“La vita continua, la gente cambia”, e quello che ha detto Amanda. Per lei bastava. Tu volevi una spiegazione, un finale che attribuisse la colpa a chi la meritava, un finale di giustizia. Hai preso in considerazione la violenza e la riconciliazione. Ma quello che ti resta è il presentimento che la tua vita svanirà in te, come un libro letto troppo in fretta, lasciandosi dietro una labile scia di immagini e di emozioni, fino a quando non ricorderai altro che un nome. (Bright lights, big city – Le mille luci di New York, 1984) Il mondo letterario americano, circa a metà degli anni ottanta, fu investito con prepotenza da un nuovo fenomeno letterario destinato ad influenzare in modo decisivo la narrativa degli anni successivi. Una generazione di giovani scrittori, figli di Hemingway e Carver, destinati al successo e ben presto classificati come “minimalisti”. Esponente di punta del gruppo (insieme a scrittori del calibro di B.E.Ellis e David Leavitt) risulta sicuramente Jay McInerney, pur rifiutando quest’ultimo le scontate classificazioni e la scomoda etichetta di portavoce degli Yuppies e della Non Generation. Di Carver, tuttavia, McInerney fu realmente allievo ricevendo in dote una delle caratteristiche peculiari della sua produzione letteraria. Una scrittura pulita e tagliente che arriva dritta al cuore del lettore. Una penna brillante e animata che, unita ad una massiccia dose d’ironia e frequenti colpi di scena, conquista fin dalle prime pagine. Il tutto supportato da un’abilità narrativa decisamente sopra la media. Caratteristiche, queste, che hanno convinto Fernanda Pivano a commentare in tono entusiasta i suoi testi fino a definirlo “lo stilista della letteratura americana contemporanea”.
Jay McInerney: lo stilista della letteratura americana contemporanea
ferdinando pastori