Marcello Simoni – La selva degli impiccati



Marcello Simoni
Marcello Simoni
Einaudi
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Anno Domini 1463 autunno del Medioevo o come lo definisce la Storia verso la fine dal Basso Medioevo: Saint Philibert, Beaune, Borgogna. Un’accusa di commercio con il demonio e di eresia seguiti dal linciaggio di Maitre Flamand, parroco del villaggio, danno il via a una straordinaria storia, ammantata da una colta ed eccezionale ricostruzione storica ambientale. Siamo in Francia, siede sul trono Luigi XI figlio ed erede di Carlo VII il sovrano di Giovanna d’Arco, colui che riuscì a farsi incoronare re a Reims e riconquistare Parigi. Risuonano ancora paurosamente gli echi di quella spaventosa epoca legata alla fine della Guerra dei cent’anni con l’Inghilterra. Guerra che, dopo aver insanguinato la Francia, raso al suolo fiorenti città, isterilito intere contrade, armando i francesi gli uni contro gli altri, aveva scatenato le mostruose scorribande di eserciti di banditi, belve pronte a schierarsi senza pietà con l’una o l‘altra fazione. Nel 1463, Carlo VII è morto da due anni e Luigi XI ha eletto Tours a sua residenza e capitale di Francia a scapito di Parigi, ma Parigi governata dal prevosto (o magistrato generale con tutti poteri) che sarà il fulcro e il cardine del romanzo, resta sempre la capitale morale e intellettuale del paese, con la sua celeberrima roccaforte universitaria nella città: La Sorbonne. E il protagonista di La foresta degli impiccati di Marcello Simoni e lui, proprio lui, il poeta maledetto, colui che fece della poesia la sua bandiera, François Villon. Uno dei piú celebri ribelli della storia, un assassino, un ladro, un violento, un dannato folletto, un imprendibile mascalzone, l’uomo due volte condannato a morte di cui la storia era persino arrivata a dubitare l’esistenza. Si diceva di lui che Villon, il ladro poeta, tutto volle, tutto osò, quasi volesse cancellare per sempre i propositi di onestà inculcatigli da mastro Guillaume Villon, suo padre adottivo, di tutti i suoi buoni e savi insegnamenti e quelli di anni presso la Sorbonne. François Villon, colui che ha lasciato in ricca eredita ai posteri la sua grande capacità di cantare il mondo trasformandolo in versi. Ma ora, nel 1463 a Parigi, chiuso in un pozzo dello Châtelet per volere del Prevosto, il feroce Jacques de Villiers, François Villon e sottoposto ai gelidi rigori dell’inverno, ,si sente ormai attorno al collo la corda del patibolo quando gli viene concessa la grazia. Ma tuttavia la sua vita avrà un prezzo molto salato, perché dovrà accettare di essere bandito da Parigi per ben dieci anni. E, come se non bastasse, un altro fatale impegno l’aspetta. In cambio della riconquistata libertà dovrà anche, sia pur pagato con dieci sonanti reali d’oro, accettare di trasformarsi in un traditore e una spia e stanare dal suo nascondiglio Nicolas Dambourg, il fantomatico capo dei Coquillards, una banda di fuorilegge ritenuta ormai sciolta e di cui il ladro poeta avrebbe fatto parte in passato. Ma Dambourg, per lui è molto di piú che un vecchio compagno di avventure, perché, Villon ha addirittura operato nella fila del fantomatico re dei Coquillards, il pellegrino cieco, a capo dell’esercito dei soldati in guerra contro il potere per riscattare i poveri. E ora dovrebbe dargli la caccia e consegnarlo ai suoi carnefici? No! Villon deve a ogni costo riuscire a sfuggire a un misterioso e crudele sicario, che fa il vuoto alle sue spalle uccidendo senza pietà, con l’incombente retroscena della presenza nell’ombra dei Cavalieri di Malta. E di un’ingombrante presenza femminile che muove le fila dei suoi burattini in scena. Non sarà facile, perché chi l’insegue vuole il sangue, tutto sembra contro di lui e ci vorrà quasi un miracolo per salvare la pelle, poi pronti a reagire e battersi in una cupa vicenda in cui si mischiano avidità, sete di potere e desiderio di vendetta. Marcello Simoni con la sua zampata da maestro riesce a imbrigliare la vendicativa passione di Joséphine Flamant, la fanciulla dai capelli di fuoco – infallibile con un arco in mano e cresciuta come un brigante dopo essere stata impotente testimone del premeditato linciaggio dello zio – amalgamandola con l’effervescente genialità del poeta, la spavalderia degli attori di strada, e l’infantile ma furba birbanteria dei monelli parigini. Con per letale miraggio una magica lanterna, oggetto di grande concupiscenza e dentro la quale dovrebbe vivere un demone. Una Parigi, descritta dalla fertile penna de”autore  e scaturita per noi come una miracolosa fontana, che ci permette di vivere in quella città in quel momento e come era e poi tutto il resto descritto ad arricchire lo scenario. Non un particolare infatti stona, che sia strada, taverna o palazzo, ma anche abbigliamento, cibo o contesto abitativo, e come una porta perfettamente oliata gira sui cardini del tempo e ci permette un balzo indietro di ben sei secoli. Il tutto per la maestria di una penna che ci guida a sbrogliarcela, in una girandola di interpreti realmente esistiti.Insomma,  un tocco di veridicità a una trama piacevolmente guarnita da una punta di ironia. La selva degli impiccati è una storia di potere, soprusi, crudeltà, ma anche riscatto e capacità di rivincita Una storia che ci costringe a leggere con il fiato sospeso ben quattrocento pagine. Scrivo questa recensione con lo splendido sottofondo musicale della bella versione della Ballade des pendus di Louis Bessières, interpretata da Serge Reggiani. La ballata degli impiccati (Ballade des pendus) che ha ispirato anche un altro grandissimo cantautore francese Leo Ferrè. La canzone francese infatti ha un’antica e cospicua tradizione di testi poetici messi in musica. Ma anche Bob Dylan, più volte nelle sue poesie, ci rimanda al grande mito di François Villon.

Patrizia Debicke

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