L’errante – Alessandro Bruni



Alessandro Bruni
L’errante
Round Robin
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Un uomo senza qualità: questo è Giorgio Ermetici, l’avvocato penalista che domina le pagine de L’errante (Round Robin Editrice, 2021, pagg.330), l’ultimo romanzo di Alessandro Bruni. Come il suo celebre predecessore, l’Ulrich nato dalla penna di Robert Musil, anche Ermetici si scontra con un caso giudiziario. O meglio lo subisce, visto che nel ruolo di difensore d’ufficio è chiamato ad assistere Ibrahim Al Rishani, un giovane marocchino accusato di terrorismo. E così, di nuovo come Ulrich, anche Ermetici si trova a fronteggiare una guerra, quella dell’Islam contro l’Occidente, che ha insanguinato i primi vent’anni del nuovo secolo mettendo a repentaglio la nostra civiltà e cultura. La prima reazione dell’avvocato verso l’incarico è di paura, di non essere all’altezza, di rivelarsi un professionista mediocre. D’altronde la carriera di penalista lui l’ha scelta unicamente per la suggestione di un modello letterario, l’avvocato creato da Lev Tolstoj cui si rivolge l’ufficiale governativo Aleksej Karenin per divorziare dalla moglie Anna. Sbava, infatti, il legale davanti a quel ricco cliente “e già medita il rifacimento degli arredi”. Come lui, Ermetici è avido, ma anche pigro e deciso a impegnarsi al minimo nella difesa dei clienti, quel poco che gli serve per portare a casa la vittoria processuale e farsi pagare. L’intera sua esistenza è quella di “un acrobata in equilibrio sul nulla”: nessun cliente importante, un matrimonio fallito, sesso occasionale, un’eccessiva indulgenza all’alcol. È un buon padre per i suoi due figli, ma non ha saputo tenere unita la famiglia. Il suo rapporto con lo stato è costellato di dubbi, quello con Dio è di assoluto distacco. È cinico, Ermetici, e prova un istintivo disprezzo verso l’uomo islamico, il nemico, l’altro diverso da sé. Quando la lotteria delle difese d’ufficio gli assegna in sorte il caso di Ibrahim, Ermetici dapprima vorrebbe rifiutare, poi finisce per cedere al senso del dovere ma covando malanimo e pregiudizio. La prima visita in carcere non può essere che uno scontro: la “faccia da bella canaglia” di Ibrahim resta chiusa dietro una maschera di odio e di silenzio, mentre l’avvocato immagina di prenderlo a ceffoni e fargli male. Eppure, dentro di lui, si fa strada una scintilla di curiosità verso ciò che non comprende e quindi lo spaventa. La sua stessa islamofobia diventa la molla ad approfondire, a penetrare l’essenza di quel nemico così diverso. Per età, etnia, fede, obiettivi. Una istanza, la sua, ancora più pressante della ricerca della verità, del sapere se Ibrahim sia davvero colpevole, o se lui riuscirà a scagionarlo. Sarà la comparsa di due incisive figure femminili – Enrica Lovisi, che prima accusa Ibrahim e poi ritratta, e la traduttrice egiziana Maryam, interpellata per tradurre le conversazioni registrate tra il ragazzo e due possibili complici – a dare una svolta decisiva al destino dei due antagonisti.
Alessandro Bruni ricorre al noir ne L’errante unicamente come a una veste letteraria, che non limita in nulla la profondità degli interrogativi posti dal romanzo, né il riverbero di un sentire collettivo che purtroppo appartiene ai nostri giorni. E se, leggendo, le figure dei due protagonisti si affacciano con prepotenza da ogni pagina, non perdiamo mai di vista il palcoscenico su cui si muovono, che indossa i colori inquietanti di una realtà ormai famigliare. La paura di Ermetici è anche la nostra, quei musulmani che lui immagina pronti a farsi esplodere, trasformandolo “in ceppi di carne bruciata”, noi li incontriamo tutti i giorni e distogliamo in fretta lo sguardo perché non possano riconoscere lo sgomento che si annida in fondo ai nostri occhi. Siamo coscienti del declino della nostra civiltà e ci vediamo minacciati da chi ancora nutre fede e obiettivi, abbracciando una religione che permea ogni aspetto della vita civile e che non arretra neppure davanti alla morte. 
