Il mare dove non si tocca



Fabio Genovesi
Il mare dove non si tocca
Mondadori
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La scommessa è recensire qui “Il mare dove non si tocca”. Cosa ci fa, infatti, un romanzo che la critica generalista ha definito “di formazione”, su Milano Nera? Prima di tutto l’autore: Fabio Genovesi, di Forte dei Marmi, a mio parere il miglior scrittore italiano contemporaneo. Laddove, per migliore, s’intende: capacità di raccontare una storia di provincia (esportabile però in qualsiasi provincia del mondo) dove si muovono personaggi tremendamente simili a noi stessi; capacità di farci sognare e pensare, mescolando poesia e asprezza (della vita); capacità di far emergere la parte più nascosta.
Genovesi è uno scrittore “slow”, e anche questa è una capacità – ce l’ha anche Enrico Remmert, per esempio –, ovvero farsi attendere il giusto: per il toscano è “soltanto” il quarto romanzo in dieci anni. Eppoi “Il mare dove non si tocca”: fanno da sfondo gli anni Ottanta e alcuni miti irraggiungibili di allora, Francesco Moser, Giancarlo Antognoni, Julio Iglesias, tanto per citarne tre. Protagonista invece è Fabio, un ragazzino che cresce a Vittoria Apuana, in Versilia, attorniato da una famiglia alquanto strana e allargata: madre-padre, ma soprattutto una nutrita schiera di zii e pro zii, undici in tutto, che però vengono chiamati, non si sa bene perché, “nonni”. Tutti e undici, peraltro, comunisti e cacciatori, hanno il nome che inizia con la lettera “A”. Fabio ha un padre, bellissimo e taciturno, operaio del Comune, aggiusta tutto, che lui è convinto sia Little Tony.
Il rapporto padre-figlio, ovattato dai silenzi, si sblocca improvvisamente una sera, davanti a un fuoco mentre distillano grappa: da lì in poi il loro amore diventa un valzer bellissimo, fatto di parole. E a quel punto per Fabio si spalancano le porte del mondo dei grandi. E’ tempo di imparare a nuotare nell’acqua alta. Nel micro mondo di Valle Apuana, gli uomini “sono comunistissimi”, tanto che il televisore arriva dall’Unione Sovietica, mentre le donne hanno il compito di andare in chiesa. Lenin e la Madonna, insomma, con in mezzo i ragazzini come Fabio che sognano la rivoluzione. Fabio che nel frattempo conosce Martina, un’occasione unica per sfatare una maledizione che incombe, da generazioni, sulla famiglia Mancini. Insomma: una girandola di piccole storie, un incrocio e un’altalena di emozioni, sofferenze e scoperte.
E il nero, direte voi, dove sta? Nella bravura di Genovesi di utilizzare gli occhi disincantati di Fabio per fargli osservare (e farci osservare) la realtà dal basso verso l’alto; seppur ragazzino, Fabio riesce a posare il suo sguardo obliquo (e a farci posare il nostro) sulla metà oscura e più debole, cogliendo tutte le sfumature grigie del mondo e riuscendo comunque a metterci tanta ironia, anche quando è chiamato a prendersi cura del padre. Un gran bel lavoro, non c’è che dire. Realista e disincantato allo stesso tempo. Che v’invito a leggere anche se siete dei puristi del giallo-nero, anche se qui non ci sono morti ammazzati e nemmeno investigatori. Se fosse una canzone “Il mare dove non si tocca” suonerebbe come “Marco il pazzo” dei Management del Dolore Post-Operatorio. Voto: 9.

Alessandro Garavaldi

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