Da pochi giorni in libreria con Prisma, Tea Libri, Gianluca Morozzi ha gentilmente accettato di sottoportsi all’interrogatorio di MilanoNera
In Prisma torna l’enigma della stanza chiusa, doppio addirittura stavolta. Come mai lo ami così tanto? È la prova più difficile per uno scrittore?
Me ne sono innamorato dopo aver letto “Le tre bare” di John Dickson Carr e “L’enigma dello spillo” di Wallace. Mi piace perché amplia le domande del giallo classico da due a tre, non solo “chi è stato?” e “perché?”, ma anche e soprattutto “come ha fatto?”. La sfida è troppo stimolante per non volersi cimentare nell’impresa. Lo avevo già fatto con “Lo specchio nero”, ci ho riprovato in maniera diversa qui. In modo, appunto, duplice.
Prisma è composto da capitoli molto brevi con brevi frasi come titolo che sostituiscono la numerazione, come mai questa scelta?
Questo è un romanzo molto legato ai libri, alla scrittura, al potere della parola scritta. I numeri hanno pochissimo spazio. Per cui era giusto aggiungere ulteriori parole anche solo per cominciare i capitoli.
Prisma è un titolo particolare, come lo hai scelto? Vi si trova forse già la soluzione del mistero?
Come “Radiomorte” o “Blackout”, era il classico titolo provvisorio di lavorazione, che poi è piaciuto all’editore ed è rimasto così. L’escapologa Prisma è il motore della vicenda, la grande rivale che ha portato la vittima a morire per cercare di superarla… anche se le cose, come vedrete, non sono così semplici.
Come è nata l’idea del libraio- detective? Cosa accomuna le due figure? La curiosità, forse?
Da una serata conviviale con vari scrittori, in uno di quei contesti pre-pandemici in cui ognuno, in allegria, stava proponendo nuovi assurdi personaggi seriali… il prete serial killer che uccide in confessionale, la cuoca con un libro di ricette magico che regala le soluzioni dei casi… e io avevo lanciato l’idea del librario detective. Nonostante il livello, diciamo, un po’ alcolico della serata, non ho dimenticato quell’idea. Perché, sì, librai e detective sono appassionati di trame complicate: dei romanzi, uno, dei delitti reali, l’altro.
Vilo dice di avere ereditato “ la dannazione benedetta dei libri” dal nonno e dal padre, tu da chi l’hai presa?
Mio nonno materno era il grande fornitore di romanzi Urania e di fantascienza. Saccheggiava edicole e bancarelle dell’usato, e tornava a casa con qualcosa su astronavi e robot per me insieme a un bel giallo con il commissario per lui, che da ex poliziotto quale era cercava sempre di scovare gli errori procedurali dei romanzieri. Ma anche quando ho saccheggiato la libreria della vecchia camera da ragazzo di mio padre, beh, è stato pure quello un bel momento!
La fantasia è una dote innata o si può coltivare?
La fantasia ce l’hai o non ce l’hai, di base, ma si può incrementare in mille modi. Maradona è nato con un talento ma si è allenato duramente per diventare il fuoriclasse che era.
Vedo molti amici abbrutiti da trasmissioni televisive azzeranti perché dicono: ho lavorato tutto il giorno, voglio rilassare il cervello. Secondo me il cervello si rilassa meglio se lo sposti in territori belli, piuttosto che spegnerlo.
C’è un romanzo che come Vilo hai riletto più volte trovandoci dentro il tuo mantra?
Il mio mantra è l’incipit di Chiedi alla polvere, nel quale mi riconosco in pieno.
Uno dei personaggi di cui parli è Neve,la bimba che vedeva mostri e misteri ovunque. Le storie sono davvero ovunque?
Certo. Il gocciolare della cantina della casa della mia infanzia non è stato più lo stesso dopo che ho visto Alien. Non dobbiamo mai perdere la capacità di trovare misteri e miracoli dappertutto, quella che avevamo da bambini, se vogliamo continuare a mantenere viva l’inventiva.
Gianluca scrittore e Gianluca lettore sono simili?
Da lettore cerco di soffocare la parte scrittore, per godermi un romanzo senza stare a guardare la tecnica con cui è stato scritto. Poi, se trovo una soluzione utile e interessante, la rubo con gioia.
In Prisma dici che non bisogna parlare di libri come fossero cose morte: cosa rappresenta per te il libro e cosa significa per te scrivere?
