«La montagna, che sembra così silenziosa, è piena invece di stimoli per un giallista. Cova misteri infrattati nei sentieri, nelle forre, nelle rocce. Rancori trasmessi per generazioni d’un tratto deflagrano». Sono parole che il grande Loriano Macchiavelli, tra i fondatori del noir italiano e caposcuola di quello emiliano, dedica al suo appennino.
A esse Giuliano Pasini ne L’estate dei morti (Piemme, collana Thriller, maggio 2024) rimanda un’eco profonda, vibrante e del tutto originale. Thriller psicologico, gotico rurale, favola nera, L’estate dei morti è tutto questo e molto di più, per caratura dei personaggi, impatto psicologico, ingegnosità della trama, colore ambientale.
Di nuovo a Case Rosse, piccolo borgo dell’Appennino modenese sede di un esiguo distaccamento di polizia, il commissario Roberto Serra è qui affiancato per la seconda volta (n.d.r. dopo È così che si muore, Piemme 2023) dall’agente speciale Rubina Tonelli: due menti brillanti, due spiriti liberi, un medesimo passato crivellato di cicatrici personali e professionali. E proprio a Rubina arriva la telefonata che fa scattare un’indagine paradossale e densa di brividi esoterici: la voce di una ragazzina che dice di chiamarsi Sibilla Mari le chiede di accorrere sulla scena di un duplice omicidio, a Montecuccoli. Un’adolescente terrorizzata che invoca il suo aiuto. Rubina, anche se sola in commissariato, non può che accorrere.
Trova un parcheggio quasi deserto, due sole auto e la sua stessa moto, e una cabina telefonica da cui deve essere partita la richiesta di aiuto di Sibilla. È buio ormai, l’oscurità precoce di un fine ottobre in appennino, e Rubina non ha un bel rapporto con le tenebre. Si fa forza però e si dirige verso un piccolo caseggiato con un comignolo da cui esce fumo, entra e scopre uno spettacolo raccapricciante: un uomo massacrato a coltellate e un altro strangolato, con una ball gag infilata tra i denti, strumento irrinunciabile nel mondo delle BDSM (Bondage, Dominazione, Sadismo, Masochismo), le pratiche erotiche basate su dolore, sottomissione, umiliazione.
Sangue ovunque, quasi avessero sgozzato un maiale, «sulle pareti, sul pavimento di cotto, a intridere il lino della tovaglia sul tavolo, mischiato al vino rosso uscito da un bicchiere rovesciato», tracce di cibo, cocci ovunque e oggetti travolti. Un festino finito in massacro.
Rubina corre squassata da una stanza all’altra, trova indumenti femminili e maschili, abiti sexy firmati, scarpe dal tacco vertiginoso. E inquina maldestramente la scena del delitto. Come del resto fa Roberto Serra, quando finalmente arriva dopo aver trascorso con la figlioletta la sua giornata di riposo. Peccato però che una delle due auto che Rubina sostiene di aver visto nel parcheggio (di un testimone o dell’assassino?) sia sparita. E che la ragazzina della telefonata, quella che dice di chiamarsi Sibilla Mari, sia annegata nel pozzone in un’altra estate dei morti di vent’anni prima, proprio nel vicino stagno limaccioso che Caterina, la madre, per il dolore ha poi fatto colmare di terra e spianare con una colata di cemento. Donna sfortunata, ben più nota tra i paesani come la Stria, la Strega, che «segna i porri e il fuoco di sant’Antonio, prepara certi intrugli un po’ per tutti i mali. [Ma] fa anche altre cose…Dice che parla coi morti».
Elementi tutti che fanno crollare la credibilità di Rubina agli occhi del suo superiore, figuriamoci a quelli del comandante dei RIS di Parma, il generale Massimo Minimo, e del commissario Vito Corazza della Squadra Mobile di Modena, accorsi in forze sulla scena del brutale duplice omicidio. A maggior ragione quando si scopre che il casale del massacro appartiene ai Livi, i genitori di Luce, ai tempi amica inseparabile di Sibilla, sospettata di essere stata causa della sua morte.
Serra è lacerato tra senso di protezione verso la sua sottoposta e incredulità nei confronti di quel che lei racconta, comprensibile solo in virtù delle pillole di cui Rubina abusa, «gocce per la serenità, pillole per l’euforia. Un mondo artificiale in cui può comprare il suo stato d’animo». Solo, perché sente di non poter contare su di lei, il commissario si dibatte tra una realtà pressante dove il questore di Modena e il comandante dei RIS pretendono elementi immediati e conclusivi e una campagna giornalistica che mette in piazza anche il suo doloroso passato, condotta da una free lance che sembra saperne troppo.
Eppure, quanto più la bruma dell’appennino sembra nascondere malvage e incorporee presenze che gli sottraggono i residui barlumi di razionalità, Serra scopre di poter contare sull’intuito e la lealtà di Rubina e sulla stima, del tutto inaspettata, dei burberi paesani. Anzi, proprio con Rubina, in una inusuale notte trascorsa sotto il medesimo tetto del commissariato, Serra dà vita a una pagina di straordinaria intensità emotiva, fatta di sguardi più che di gesti, in cui entrambi sentono la forza del legame di fiducia che li lega. E chissà che altro.
L’estate dei morti è un romanzo di quelli che non vorresti interrompere, per nessuno degli obblighi quotidiani di cui la nostra realtà è intessuta. Perché il dolore dei protagonisti ti scava dentro, a dispetto dei luoghi incantati in cui si muovono, di quel silenzio «assoluto, quasi solido», di quella luce che al tramonto «esita come se non volesse scivolare dietro ai monti», di quel buio capace all’improvviso di «occupare spazi e fessure».
