Mario Borri è un detective privato molto particolare: sessantacinque anni, veste completi di lino stropicciati e un borsalino calato sulla testa, ha la lingua tagliente come un rasoio, una passione per whisky e Marlboro rosse e “…Sembra…sembra…ecco, sì: sembra uscito da un film degli anni ’40. Gliel’ha mai detto nessuno?…” Eccome, glielo ricordano in tanti perché si atteggia con quell’aria da Humphrey Bogart de noantri.
Ha deciso di smettere e di andare in pensione, è il suo ultimo giorno di lavoro, ma una donna bussa alla porta del suo ufficio in cerca di aiuto. La zia è morta e ha lasciato a lei e alla sorella una cospicua eredità che verrà pagata solo se entrambe non cadranno in tentazione. Quale tentazione? La donna che ha davanti e che diverrà sua cliente condivide con il detective la passione per il Jack Daniel’s mentre alla sorella (un po’ ochetta) piace farsi portare a letto da chiunque abbia un auto sopra i 1800 centimetri cubici.
Chi infrangerà le condizioni testamentarie perderà la sua parte di eredità a favore dell’altra sorella.
E’ un caso apparentemente semplice, una passeggiata per un sagace detective che dovrà per la prima volta abbandonare l’amata Milano, teatro delle sue innumerevoli imprese, per recarsi in un paesino in prossimità del Lago Nero. Una periferia che il protagonista non ha mai frequentato in vita sua. Il disagio di frequentare luoghi a lui sconosciuti e al di fuori delle dinamiche della metropoli lo tormenterà per tutto il romanzo “...Sotto di me una marea di ombrelloni colorati e rattoppati occupava tutta la piazza. Il mercato stava viaggiando in quarta. In sottofondo un vociare indistinto. Voci di uomini e di donne, chi vendeva e chi comprava. La vita di paese si stava manifestando con tutto il suo brulicare e Milano mi è sembrata distante come non mai. Il cielo era terso. Il temporale della notte aveva lavato l’aria. Da lontano si vedeva il lago. Era azzurro, splendente, rassicurante quasi. Lo stronzo: fingeva…”
Le pagine scorrono veloci, tra dialoghi surreali e situazioni paradossali, con personaggi allo stesso tempo strampalati e affascinanti, tra manzetti, suore, preti canuti e ostili paesani che, dopo la diffidenza iniziale, costituiranno l’allegra brigata che aiuterà Mario Borri a risolvere un mistero che così semplice proprio non è. L’ambientazione, descritta con essenzialità e che lascia spazio alla fantasia dei lettori, rende la somma di tutto questo molto avvincente. E poi c’è quel rapporto complicato tra il protagonista e il lago “…la strada lungo il lago cominciava a darmi sui nervi. Fra un po’ me la sarei sognata anche di notte. Il bel tempo trasformava quella massa d’acqua compresa fra le coste in qualcosa di sorridente. Ma era falsa come un giuramento tra farisei e io lo sapevo. Dietro quel sorriso c’era un sottofondo di sospetto nei miei confronti. Se ne accorgeva anche la mia Renault color cacca che correva quasi volesse scappare…”
E poi c’è il mignolino che avverte continuamente il detective, quasi volesse suggerirgli che si è cacciato in una storia strana, costruita su imbrogli e ricatti, dove tutto non è come sembra (nemmeno il Rifugio del Pellegrino o il Poggio del Diavolo).
Massimo Cassani ha scritto un noir che avrà il pregio di farvi sorridere e divertire.
Ora, porca paletta (!), non vi resta che leggerlo.
Mistero sul Lago Nero
Marco Zanoni