Nature morte a Firenze



Simone Togneri
Nature morte a Firenze
Frilli
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Simone Togneri è un autore che le sue storie non le scrive, le dipinge, anche se al posto dei colori usa le parole. E forse, in quest’ultimo suo romanzo questa sensazione è più forte che mai. Sicuramente ne è complice il suo protagonista, Simòn Renoir. Per chi ancora non lo conoscesse, Simòn si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Firenze (come il suo creatore) ed è un ex poliziotto il cui migliore amico è proprio il commissario Franco Mezzanotte con il quale ha lavorato. Ha una storia familiare tormentatissima: i genitori viaggiavano sull’aereo che si squarciò in volo all’improvviso e cadde nel braccio di mare vicino all’isola di Ustica, quando lui era molto piccolo; suo fratello maggiore, Auguste, è scomparso dopo essere fuggito da un ospedale francese dove tentavano di disintossicarlo.
E adesso, nelle prime pagine del romanzo, incontriamo di nuovo Simòn e lo troviamo da solo, senza una compagna, senza un lavoro – se non vogliamo chiamare “lavoro” quello da imbianchino al nero che svolge per un ex compagno di scuola – e con un carico enorme di malinconia tristezza e frustrazioni.
Non riesce a venire a patti con il suo passato, con il suo modo di essere, addolorato e dolorante a causa di una sensibilità e di una fragilità che gli eventi di questo romanzo spingeranno fino al parossismo.
La storia è presto riassunta. A Firenze è arrivato un nuovo assassino che uccide le sue vittime e poi le ritrae in macabre e ipnotiche nature morte, con metodi diversi e figure simboliche – cocomeri, mele, cipolle – che danno al quadro un significato ben preciso. Non sarà un’indagine facile proprio perché andrà a smuovere il magma interiore e drammatico di cui è impastato l’animo di Simòn Renoir.
La storia, molto complessa, è ambientata in una Firenze calda e caotica, invasa dal traffico e dai turisti dove sembra tutt’altro che facile vivere. Si muove su due fronti temporali diversi: il presente ambientato ai giorni nostri e il passato filtrato attraverso i pensieri e i ricordi di Simòn. Un passato però che sembra esigere un tributo o forse un vero e proprio sacrificio per una catarsi conclusiva.
Come in tutti i romanzi di Simone Togneri la scrittura è una tavolozza con cui creare una scenografia. A volte è secca, ironica, priva di inutili orpelli. Altre volte invece indulge in descrizioni originali con metafore spesso legate al mondo del disegno, della pittura e dei colori che rendono un ambiente immediatamente riconoscibile e familiare a chi legge.
Anche i titoli di alcuni capitoli ci danno questa sensazione, soprattutto quelli dedicati ai colori: il rosso, il blu, il verde, il nero, il grigio… mi hanno fatto venire in mente il regista polacco Krzysztof Kieślowski i cui tre colori rappresentavano la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza. In questo romanzo, invece, i colori simboleggiano degli aspetti della vita o degli stati d’animo che culminano nel bianco, il bianco della tela che deve essere ricoperto, che non deve avere spazi vuoti, come quel vuoto che prova il protagonista del romanzo nel finale che lascia il lettore piuttosto incerto, pieno di dubbi sulle intenzioni dell’autore.
Ma forse è giusto così. Come nella vita vera non ci sono certezze, ma molte domande e i dolori, quelli veri, ci lasciano davvero soli e in uno spazio vuoto.

Elena Zucconi

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