Quando vengo invitato a parlare di libri nelle scuole, la reazione più classica dei ragazzi o dei bambini è: ah, ma allora esistono anche scrittori vivi! Quelli che si sono fermati ai romanzi di quarant’anni fa, come le clienti di Vilo, e sostengono che non si sia scritto più nulla di interessante da allora, semplicemente non leggono più. I libri per loro sono una cosa ornamentale, morta, decorativa, come i vinili metal dei nostri 16 anni. E questi sono poi quelli che piangono se chiude una libreria in cui andavano a chiacchierare di libri… ha chiuso proprio perché ci andavate solo a chiacchierare!
In Prisma si parla di Houdini, pensi che siano similitudini tra lo scrittore e l’escapologo? In fondo entrambi devono riuscire a liberarsi brillantemente da una situazione complessa, che sia una gabbia o una trama…
Soprattutto tra escapologo e giallista. Entrambi devono incantare lo spettatore o il lettore con un trucco, e spettatore o lettore sanno benissimo che stanno assistendo a un numero studiato e non a una vera magia… ma se si riesce a non mostrarlo, quel trucco, lo spettatore applaude e il lettore approva.
Vilo e Orrido, una coppia che funziona. Perché nei gialli quasi sempre di usa una coppia, sul modello di Sherlock e Watson?
Funziona fin dai tempi dei Delitti delle Rue Morgue… forse perché è più divertente snocciolare ipotesi e congetture sul caso in questione attraverso un dialogo a due che non in un interminabile monologo interiore della voce narrante.
In Prisma ci sono brevissime incursioni nel sovrannaturale, o almeno nel non razionale. Ci credi? Qual è il tuo rapporto con il “non spiegabile?”
Questo è un romanzo molto razionale, senza vampiri, senza supereroi, senza viaggi nel tempo, quindi la componente sovrannaturale è molto ridotta e Remedios potrebbe semplicemente mentire. Ma mi piace invece pensare che certi, perdonatemi il termine, idioti sapienti abbiano sviluppato facoltà del cervello non impegnate da altro (Remedios è analfabeta, e non troppo intelligente) in quelle aree che in genere non usiamo. Ho avuto molti esempi di contatti con qualcosa di non completamente spiegabile, da parte di persone care e degne di essere credute. Mi piacerebbe poter avere qualche visione come Remedios… magari in modi meno cruenti dei suoi.
Nai tuoi libri non manca mai l’ironia. Un libro può essere solo “divertimento” o ci deve essere per forza un messaggio, una morale?
Non scrivo mai un romanzo pensando di mandare un messaggio o cercando di suggerire una morale. L’ironia mi serve per dare un po’ di respiro al lettore in romanzi cupissimi come Andromeda o Blackout.
Vilo dice di non avere mai paura, tu invece come sei messo? Cosa ti mette ansia?
Mi provoca ansia solo il Bologna, da tifoso malato quale sono. Ma è così da 37 anni, ci sono abituato.
Perché hai usato Cent’anni di solitudine come fonte per alcuni nomi dei tuoi personaggi? Cosa pensi del libro di Marquez?
Quello è uno dei romanzi che mi hanno segnato la vita, e non ho mai fatto alcuna fatica a seguire le discendenze e i nomi dei personaggi tutti uguali. E allora mi è venuto in mente il classico What if: “cosa succederebbe se una comunità di analfabeti scambiasse Cent’anni di solitudine per la Bibbia? Cosa succederebbe se un prete predicasse la parabola della santa Remedios la Bella, assunta in cielo?”
Ecco nata la Cittadella!
E tutti i libri che cita Vilo, non bestseller o da classifica, li hai letti?
Ovviamente sì. Leggo parecchio, da sempre!
Abbandoni un libro quando…
Non lo abbandono mai. Al massimo inizio ad andare avanti veloce, a saltare qualche pagina, fino ad arrivare annoiato alla fine.
Ultima domanda: vorrei un libro consigliato da Gianluca, uno da Vilo e uno, ovviamente, da Orrido
Io propongo “Così si perde la guerra del tempo”. Vilo suggerisce “Canto di D’Arco” di Moresco. L’Orrido propone “Horcynus Orca,”, che probabilmente conosce a memoria.
MilanoNera ringrazia Gianluca Morozzi e Tea per la disponibilità
La foto di Gianluca Morozzi è di @Donata Cucchi