l’oggetto “dinamico” che rimarrà sempre intimamente inafferrabile. Di conseguenza non si può chiedere cosa significhi qualcosa, ma cosa il qualcosa voglia significare. Come un fare il processo alle intenzioni anziché alla realtà, il contrario di ciò conviene tra persone. Però devo dire che prendere alla lettera questa citazione è un po’ riduttivo: cosa vuole dire l’Angelo? Che Geli è esistita, e che va ricordata. D’accordo. Inoppugnabile. Ma la parte interessante, quella narrativa ed emotiva, sta nel resto. Sta nei dettagli, e i dettagli non sono intenzione: sono realtà. Magari virata, manipolata, interpretata, ma realtà.
Non è un mistero che il delitto di Geli Raubal sia il punto di partenza de L’angelo di Monaco, ma nella tua testa quale dovrebbe essere il punto di arrivo del romanzo stesso, quale sensazione ti piacerebbe destare nel lettore che gira l’ultima pagina del tuo romanzo?
Su Geli: compassione, affetto, nostalgia. Sul libro: piacere. Il fine ultimo, ovvero la quintessenza, della narrativa (qualsiasi genere sia). Noi siamo sempre un po’ sospettosi del piacere letterario, ma il piacere è uno dei fondamenti della vita. È iscritto nel nostro Dna, e chi siamo noi per contrastare il Dna? Comportiamoci bene, facciamo ciò che va fatto, guardiamo al futuro, guardiamo anche all’Aldilà se vogliamo. Ma nel farlo non dimentichiamo mai di annusare i fiori lungo la via. Non dimentichiamo di leggere un romanzo non solo per sapere, riflettere, capire, elevarci, ma anche per emozionarci. Diceva Tolkien: una storia che diverte non è una fuga dalla realtà, ma il sacrosanto riposo del guerriero.
L’angelo di Monaco viene spesso etichettato come il tuo romanzo di esordio ma in realtà avevi già avuto un buon successo con il giallo umoristico dal titolo Il club Montecristo, prima vincitore nel 2017 del Premio Tedeschi per il miglior romanzo giallo inedito e poi con la pubblicazione dello stesso nella prestigiosa collana da edicola Il giallo Mondadori Oro. Il primo amore non si scorda mai o pensi che quel tipo di narrazione appartiene definitivamente al tuo passato?
Dunque. Nella realtà editoriale corrente, che è molto diversa da quella di vent’anni fa (credo che il giro di boa siano stati Dave Eggers in America e Paolo Giordano in Italia) essere esordienti è percepito dal pubblico come un valore in sé. Qualcosa di nuovo, e non solo nelle lettere, è sempre più eccitante. Da bibliotecario devo confermarlo: tantissimi lettori entrano in biblioteca in cerca delle novità editoriali, anche se gli scaffali straripano di strepitosi libri non nuovi che ancora devono leggere. Per dire: tutti vogliono il nuovo Ken Follett e magari non hanno letto il primo, La cruna dell’ago, che quarantadue anni dopo la pubblicazione resta una vetta del genere, per nulla invecchiato. Forse anche per questo si è un po’ insistito sul fatto che l’autore dell’Angelo fosse un esordiente, e in effetti in un certo senso si può dire che io lo fossi: esordiente in libreria, esordiente all’estero. Non c’è contraddizione reale con il fatto che nel 2017 il mio primo romanzo compiuto abbia vinto il premio Tedeschi per il giallo inedito e sia stato pubblicato in edicola come Giallo Mondadori. Oggi lo si può trovare solo come ebook, il cartaceo ha avuto i suoi due mesi di gloria e poi è scomparso come qualsiasi prodotto da edicola. Ma Il club Montecristo aveva una sua ragione di essere, e a tre anni e mezzo di distanza mantiene la vitalità che avevo tentato di insufflargli, ragion per cui Mondadori ha deciso di ripubblicarlo in libreria, nella collana gialla in cui stanno uscendo romanzi di autori come Camilleri, Simoni, De Cataldo, Strukul, Frascella. Le ultime notizie che ho parlano di un’uscita a febbraio 2021, e mi fa molto piacere, anche perché – e qui rispondo alla seconda parte della tua domanda – il Club è pensato per essere il primo di una serie di gialli contemporanei light (siamo in zona Manzini-Malvaldi, per intenderci), e il secondo è già scritto e in programma sempre con Mondadori per il 2022. Voglio molto bene ai personaggi di questa serie, che gira intorno a un gruppo di ex carcerati in cerca di redenzione, e penso che ponga temi interessanti come il crimine, la recidiva, la giustizia, il perdono, il tutto facendosi qualche sana risata sullo stato di uomini e donne in questo inizio di Terzo Millennio. Fate conto, se avete letto l’Angelo, che qui il protagonista non sia la nobilità tragica di Sauer ma l’umorismo incrollabile di Mutti.
In chiusura sento l’obbligo di farti la domanda più banale del momento ma penso che sia anche quella che ti fanno già molti dei tuoi seguaci sui social, ci sarà un seguito de L’angelo di Monaco?
Mi piace “seguaci”, sembriamo tutti un po’ folli, e una delle realtà più belle di questo genere sono i #follipergialli, che saluto con affetto. Ci sarà un seguito dell’Angelo di Monaco? Be’, in effetti c’è già. L’ho iniziato durante il lockdown di marzo e terminato nel corso dell’estate. Al momento è nelle sapienti mani del mio editor, Fabrizio Cocco, il quale si sta divertendo a trovare tutti i difetti e a suggerirmi spunti per migliorie (io lo chiamo il miglior fabbro, come Eliot faceva con Pound). Credo che Longanesi punti a un’uscita verso metà 2021, e io lo spero davvero, perché quando amo un autore vorrei leggere almeno un suo libro l’anno, per cui mi metto nei panni di chi, bontà sua, ha amato l’Angelo. Ma vogliamo fare una microrivelazione? E facciamola: l’Angelo non avrà un seguito, in realtà. Ne avrà una serie. Non dico il numero per non fare la fine di George R. R. Martin, ma sappiate che è tutto pianificato (da me, non dal marketing, chiarisco per i complottisti), e che tende a chiudere definitivamente la storia di Geli Raubal, che alla fine dell’Angelo ha raggiunto una soluzione ma solo diversi anni dopo, e in tutt’altro Paese, troverà finalmente la pace.
MilanoNera ringrazia Fabiano Massimi per la disponibilità