Maurizio De Giovanni: una gran voglia di Napoli

Maurizio De Giovanni

Mio padre ha studiato alla Federico II alla fine degli anni 50 e mi parla spesso con nostalgia della Napoli di allora, che nei suoi racconti mi ricorda molto la città che tu descrivi nei romanzi di Ricciardi. Cosa è rimasto oggi della Napoli di quegli anni?

Napoli è cambiata nella stessa direzione e nella stessa velocità di ogni altra metropoli occidentale, solo che partiva da un contesto altamente peculiare, umano e urbanistico. Manca a noi tutti la comunità che era, abitata da gente con l’attitudine alla comunicazione e al dialogo; mantiene però una facilità al pianto e al riso, la capacità di avvolgerti e portarti via in un soffio e senza che tu te ne accorga. In questo rimane un posto unico.

napoli

Napoli è mille colori, è genio e sregolatezza, è commedia e dramma, poesia e tragedia, è riso e pianto, è ingegno e disperazione, noi lo sappiamo perché abbiamo imparato a conoscerla meglio anche attraverso gli occhi di grandi artisti come Eduardo e Troisi, ma cosa sanno e cosa capiscono i tuoi lettori stranieri delle mille anime della tua città? Cosa ti chiedono quando li incontri?

Riscontro una gran voglia di Napoli, quando vado in giro per l’Italia e anche all’estero. Contrariamente a quanto certi cori beceri da stadio e certi atteggiamenti ottusi di alcuni politici idioti vorrebbero far immaginare, l’atteggiamento delle persone colte e sensibili è di partecipazione affettiva positiva e partecipe, dei problemi come anche delle meravigliose opportunità che offre la mia città. Mi piace raccontare delle sue storie e dei suoi strati, e piace ai miei lettori ascoltarmi.

Le donne nei tuoi romanzi. Sia nella serie di Ricciardi che nei Bastardi si ripete lo stesso schema. Il protagonista è diviso tra due donne. Una rappresenta la passione, il sentimento travolgente, l’altra la sicurezza di un amore che è devozione e comprensione, attesa e anche sofferenza. Perché rappresentarli sempre divisi. E’ una dicotomia insanabile secondo te?

No, non lo è. Ma è un fatto che poter contare su qualcuno sempre e comunque e il fascino che si subisce da chi è sfuggente siano due emozioni contrastanti e bellissime, che raramente possono sintetizzarsi in un’unica figura. I miei personaggi subiscono questo contrasto, che si concretizza in due persone distinte nel loro caso.

Hai dimostrato che si possono scrivere noir ambientati a Napoli senza parlare di camorra, ma raccontando solo la vita e i sentimenti che la permeano. Perché questa scelta?

Non scrivo di camorra anzitutto perché non ne so abbastanza, contrariamente a tanti giornalisti, magistrati, poliziotti che combattono questo terribile cancro ogni giorno. Preferisco parlare delle deviazioni dei sentimenti, e dei danni terribili che le passioni possono fare alle relazioni e alle persone. Credo anche che la narrativa possa spiegare il perché di certi eventi molto meglio dell’attività giudiziaria e delle inchieste di cronaca, potendo penetrare le anime dei personaggi senza difficoltà oggettive.

Sei una persona molto spiritosa e divertente che però nei suoi romanzi ha deciso di dar voce soprattutto al dolore, non c’è nei tuoi progetti una storia più leggera, dove lasciar correre liberamente la tua ironia?

Io sono napoletano. Non troverai mai uno scritto di un napoletano che non abbia in sé sia il registro ironico che quello drammatico. E’ una caratteristica specifica di quella che per me è l’unica città sudamericana fuori dal Sud America. Mi piacerebbe, prima o poi, tentare una prevalenza del tono umoristico e non è detto che, magari sotto pseudonimo, prima o poi ci provi effettivamente.

Articoli, sceneggiature, racconti e romanzi, nei quali tra l’altro semini poesia, passi con disinvoltura da una scrittura all’altra, quale per te è la più difficile?

Nulla è difficile se hai una bella storia da raccontare, è solo una questione di linguaggio. Diciamo che preferisco il racconto, lo schiaffo del rivolgimento all’ultimo rigo, l’intensità dell’emozione breve e fulminea che può dare una storia di poche pagine; ma anche l’architettura complessa del romanzo, la possibilità che dà di approfondire gli aspetti psicologici del personaggio, è affascinante per uno scrittore. La forma più facile in assoluto è il teatro, una meravigliosa imitazione della vita fatta di parole e di gesti e senza didascaliche spiegazioni.

Un libro è un rapporto diretto, intimo e personale tra un autore, la storia che racconta e il lettore. Trasportare un libro sullo schermo è un’operazione che in un certo senso spezza questo filo diretto, dato che l’adattamento richiede non solo dei tagli, ma anche l’intervento di più persone e la storia arriverà poi immediatamente a, si spera, milioni di persone. Tu stai per vivere questa esperienza, cosa ne pensi? Hai dei timori?

Sì che li ho. Il differente linguaggio, la diversità profonda dell’approccio, il fatto che si entri senza chiedere permesso nelle case della gente e che si debba per questo rispettarne la fragilità emotiva non concordano col tono di una storia nera, che racconta i più terribili tra i sentimenti e le più devastanti delle passioni. Questo però costituisce una sfida che riserva un suo fascino, e devo dire che l’idea mi diverte molto. Spero di non tradire in alcun modo i miei lettori: questo è il primo obbligo che sento.

Vorrei chiudere con una domanda decisamente meno seria: Maurizio e il Napoli, una passione viscerale. Le starlette promettono spogliarelli in caso scudetto della propria squadra, tu cosa saresti disposto a fare per uno scudetto del Napoli?

Scegliete voi. Io sono a completa disposizione.

cristina aicardi

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