L’antagonismo che da subito divampa tra l’avvocato e il ragazzo è ben più di un collaudato espediente narrativo: è lo scontro tra chi si sente depredato e chi, con tutte le sue forze, vorrebbe depredare. Il conflitto interiore dell’uomo maturo, tra etica professionale e islamofobia, tra fascinazione dell’esotico e paura del diverso, si contrappone con rilievo drammatico alla granitica assenza di dubbi del ragazzo affamato di vita, alla sua “rabbia giovane” che sa quel che vuole, sente di averne diritto ed è determinata a prenderselo.
E, benché sia Ermetici l’unico io narrante dei due universi, neppure questo sottrae veridicità al racconto, anzi gli conferisce una indubbia nota di rispetto e onestà.
Non meno riuscite le già citate figure di Enrica e Maryam, emblematiche anch’esse di due mondi, o meglio di come si pone Ermetici nei confronti di essi: una fisicità scialba la prima, che gli trasmette una respingente “aura progressista, senza dubbio veterocomunista, terzomondista, forse femminista”, “l’intero mediterraneo” nel viso dell’altra, che suscita invece in lui l’impulso di esaudire qualunque suo desiderio. Maryam, cui è dedicata la sura XIX del Corano, Maria per noi, la vergine che partorì un figlio, simbolo che accomuna Cristianesimo e Islam, anche se per quest’ultimo quel figlio era solo un profeta. E non l’unico anello di congiunzione, in quanto vi sussiste anche Abramo (Ibrahim).
E agli indubbi legami tra le tre religioni monoteiste sono dedicate nel romanzo pagine di ispirate riflessioni: Ebraismo, Cristianesimo, Islam, tre fratelli che hanno visto la luce a secoli di distanza, che si sono combattuti per un assurdo primato e ancora si combattono. 
Altrettanto intensi i brani dedicati alle suggestioni ambientali: “il sole pronto a calare sulla calotta di polvere e spezie di Marrakech”; “il vento e la polvere delle strade del Maghreb”; gli amanuensi e i traduttori della biblioteca di Cordova, chini a salvare “molto del sapere antico, rendendo fluide le lettere tra le diverse lingue”. E, sopra a tutto, i colori drammatici o stordenti dei frequenti voli onirici di Ermetici, frutto di deliri alcolici o soprassalti di una coscienza mai sopita.
Un romanzo importante, e colto, questo di Alessandro Bruni, in cui verità e finzione si fondono in una appassionante realtà narrativa.
Un ultimo cenno voglio dedicarlo al titolo, L’errante, che da subito mi ha fatto pensare ad Assuero, l’ebreo errante appunto, figura scaturita dal Vangelo di Giovanni e rimasta nella memoria per aver rifiutato a Gesù di sostare sulla soglia di casa sua durante la salita al Calvario. Da sempre, impersona l’eterna irrequietudine e dannazione dell’umanità in lotta, la tragica sorte dei perseguitati, il dolore universale. E mi sembra quanto mai pertinente.

ALESSANDRO BRUNI (Bologna, 1972) è scrittore e avvocato civilista. È autore dei romanzi Ulisse aveva una figlia (2015), Killing Rock Revolution (2017) e La prossima estate. Un requiem per il noir (2019), tutti editi da Persiani Editore, che compongono la trilogia della commedia itinerante, della spy story complottista e dell’equivoco secondo il registro della tragedia. Nel 2020 ha pubblicato, ancora con Persiani, We Were Grunge, a marzo 2021 L’errante con Round Robin Editrice. 

Giusy Giulianini

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