Le 13 cose



Alessandro Turati
Le 13 cose
neo
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Lui, il protagonista narrante in prima persona si chiama Alessio Valentini, ha 29 anni, e da otto anni convive con un lutto per niente elaborato, la morte per cancro della moglie Emilie. Di lei vive anche il ricordo di un foglietto che Alessio tiene sempre con sé sul quale la consorte gli aveva scritto le 13 cose da fare durante una giornata. Di tanto in tanto lo legge, ma la cosa è diventata più che altro un cerimoniale che scandisce la sua esistenza. Che tipo di esistenza? Passaggio delle ore impazzite, ricordi di un passato sghembo, morte e vita che si intrecciano e un senso della morte durante la vita che ha il pregio di far assomigliare ogni gesto, parole, voce, colore, a una vera e propria dipartita. L’idea è eccellente, quasi geniale. Peccato che Alessandro Turati nel suo romanzo d’esordio Le 13 cose ne faccia una realizzazione così prevedibile nella finta ubriacatura del microcosmo spazio-temporale dentro cui immette il suo personaggio centrale da parlare di occasione del tutto sprecata. In quarta di copertina la sua casa editrice (la Neo Edizioni) parla di “divertente luna park”, romanzo fatto di trovate e invenzioni ad ogni giro di pagina” e “originalità stilistica”, “ironia che corteggia la comicità” e “ritmo incalzante”. D’accordo, l’oste il suo vino lo deve pur vendere (però intanto consiglierei una maggiore attenzione almeno sul controllo dei nomi ed evitare, questo sì, comicità involontarie come Riccardo Schicci in luogo di Schicchi e David Linch per Lynch. In un testo di cento pagine scarse si può fare), ma il gioco regge poco. Scrittura che pigia sull’acceleratore del sesso per occhieggiare a chi? Il terrore è che abbia pensato a Charles Bukowski. Paradossi linguistici con tocco di surrealismo per introdursi nel mondo di Andrea G. Pinketts? Mah… Sa tutto di così forzato, posticcio, come se le cose narrate accadano semplicemente perché è l’autore a volerle così. O perché fa figo scrivere cento volte “culo” e “buco del culo”. Si arriva alla fine di questo che assomiglia più a un pamphlet. Ma stancamente. E per un libro che si è preteso di giocare dall’inizio sul filo dell’ironia e del sarcasmo, della frase dissacrante o del pensiero caustico, insomma non è proprio un successo di cui vantarsi.

Corrado Ori Tanzi

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