Lo specchio del male



Davide Simon Mazzoli
Lo specchio del male
tre60
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Orazio De Curtis è uno scrittore mezzo sciancato, sopravvissuto a un tremendo incidente automobilistico. È celebre, ma disprezza praticamente tutto e tutti. Dalla moglie alla domestica, dalla cittadina in cui vive ai fan che lo importunano. Non gli è più simpatico il suo agente letterario, avido di ripetere il successo editoriale. L’unico suo svago è spiare con il binocolo la sera dalla finestra i suoi vicini, masturbandosi in santa pace. Dalla figlia del giardiniere che incurante si spoglia alle scene di violenza in tutti i sensi di un uomo verso sua moglie e suo figlio. Ed è proprio quest’ultimo una sera a spiare Orazio. Che si accorge della cosa. Di cui tocca la gravità il giorno successivo quando il ragazzino si presenta a casa sua affermando di essere in possesso di fotografie imbarazzanti. Per Orazio è praticamente la fine. Da scrittore comunque libero a oggetto nelle mani di un giovane che gli chiederà di tutto. Anche di ammazzare per lui.

Classe 1980, un passato precoce in televisione e un presente nel mondo dello spettacolo (oggi negli States), Davide Simon Mazzoli licenzia per i tipi di tre60 Lo specchio del male. Noir lisergico che sconfina senza requie in un eccesso alimentato rigo dopo rigo (quando il rigo compare). Come se l’autore, dopo averlo ideato in modo brillante, non sia riuscito a dare alla storia lo spessore che richiedeva per risultare sostenibile e la abbia mandata a schiantarsi a 300 all’ora incurante della minima disciplina narrativa.

Via con la fiera dei punti esclamativi infiniti, le righe che cancellano le parole, le pagine riempite di “z” od offuscate, i corpi del carattere tipografico esplosi in improvvise minuscole o maiuscole, la storia impaginata interamente a destra, interminabili puntini di sospensione, ripetitività ossessiva delle frasi, scurrilità linguistica da far pensare alla caserma come luogo di iniziazione della Crusca. Questo il catalogo. Ma l’intento di rendere il linguaggio più orale e liquido possibile affoga in una semantica che fa del libro un melodrammone che accumula eventi a eventi, colpi di scena a colpi di scena, un fumetto con al centro un protagonista involontariamente comico nel suo folkloristico capire più nulla del circostante che lo riguarda. Con la spezia dei tanti classici della letteratura o della musica citati, quasi a mettere le mani avanti (il protagonista è questa fogna che leggi, ma l’autore invece…). Insomma, la storia avrà pure fatto godere l’autore nello scriverla. Meno, molto meno (anzi, restando in tema, moooooooolto meno) nel leggerla. A meno che la noia non produca qualche tiramento.

Corrado Ori Tanzi

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