Tra il baccano continuo e diffuso di una Palermo che sembra non dormire mai, forse per paura del silenzio che può rivelare qualcosa, si snodano le vicende di questo travolgente romanzo di Gian Mauro Costa.
«Perché Palermo teme tanto l’assenza di frastuono o la pace della sera?» Si interroga Angela Mazzola, sbirra nata e cresciuta nella periferia di Borgo Nuovo. «Forse perché ha paura di sentire i battiti del suo cuore, i lamenti dei suoi fantasmi?»
Sono parole che dovrebbero rivelare qualcosa a noi, ma soprattutto ad Angela stessa, che sembra sorda a molti segnali rivelatori. Segni che però la nostra poliziotta è abilissima a fiutare negli altri, grazie al suo naso particolarmente sensibile.
Qual è l’unico elemento che distingue un quartiere dall’altro, un rione dall’altro? Non certo l’architettura, gli arredi dei negozi, i suoni o i colori ma gli odori. Al Cep, quartiere a un paio di chilometri da Borgo Nuovo, la calce è la stessa, i cespugli appestati gli stessi, stesse le pietanze, stessi gli aromi ma…si avverte un sentore diverso, più aspro, pungente, meno accogliente, meno affettuoso, più…Cep.
Così anche dalle diverse fragranze, Angela, figlia di un fornaio, riesce a distinguere gli ingredienti con cui vengono preparati dolci e pagnotte. Il panificio Cavallaro, al Cep, dove si indaga su di un omicidio, ricalca il modello di quello paterno ma dall’aroma si può dire che si fa meno uso di giuggiulena e si abbonda di pistacchio. Pure la sinfonia di odori all’interno del laboratorio di Alfonso Riccobono, il falegname ucciso, inebria e disgusta con un mix di legno fradicio unito a quello seducente della colla e a quello repellente dei diluenti.
La vittima, Afonso Riccobono, storico falegname del Cep, da pochi anni, per contrastare la concorrenza dei grandi centri commerciali, si era creato un nuovo profilo professionale: restauratore e commerciante di mobili antichi. Con l’acquisto, assemblaggio e ricostruzione di pezzi d’arredo d’epoca, che al Cep nessuno vuole più, la sua fama si era estesa oltre i confini dei quartieri popolari fin nelle zone più signorili.
L’omicidio appare immotivato: sulla scena del delitto non vengono rinvenute armi, tracce, impronte. Riccobono non aveva, all’apparenza, nemici che lo volessero morto e la sua esistenza non era riconducibile a cosche, clan o associazioni di stampo mafioso.
Ma…c’è sempre un ma. Angela, nei suoi sopralluoghi solitari, al limite della legalità, rinviene un’agenda con annotazioni interessanti, con un nome che si ripete con insistenza: Barachiele. E poi…un volantino, quasi dimenticato in mezzo alla cianfrusaglia del laboratorio. L’immagine riprodotta è quella di un angelo, rappresentato secondo i canoni dell’iconografia tradizionale. Il testo però si discosta: I sette arcangeli, persone dotate di una capacità straordinaria di vedere e parlare con gli angeli custodi, garantiscono di poter mettere le persone in contatto con il proprio angelo. Come fare? Chiamare un certo numero, riportato sul volantino, lasciando il messaggio: «voglio conoscere il mio angelo custode». Sotto il profumo di rose, Angela percepisce un sentore di marcio.