Le ossa parlano – Antonio Manzini



Antonio Manzini
Le ossa parlano
Sellerio
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No, questa volta l’omicidio non è una rottura di coglioni del 10° grado perché la morte di un bambino è qualcosa di devastante, insopportabile e inaccettabile. Un crimine che chiede verità e giustizia.
Verità e giustizia che sono soliti combattere i supereroi di cui la piccola vittima era appassionata. Ma non c’era un supereroe a difenderlo dal mostro che l’ha ucciso, nessun capitan America a proteggerlo con il suo scudo. E anche adesso non c’è un supereroe con la tuta sgargiante a cercare di rendergli giustizia, solo un antieroe, che forse così “anti” poi non è. Non indossa maschera e costume, ma il loden e le Clarks perennemente fradicie. Un uomo acciaccato, svuotato, deluso, ferito e stropicciato i cui super poteri sono rabbia e determinazione perché il piccolo merita che il mostro che ha rovinato la sua favola sia preso. Affinché non accada ad altri, perché non accada più. E allora testa basta e via, a cercare le tracce, a fiutare il marcio, a rivedere passo dopo passo le indagini svolte ai tempi della scomparsa, a cercare una pista, anche minima, che possa portare al colpevole, come un lupo che fiuta la preda.

E, insieme a lui, tutta la squadra, più compatta che mai nella ricerca dell’assassino.
Una ricerca che li porta a indagare fra le pieghe di un mondo disgustoso,  nascosto e terribile dove il peggio è sempre possibile. In questo caso difficile e doloroso, gli affanni personali di Rocco passano in secondo piano, Sebastiano è solo un pensiero che si affaccia ogni tanto accompagnato da un “perché” e l’amore ha bisogno di passi che Rocco non si sente di fare.

Ci sono ritorni e partenze in questo capitolo della storia di Schiavone che inizia con una sorta di addio a Roma e a parte del suo passato e ci sono nuovi semi che Manzini semina qua e là e che germoglieranno nel prossimo capitolo. 

Le ossa parlano è forse il romanzo più poliziesco della serie, quello in cui l’indagine prende il sopravvento. Una trama intricata, ben costruita, dove ogni personaggio ha il giusto ruolo e il proprio spazio. Manzini, questa volta, non ha puntato il faro principalmente su uno dei personaggi per raccontarcelo di più, ma ha mantenuto la coralità della storia, fornendo frammenti di ognuno per sottolineare come fossero tutti ugualmente coinvolti, anche psicologicamente, in questo terribile caso.

Accanto alle riflessioni sulla solitudine, voluta, di Rocco e sui figli e nonostante l’orrore dell’indagine, non mancano i momenti comici, su tutti l’interrogatorio della Gambino, e il consueto sarcasmo di Schiavone. Nel romanzo ci sono anche riferimenti a molti libri e l’esortazione di Manzini a leggere i classici e ad andare a teatro per crescere e capire un mondo che pare stia diventando incomprensibile.

Che dire di più di questo nuovo capitolo della storia di Rocco? Personaggio, storia, scrittura, non manca nulla. Allora non rimane altro che chiudere con la frase che sicuramente direbbe Schiavone a fine lettura: Manzini, me cojoni!

Cristina Aicardi

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