E verrà un altro inverno è il nuovo libro di Massimo Carlotto in tutte le librerie per la collana Nero Rizzoli.
Qui la nostra recensione.
Quasi tutti gli scrittori di noir ambientano le loro storie nelle grandi città, tu scegli la provincia, anzi questa volta un paese solo sul fondo di una valle, come mai questa scelta?
Per correggere una sorta di equivoco che dura da troppo tempo e cioè che in Italia la provincia è tutta uguale. In realtà non è affatto così: ogni territorio ha caratteristiche diverse dal punto di vista sociale che devono essere evidenziate, soprattutto nei romanzi. Il mio è ambientato in un nord non ben definito perché, negli anni, l’impatto industriale su territori tradizionalmente dediti all’agricoltura ha creato una sorta di omogeneizzazione nella distribuzione del potere e nella relazione tra istituzioni e territorio.
La tua valle è uno specchio dell’Italia?
Direi proprio di sì. Quando ho riletto il romanzo mi sono reso conto quanto quella valle assomigliasse al Paese.
I personaggi che racconti non si potrebbero definire proprio criminali incalliti. Perché hai scelto di raccontare i crimini della “ brava gente”?
Perché si è modificata la relazione tra crimine e società. Un tempo le persone perbene difficilmente sceglievano di dedicarsi al crimine. Oggi è molto più facile: basta vedere i dati su corruzione, crimini finanziari e ambientali. Una prateria narrativa che il noir deve ancora esplorare. Per molto tempo mi sono dedicato alla criminalità organizzata, ora che è diventata sistemica ho ritenuto doveroso spostare lo sguardo, anche per non correre il rischio di scrivere lo stesso romanzo. La gente perbene riserva poi molte sorprese, l’aspetto che mi affascina è che si ritengono sempre “perbene”. Anche quando siedono sul banco degli imputati.
E’ cambiato il crimine o sono cambiate le persone e i motivi per cui si delinque? O forse è solo cambiata la percezione che ne abbiamo?
Bisogna distinguere tra il crimine commesso dalle organizzazioni e dalle cosche e quello che nasce e si sviluppa in ambienti che con quel tipo di culture criminali non hanno mai avuto nulla a che fare. I moventi che spingono le persone a delinquere sono sempre gli stessi: potere, sesso, denaro ma l’approccio, le modalità e soprattutto le strategie protettive e difensive sono completamente diverse. È incredibile come la cultura televisiva imparata seguendo le serie e i talk sia in grado di influenzare il modus operandi di questi soggetti “prestati” al crimine.Tema che ho voluto approfondire usando come fonte, la serie C.S.I.
Il valore del ruolo sociale è diverso tra piccoli centri e città?
Sì. In città sono apparentemente più sfumati mentre nei piccoli centri potere e comando sono ruoli netti e definiti, radicati nella memoria del luogo. Come è diverso il ruolo della chiesa, in città spesso è invisibile, nei paesi accentra poteri di altri tempi.
Solitudine, fallimento esistenziali,mediocrità, immobilismo. Sono i temi che in particolare hai affrontato nei tuoi ultimi libri E’ questa la foto della società odierna?
Anche. In questo romanzo il fallimento esistenziale e il dolore sono fattori scatenanti. La mediocrità si rileva nella qualità dei soggetti coinvolti e in quelli che dovrebbero amministrare (anche la giustizia). Sono evidenze del nostro vivere comune, come cittadini siamo costretti a confrontarci con una società che non è più in grado di esprimere il meglio. Tragico dal punto di vista reale ma estremamente affascinante da quello letterario.
Che ruolo hanno i media e i social nella mediocrità che descrivi?
In questo romanzo i social sono assenti. Ne avevo affrontato la complessità nel penultimo romanzo: La signora del martedì. Invece grande ruolo rivestono i media. Di città e di provincia, descrivendone diversità di ruolo e di influenza. Ma ho ritenuto importante anche soffermarmi anche sull’importanza delle radio e delle tv di paese come collante sociale, come fonti credibili e condivise.
Il tuo è un romanzo corale, pieno di personaggi, ma sbaglio se dico che la stessa valle, con tutto quello che contiene e rappresenta , è il personaggio più importante?
In qualche modo lo è. Tutto capita al suo interno, le dinamiche che esprime sono definite. Una sorta di contenitore di destini che vengono giocati a seconda del ruolo sociale del personaggio. Ci sono i “nessuno” come Manlio Giavazzi e i “maggiorenti” come Jacopo Pesenti…
Ci si abitua a tutto? “la neve coprirà tutte le cose”?
Sì perché “Verrà un altro inverno” e poi un altro ancora. L’importante che le stagioni si succedano senza mutazioni sostanziali dei rapporti tra le classi. Termine che oggi non si usa più ma che in realtà, in certi luoghi, rappresentano categorie novecentesche.
Qual è il ruolo dello scrittore oggi?
Attraversare il proprio tempo occupandosene. In parole povere: non più un osservatore attento della realtà che ci circonda ma “ossessivo”. Altrimenti si rischia di perdere il contatto e di commettere errori di prospettiva. Parlo per me, ovviamente.
Hai descritto un “piccolo mondo antico”. Che lavoro hai fatto sulla scrittura per adattarla alla storia?
Come sempre sono partito da una vicenda reale, che ho ovviamente adattato alle esigenze del tipo di romanzo che volevo scrivere. Ho scelto una struttura corale e circolare per trasformare il lettore nell’unico detentore della verità. Chi legge crede di sapere, ma poi colpi di scena correggono necessariamente il punto di vista perché la verità, a volte, è così complessa da perdere di senso. Sta al lettore farne un uso corretto e attento.
Sei convinto che “ tra paesani ci si voglia davvero bene”? Perché credo che le dinamiche che hai descritto nel libro siano sempre presenti, anche all’interno di una piccola comunità, che si allea solo quando arriva “il pericolo da fuori”. La cultura del sospetto a volte parte addirittura all’interno della famiglia. Un meccanismo che si replica all’infinito...
Tra paesani dubito che ci si ami sempre e comunque. Credo però che le piccole comunità siano in grado di sviluppare forme di solidarietà… o di complicità…
“Alla mia età fantastico ancora come un ragazzino” dice Manera. Tu? Fantastichi ancora?
Certamente. Fantasticare fa bene.
Per cosa si scrive? Per capire, per capirsi o per far capire?
Io scrivo storie che hanno un senso generale, in grado di suscitare interrogativi e inquietudine.
Un paio di domande tanto per sorridere:
Cosa hai contro i dessert dei ristoranti italiani?
Troppo spesso sono banali. I più semplici da preparare e con gusti appiattiti. Insomma il tallone d’Achille della ristorazione italiana. Da un lato bisognerebbe riconoscere i propri limiti ritornando alla tradizione stagionale, dall’altro sperimentare di più. Pasticceri non ci si improvvisa.
Mi racconti la cosa più divertente o strana che ti è capitata durante una presentazione o la domanda più assurda che ti hanno mai fatto, a parte le mie, ovviamente.
Intervista in diretta alla radio su Niente più niente al mondo. Giornalista: Buongiorno Carlotto, ha appena pubblicato “Niente più tonno al nonno”. Ci vuole raccontare perché nega il tonno al nonno?
MilanoNera ringrazia Massimo Carlotto per la disponibilità