Nel nero degli abissi – François Morlupi



François Morlupi
Nel nero degli abissi
Salani
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Un’indagine per i cinque di Monteverde

Una prostituta studentessa di medicina, un anziano prete, un ricco imprenditore petrolifero. Tre cadaveri devastati dalle coltellate turbano il tranquillo quartiere romano di Monteverde e non lasciano dormire sonni tranquilli al commissario Ansaldi e alla sua squadra. Peraltro si è alla vigilia di un Consilium, un summit straordinario che porterà a Roma i capi di Stato più importanti della terra e l’indagine deve essere rapida e senza troppo clamore. A complicare la situazione, l’assenza di un filo che leghi in qualche modo le tre vittime, alla quale si aggiungono tre lettere di rivendicazione firmate da Jack lo squartatore, gli anarco-insurrezionalisti e i rivoluzionari in difesa dell’ambiente.
Lo scenario per capirci poco o niente, costruito da François Morlupi in “Nel nero degli abissi”, Salani editore, è praticamente perfetto e l’autore sembra divertirsi molto a giocare con i suoi personaggi e con il lettore, facendo correre tutti su false piste, muri invalicabili, alibi perfetti, ma soprattutto nel far emergere l’assenza di un movente qualsiasi per tutti e tre gli omicidi presi singolarmente, figuriamoci se poi si cerca di metterli in relazione l’uno con l’altro. 
Il nuovo romanzo dello scrittore italo-francese, dopo il fortunato “Come delfini tra pescecani”, è il quarto capitolo della serie che vede impegnata la squadra del commissariato di Monteverde, il secondo con Salani, e conferma che Morlupi è ormai da considerare una voce autorevole e solida nel panorama del giallo-noir italiano. I personaggi hanno raggiunto spessore e sfaccettature di notevole livello umano e psicologico. A questo proposito, sono da assaporare i capitoli in cui racconta le serate casalinghe dei cinque della squadra, dopo la giornata di lavoro. 
I cinque sono dei veri casi umani, nel senso letterale dell’espressione, perché ognuno di loro rappresenta una tipologia di soggetto, dal commissario ipocondriaco e imbranato nei rapporti amorosi, alla vice ispettrice asociale e umanamente respingente, dall’agente un po’ sovrappeso tifosissimo della Roma e grande appassionato di calcetto, dal facile innamoramento platonico, al suo collega con aria da modello, ex sciupafemmine ora innamoratissimo, per finire all’ultima arrivata che cova una enorme carica di violenza che a stento riesce a controllare. E il fatto che siano poliziotti ne esalta l’umanità, la presunta normalità distorta della nostra società.
La vicenda. L’indagine si sviluppa, si aggroviglia e infine si dipana, grazie alle doti di osservazione di una comparsa (il poliziotto scansafatiche, che si è autonominato distributore di caffè di qualità). È lui che nota un dettaglio, l’inevitabile sassolino che innesca una serie di processi mentali e imnceppa i meccanismi della catena di omicidi, permettendo di mettere  a nudo una verità sorprendente. 
Si comincia con l’omicidio di una prostituta strangolata, quasi decapitata e ferocemente accoltellata, ritrovata in un cespuglio del parco di Villa Pamphilj, la grande area verde frequentata di giorno da bambini, famiglie e sportivi, che di notte si trasforma in un mercato del sesso a cielo aperto. La ragazza era una studentessa di Medicina che si prostituiva per mantenersi agli studi e vivere nella capitale. Il cadavere viene scoperto da un giovane prostituto suo amico. Segni nessuno, una sola certezza: le coltellate sono state inferte da due persone: una destrorsa e una sinistrorsa, molto probabilmente la seconda è una donna. 
Seconda vittima un anziano prete che viene colpito nel confessionale, con una prima coltellata alla schiena e una seconda in pieno petto, per poi essere seviziato con 24 coltellate. 
Terza vittima un ricco petroliere 76enne, colpito nel suo letto da una coltellata alla tempia, sferrata da un destrorso e poi sbudellato con una ventina di coltellate di una mano diversa. E, infine, evirato.
In comune nulla, tranne un esile filo, un contatto tra il giovane prostituto e il prete.
Su queste sabbie mobili si muovono Ansaldi e la sua squadra, che hanno il fiato sul collo del questore e di tutta la catena di comando fino al ministro, a causa dell’imminente vertice tra capi di Stato. Un’indagine impossibile, l’impressione è di trovarsi in una stanza con le pareti perfettamente lisce. Eppure, un paio di piccolissime crepe, l’attenzione di un personaggio secondario, l’intuito e la voglia di non soccombere permettono di arrivare alla soluzione.
Ma attenti, è un finale amaro, non è liberatorio ed è foriero di complicazioni, di vario tipo, all’interno dei cinque di Monteverde. 
E stia attento anche Morlupi a dosarle sapientemente queste complicazioni nella prossima storia, perché i cinque casi umani del commissariato di Monteverde creano dipendenza così come sono…

Michele Marolla

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