È un mondo a parte, l’appennino, che anche a pochi chilometri dalla città ti sembra sospeso in un tempo antico, nel quale figure del folklore e della superstizione possono sopravvivere e continuare a incutere terrore.
La Borda, le strie, il gatto mammone. Presenze che hanno popolato gli incubi di bambino di Pupi Avati quando, in cerchio magico con altri coetanei, ascoltava accanto al fuoco favole e leggende narrate dalla nonna, debitamente condite da abbondanti elementi terrifici a scopo didascalico. E dalle quali, per sua stessa ammissione, è scaturita quella visionaria filmografia battezzata dai critici “gotico padano”.
Su quello sfondo, si scontrano e si incontrano Serra e Tonelli, pretesa razionalità contro permeabilità alle suggestioni, un passato crudele che ha ipotecato il presente dell’uno e dell’altra, una dipendenza dall’alcol che lui ha di recente sconfitto, una dipendenza da tranquillanti e stimolanti di cui Rubina è tuttora schiava.
Davanti alle morti violente Serra cede alla Danza, «la stronza che lo accompagna dal giorno del suo sedicesimo compleanno», quando i genitori sono stati crivellati di colpi a bordo della loro auto, «spettatore impotente, con i muscoli tesi fino allo spasimo e le gambe che percorrono circonferenze sempre più strette e rapide».
Rubina si taglia, vittima di un autolesionismo che la distrae dal dolore emotivo per l’abbandono della madre e per il vizio del padre di portarsi a casa ragazze poco più grandi di lei. Spesso si infligge dolore per non infliggerlo ad altri.
I soliti poliziotti tormentati, direte voi. No, tutt’altro. Creature fatte di un’umanità fragile e sensibile, di dolore carnale e spirituale, di solitudine che somiglia a quella di tanti, nella quale possiamo riconoscere anche la nostra. Vivi, credibili, pulsanti. Persone, non personaggi.
Come la piccola folla di comprimari che si agita intorno: l’oste Alver, dominatore assoluto del cuore nevralgico di Case Rosse; il “sindaco perpetuo” Raimondi che, non potendo più essere rieletto, ora ricopre la carica di vice sindaco; Socrate, altro avventore abituale dell’osteria, debitore forse del suo soprannome alla corona rovesciata di capelli; Nives, cercatrice esperta e indefessa di funghi, che poi regala a Serra con tenerezza quasi materna; il generale Massimo Minimo, nomen omen, habituè dei salotti televisivi, tracotante e autoritario, ma capace di insospettabile sensibilità; la Stria, ripugnante nel suo anelito di vendetta ma da compatire per il dolore urente che la consuma. Persone, appunto, mai caricature.
Affiora talvolta tra pagine buie un accenno dell’autore al sorriso – le partite all’osteria «tra bestemmie feroci e pugni sul tavolo», il superstite vernacolo romagnolo di Rubina che si scontra con quello appenninico, il profumo del bensone o dei borlenghi -, che non risulta mai stereotipo da depliant turistico ma piuttosto affettuoso tributo a luoghi e atmosfere che hanno arricchito l’ infanzia di Pasini.
La trama procede con lineare e irresistibile complessità, capitoli brevi e perfetti preceduti da brani di Hänsel e Gretel, che ci mantengono saldamente e irresistibilmente nel «posto delle storie e delle favole» (ancora Macchiavelli!), dove il Male è l’ombra del Bene e dove possiamo incontrare i fantasmi e i mostri di cui ancora abbiamo paura.
L’AUTORE
GIULIANO PASINI è nato nel 1974 a Zocca (Modena) dove ha vissuto fino al suo trasferimento a Treviso. Si occupa di comunicazione e reputazione in Community, una delle più importanti società italiane del settore.
Il suo trampolino di lancio verso il mondo dell’editoria è stato il concorso on-line “Io scrittore” organizzato da GeMS, Gruppo Editoriale Mauri Spagnol, cui ha partecipato con il suo primo romanzo La giustizia dei martiri, poi pubblicato a gennaio 2012 con il titolo Venti corpi nella neve da Fanucci Editore, grande caso editoriale e prima indagine di Roberto Serra a Case Rosse sull’Appennino modenese. La casa editrice Piper-Verlag ha acquisito i diritti del romanzo, uscito in Germania, Austria e Svizzera a ottobre 2013 con il titolo di Die Toten im Schnee.
A settembre 2012, un racconto intitolato La storia di Primo e di Terzo è stato inserito nella raccolta Alzando la terra al sole, pubblicata da Mondadori.
Nel 2013 è uscito, sempre per l’editore Mondadori, Io sono lo straniero, seconda avventura di Roberto Serra che si è trasferito da Case Rosse a un altro piccolo borgo, Termine, dalle colline emiliane a quelle venete in cui si produce il prosecco.
Dal 2013 è presidente della giuria tecnica del Premio Letterario Massarosa.
Nel 2015 ha pubblicato Il fiume ti porta via (Mondadori, collana Strade Blu), terzo romanzo con protagonista Roberto Serra che finisce nella Bassa emiliana, a Pontaccio, ispirato alle opere di Giovannino Guareschi e Mario Tobino.
Dal 2016 scrive racconti sul tema “I secondi prima” per AlleyOop24, il multiblog de Il sole 24 ore.
Per Piemme, nel 2023 è uscito E’ così che si muore, in cui Roberto Serra torna a Case Rosse e viene affiancato dall’agente speciale Rubina Tonelli, e nel 2024 L’estate dei morti, con i medesimi protagonisti e la stessa ambientazione.
“Nuova stella del thriller italiano” secondo Antonio D’Orrico del Corriere della Sera, i suoi romanzi si sono aggiudicati i premi Mariano Romiti, Massarosa, Provincia in giallo, Sapori del giallo, Lomellina in giallo.