Le nebbie di Massaua



Giorgio Ballario
Le nebbie di Massaua
Edizioni del Capricorno
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«Nebbia a Massaua?» riflettei sorpreso. Non era un fenomeno del tutto insolito a queste latitudini, specie di prima mattina, quando l’umidità della notte si solleva avvolgendo le banchine del porto in un sudario impalpabile. Ma era appunto qualcosa del tutto diverso dalla fitta bruma che mi stava circondando e che, ai miei occhi increduli, ricordava semmai le spesse nebbie di fine autunno della pianura padana. Avevo completamente perso la nozione del tempo; ma se quella fosse stata la caligine dell’alba, da qualche parte si sarebbe dovuto distinguere il chiarore del sole nascente. Invece il buio regnava sovrano. Buio e silenzio. Buio, silenzio e nebbia.
E poi avevo freddo…
Attesa da diversi anni, la quarta indagine di Aldo Morosini, Maggiore dei Reali Carabinieri, in servizio presso il Comando dell’Arma in Eritrea, è, finalmente, giunta nelle mani dei lettori.
È il Luglio 1936 e il personaggio creato da Giorgio Ballario ha un  nemico diverso da fronteggiare: alla mercé della malattia, è ricoverato all’ospedale Umberto I di Massaua. Durante i giorni di forzata inattività, inizia a svolgere, dal letto di degenza, un bizzarro quanto irregolare lavoro d’investigazione: la morte per suicidio di un ingegnere minerario sembra un caso all’apparenza già risolto, ma un’intuizione inconscia, che si fa strada tra la caligine dei suoi pensieri ancora appannati dallo spossante attacco di quella vieille pute che si chiama malaria, lo rende inquieto. I contorni del caso gli appaiono tutt’altro che chiari: Cacciavillani si era davvero ucciso oppure qualcuno l’aveva fatto fuori mettendo in scena un suicidio? E prendendo per buona questa seconda eventualità, qual era il movente dell’assassino?
Coinvolgendo i suoi uomini più fidati – il maresciallo Barbagallo, lo scium-basci Tesfaghì e il tenente Calderoni – il Maggiore Morosini dà l’avvio a un’indagine che lo porterà verso la scoperta di segreti insospettati: non basterà risolvere il mistero che avvolge la morte del solitario ingegnere; ricostruendone la vita il protagonista dovrà anche raccoglierne le ultime volontà.  E, contemporaneamente, si troverà coinvolto, in via informale, in un’altra vicenda – dai risvolti, scopriremo, controversi – che potrebbe portare l’onta dello scandalo sulla direzione dell’Umberto I.
È un giallo dalle atmosfere placide, riflessive e malinconiche, quello che segue la pubblicazione – avvenuta nel 2012 – di Le rose di Axum: l’ambientazione storica è la medesima e la cura con cui viene delineato questo insolito “scenario coloniale” riesce a dare solidità e particolare fascino a tutto il romanzo. La sapiente penna di Giorgio Ballario ne fa una presenza decisa, ma in nessun momento invadente: scorci di vita quotidiana, riflessioni, ricordi, riferimenti perfettamente integrati, e mai inopportuni, valorizzano una trama, che, in alcun modo, soffre dell’inconsueta ricostruzione politico-sociale.
Ricordo che quel giorno pensai con entusiasmo a come sarebbe potuta diventare la Harar italiana, nel giro di un anno o due. Fantasticai su come i nostri architetti, urbanisti e amministratori pubblici avrebbero saputo rinnovare la città vecchia nel rispetto delle sue caratteristiche storiche, così com’era avvenuto a Massaua…  Non potevo immaginare, all’epoca, che il nostro passaggio in Abissinia sarebbe stato fugace ed effimero; e che il grande sogno dell’Africa orientale italiana di lì a pochi anni sarebbe crollato come un castello di carte.
Ha la leggerezza dei suoni, la forma delicata, ma agile, dei pensieri e delle suggestioni, l’attrattiva accattivante dei luoghi, ma anche, in alcuni passaggi, l’amarezza della denuncia,  il microcosmo storico che Le nebbie di Massaua offre al lettore: è un «mondo perduto» che ha tanto da dire e riesce a farlo anche grazie a due figure realmente esistite presenti nella narrazione. Il loro contributo – per uno – contestualizza, con fine attenzione, il richiamo a un odio fratricida animato da adesioni politiche contrastanti e la cui forma iniziava a delinearsi in Italia proprio in quegli anni; per l’altro è una sorta di omaggio a tutti quegli uomini di azione e d’avventura che, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, hanno unito il mondo e lo hanno reso un luogo più piccolo, livellato e uniforme.
Ricordo che quel giorno pensai con entusiasmo a come sarebbe potuta diventare la Harar italiana, nel giro di un anno o due. Fantasticai su come i nostri architetti, urbanisti e amministratori pubblici avrebbero saputo rinnovare la città vecchia nel rispetto delle sue caratteristiche storiche, così com’era avvenuto a Massaua…  Non potevo immaginare, all’epoca, che il nostro passaggio in Abissinia sarebbe stato fugace ed effimero; e che il grande sogno dell’Africa orientale italiana di lì a pochi anni sarebbe crollato come un castello di carte.
Le nebbie di Massau  è altresì  una storia che si tinge di nero, nella quale giganteggia la figura di un protagonista che si delinea in tutta la complessità del suo carattere: mentre si muove nelle corsie e nelle stanze dell’Umberto I affiorano, con prepotente vigore, i turbamenti, le fragilità, le nostalgie e i malinconici affanni, che agitano il suo animo.
Il più delle volte non sono le circostanze esterne a tormentarci, bensì noi stessi. La ripetitività dei nostri pensieri, l’aridità delle nostre vite, l’inutilità delle nostre azioni. E se in quel momento ogni minuto mi sembrava insopportabile, era forse perché la permanenza forzata in ospedale mi costringeva a rifletterci e rimuginarci sopra, invece di cercare le distrazioni cui avevo accesso nella mia esistenza «normale».
È un uomo rappresentato – come per altro tutti i personaggi che appariranno sulla scena – con l’abilità di un ritrattista sempre attento ai particolari: emergono l’umanità, l’intelligenza, l’arguzia, ogni qualità distintiva. Attraverso la carismatica voce narrante di Aldo Morosini il talento dell’autore riesce a rendere VITA VERA la finzione e dà  impulso irresistibile ai momenti di interazione tra i vari interpreti di questo riuscitissimo copione.
Il maresciallo si piazzò a fianco del mio letto…  diede fiato alla sua voce baritonale: «Boia fauss, signor maggiore, siete bianco come un cencio!»
«Grazie, Barbagallo. Ho sempre intuito che tu avessi doti nascoste per sollevare l’umore degli infermi.» 

 

Mariella Barretta

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